The OA: Part II – Stagione 2 1


The OA: Part II - Stagione 2Sono passati due anni dal finale della prima stagione di The OA. All’epoca (sembra passato moltissimo tempo) la serie creata da Brit Marling e Zal Batmanglij si era chiusa con un gesto visivo capace di sigillare un testo sperimentale vicino alle vibrazioni della videoarte e di sintetizzare in pochi secondi una complessa esperienza durata ore, amplificandone la forza attraverso una costruzione di senso a forma di cliffhanger perfetto.

In questo inizio 2019 ricco di contenuti seriali, l’originale Netflix è tornato, memore della posta in gioco settata nella prima stagione, consapevole delle aspettative nei suoi riguardi e conscio dei propri obiettivi narrativi: ricreare le caratteristiche peculiari dell’atmosfera che la prima stagione aveva presentato e ampliare la mitologia del prodotto, seguendo una spinta naturale di estensione e dilatazione dell’orizzonte narrativo interno.

Nel primo caso la serie risolve la necessità di ristabilire un contatto immediato con gli spettatori curando la ricostruzione di un impianto visivo ancora in grado di scuotere l’emotività e di rappresentare per fotogrammi la complessità delle tematiche di riferimento, facendo leva sulla potenza propulsiva e sullo slancio di una narrazione innamorata dell’inquadratura: non per la ricerca di una legittimazione cinematografica fine a se stessa ma in favore dell’ebbrezza estatica generata da un racconto sollevato dalla poetica delle immagini. Nel secondo caso invece la stagione approfondisce il cosmo accennato nella prima stagione, scegliendo, dopo il racconto piegato nella dimensione intima della parola, un arco esplorativo molto più teso verso l’esterno della realtà fisica, una linea di racconto articolata per scavare nel mondo e distendersi alla ricerca di un contatto con esso.

The OA: Part II - Stagione 2The OA: Part II riesce benissimo nella prima operazione e arranca di più nella seconda: se è infatti grandioso tornare a credere al contesto emotivo della serie grazie alla proprietà immersiva del suo racconto, è invece meno esaltante riscontrare alcune difficoltà da parte dello show nel piegare il reale del mondo alla propria visione particolare, soprattutto a causa di problematiche strutturali. Le linee narrative che costituiscono l’ossatura della stagione risultano più o meno riuscite proprio in virtù della loro direzionalità: in un caso legata alla potente chiamata di fede nella visione degli autori, in un altro alla meno riuscita espansione della mitologia interna.

Sono tre le citate direzioni della trama: due riproducono a livello narrativo quel cammino di fede che lo spettatore può provare nel riallacciarsi alla narrazione di The OA; una risponde invece all’altro obiettivo; tutte sono disegnate per incontrarsi in un finale studiato per essere esaltazione degli obiettivi e concretizzazione di un nuovo volo logico-diegetico capace di riassumere e riproporre su nuovi livelli, come nel finale della prima stagione, il discorso concettuale della narrazione.

La prima linea costituisce l’innesco di questa seconda parte del progetto narrativo ed è un mistero giallo legato a una scomparsa di persona (tale Michelle), a un’app di gaming e a una casa di San Francisco, in una realtà che si rivelerà parallela rispetto a quella di Praire. Il protagonista è Karim Washington, detective privato presto immerso in un segreto più grande di lui, in un gioco a realtà aumentata per certi versi incomprensibile ma attraente, capace di toccare le corde della sua emotività e di decostruire le sue barriere razionali. La stagione trova nella sua ignoranza del quadro generale degli eventi e nel suo straniamento il perfetto contatto con i sentimenti di ogni virtuale spettatore di fronte ai nuovi episodi e ai nuovi misteri.

The OA: Part II - Stagione 2Attraverso le sue vicende – costruite per incontrarsi con quelle dell’arco di Praire – lo show ingloba quindi le atmosfere di un giallo metropolitano molto solido e splendidamente girato (con attenzione geografica nell’utilizzo del setting urbano), che nel passare degli episodi si rivela contenitore non solo di un’indagine ma anche di un’introduzione a un mondo metafisico sconosciuto: si spiega così la svolta mistica per il suo personaggio sul finale.

Il secondo tracciato del racconto parte dal terzo episodio in maniera quasi del tutto autonoma e segue le vicende del gruppo di persone formatosi intorno a Praire e rimasto nella realtà che abbiamo conosciuto nella prima stagione. Attraverso l’osservazione della reazione di Buck, French, Jesse, Steve e Elizabeth alla scomparsa di OA la serie esamina la conseguenza, il peso del lutto, la cicatrice provocata dalla perdita: lo fa inquadrando i sentimenti ineffabili di chi è rimasto e scegliendo un regista in grado di intercettare i nascosti movimenti dell’anima attraverso una grammatica cinematografica sempre interessata al volto e al corpo, esaltato dal paesaggio naturale o incorniciato da un elemento urbano.

Andrew Haigh nel terzo e sesto episodio fa un lavoro registico sensibile perché non snatura l’impostazione visiva dello show ma aggiunge la sua visione, suggerendola, accompagnando la narrazione con intuizioni eleganti. Il percorso del gruppo rappresenta il ritorno alla fede dopo il dubbio provocato dal lutto, la scoperta di uno scopo, la redenzione attraverso la piena fiducia nello spirito. Per molti versi il personaggio di Homer, saltato nella personalità del Dottor Roberts appartiene a questa sfera tematica, pur non incontrando mai i personaggi: egli infatti deve ricordare e ricredersi, non esplorare ciò di cui già è certo.

The OA: Part II - Stagione 2La terza e principale linea è quella legata al salto dimensionale di Praire nella realtà della sua controparte Nina Azarova ed è l’asse attraverso cui la serie amplia la sua mitologia, la sua letteratura interna, la sua storia visiva. The OA inserisce nel suo linguaggio la narrativa di fantascienza dei viaggi dimensionali e dei salti temporali, suggerendo sia l’esistenza di più dimensioni ontologiche sia la presenza di una rete sotterranea a forma di giardini che si biforcano e formano un tessuto unitario e comprensibile, in una mappa esplorabile.

L’avventura di Praire in una realtà simile alla sua (in cui anche Hap, Scott, Renata e Rachel hanno compiuto il salto con coscienza) ma diversa la spinge a cercare di comprendere di più sul mondo in cui vive e sulle potenzialità di se stessa: il suo arco psicologico – incentrato sulla necessità di accogliere in un unico quadro mentale la molteplicità degli universi possibili e quindi delle sue personalità possibili – da una parte riflette la volontà della serie di espandersi sull’onda di più modalità narrative e dall’altra l’interesse della stessa a scoprire la propria profondità comunicativa attraverso il contatto con l’esterno e il nuovo.

Dopo questa radiografia delle direzionalità tematiche è bene delineare più a fondo i risultati qualitativi. Gli otto episodi sono caratterizzati da momenti grandiosi e occasionali cali qualitativi. Il problema è imputabile alla struttura interna, poco equilibrata nella gestione delle parti in gioco e frettolosa nel controllo dell’alto numero di intrecci e svolte. La stagione a tratti sembra sopraffatta da se stessa e da una narrativa costretta a smuovere le innumerevoli traiettorie del racconto, dimenticandosi del distacco contemplativo, dell’approfondimento delle tematiche e delle atmosfere, spesso solo accennate o abbozzate in un continuo via vai di decisioni.

The OA: Part II - Stagione 2Questa assenza di cesello tra le varie zone del racconto – molto dilatato nei tempi nella prima parte e sfiancato da una velocità di ritmo insostenibile per la digestione delle svolte dopo il giro di boa – accentua il sentore di soluzioni forzate per rientrare nei tempi e il peso di alcune incongruenze: ne sono esempio gli incontri poco credibili lungo il viaggio on the road del gruppo dei testimoni di OA e l’intervento di un deus ex machina – il personaggio di Pierre Ruskin – nell’indagine di Karim, altrimenti condotta verso le rivelazioni dalla sola forza del personaggio.

Per questo problema, anche la logica interna risulta a volte meno coerente rispetto al rinserrato schema di rimandi concettuali della prima stagione e quindi più esposta al ridicolo involontario. Se nella prima stagione il senso di meraviglia e il lento carburare in preparazione del mistero ridimensionava a prospettive infinitesimali il pericolo di una risata di scherno (causata dall’unione di autocosciente serietà e assurdità di alcune soluzioni narrative) in questi otto episodi il viaggio dei protagonisti ha incontrato alcuni momenti di possibile rottura della sospensione dell’incredulità, più aperti alla comicità non ricercata perché presentati senza afflato emozionato e senza una giusta introduzione tematica: è il caso dell’intervento narrativo di Old Night e l’utilizzo scenico di robottini in grado di riprodurre i cinque movimenti, elementi immaginifici ridotti a mere funzioni narrative.

Questa poca attenzione nei confronti di una materia così delicata pesa nell’ampliare la mitologia e nel rileggere il mondo secondo la propria visione: la linea di Praire in questo senso risulta a tratti essere la più fragile, perché è quella attraverso cui The OA: Part II esplora la realtà circostante. La stagione riesce quindi, nella parte condotta dall’interpretazione magistrale di Brit Marling, a sconcertare con intuizioni visuali incredibili ma nella gestione delle svolte a volte, per i motivi sopra enunciati, è affossata da cedimenti occasionali e perde terreno nell’incontro con l’ambizione della propria missione. A posteriori comunque il peso di questi difetti è ridefinito dalla potenza dell’ottavo episodio della stagione, che conferisce la visione d’insieme e si fa perdonare le leggerezze in sede di scrittura.

The OA: Part II - Stagione 2È difficile non essere emozionati al riguardo. Nella simmetria assurda di un racconto fortissimo nei primi episodi e debole in quelli centrali, la chiusura della stagione risulta un momento di altissimo livello, capace di cancellare gli sbagli e le sbavature e di recuperare il senso di tutta la gigantesca operazione in pochi condensati minuti perfetti. Spinti nella casa labirinto di Nob Hill – centro dell’indagine di Karim (perché legata alla scomparsa di Michelle), termine del percorso di Praire e immagine-metafora per il corso delle puntate – i personaggi (escluse le forme corporee dei ragazzi, ancorate all’altra realtà, e Homer) si riuniscono nello stesso punto e compiono un salto. Praire si solleva, Karim apre il rosone della casa (snodo del gioco-mistero), Homer comprende il salto e gli adepti di OA fanno i movimenti cercando di salvare il loro angelo. La rivelazione comporta la visione e lo spostamento meta testuale nella nostra realtà, quella al di là dello schermo, nel set dello show occupato dagli attori Brit Marling e Jason Isaacs  assieme ai comprimari, la crew tecnica e gli elettricisti.

Attraverso questa scelta lo show sublima le tre linee, le riassume e le rilancia: il percorso di fede di Karim si chiude e allo stesso tempo si apre allo svelamento del mistero grazie a una verità ontologica e gnoseologica accecante; l’elevazione spirituale di Praire, finalmente consapevole dei suoi poteri di viaggatrice interdimensionale e dell’estensione degli universi, tocca il cortocircuito di una rappresentazione meta che spalanca il formato concettuale dello show; i ragazzi e Homer comprendono la loro missione esistenziale, tornando a credere nell’impossibile.

The OA: Part II - Stagione 2Il finale è geniale perché chiude i percorsi tematici con un’intuizione che cancella dalla memoria la frettolosità vista in precedenza e perché risveglia lo spettatore con una frustata disarmante; perché ragiona sulla “metafisica della messa in scena” e della creazione narrativa; perché torna a far vivere attraverso le immagini le proprie idee, siglando il trionfo di una scrittura costruita sulle sensazioni e fondata su temi come il processo mistico della conoscenza e la biforcazione degli universi possibili.

Il momento di chiusura permette quindi di ragionare sull’interezza del progetto. The OA si rivela un prodotto salvato e tormentato allo stesso tempo dalla sua tensione al sublime e quindi per definizione legato a momenti di involuzione qualitativa evidente, perché innamorato di una straordinarietà episodica, discontinua e costretta quasi a considerare i momenti “bassi” come controparte della rincorsa a un obiettivo superiore. La serie accetta una visione delle cose in grado di ottenere gli obiettivi preposti ma anche condannata a non ottenerli, a causa di una assenza di misura che risulta ora intuizione formidabile ora eccesso sconclusionato. Questo disequilibrio è in qualunque modo l’unica possibilità espressiva di un racconto interessato a provocare la fede nell’impossibile attraverso precise modalità.

The OA: Part II è infatti così versata nel rischio e nell’eccesso perché cerca di fotografare l’infinito spirituale e l’infinito della natura non attraverso la “teologia negativa” (l’unico modo di dire l’impossibile del divino è descrivere ciò che questo non è) come faceva con la dialettica del mistero della prima stagione, secondo la “distanza invalicabile della mistica”, ma attraverso la “teologia positiva”: la riflessione audace e trasparente a sé stessa, il tentativo di raccontare con frontalità l’ineffabilità della mente e dell’universo, secondo la dialettica della rivelazione a cui o si crede o non si crede, senza passaggio dalla ragione, ma solo con l’assorbimento di un discorso a-razionale, illogico, assurdo, ridicolo e comunque coraggioso grazie all’emotività e alla sua potenza.

The OA: Part II - Stagione 2I momenti di ridicolo involontario sono contenuti in questa cornice e sono comprensibili nella già spiegata ottica di un sublime che ridimensiona il dominio della logica per aggrapparsi al flusso trascendentale del credo. Grazie a questa opzione, la serie compie il suo salto con una domanda: credi o non credi anche di fronte all’assurdo e all’impossibile? Credere di fronte alla “teologia positiva” è molto più difficile, ma anche definitivo e più appagante per chi abbraccia la spiritualità: attraverso questa operazione la serie segna una linea di demarcazione netta tra gli spettatori, ancora di più di quanto aveva fatto con  la prima stagione. L’ultima parola è quindi solo di chi guarda e questo è il grandissimo insegnamento spirituale di un prodotto che, al netto di alcuni difetti, si conferma un esperimento unico, in grado di dire qualcosa sui fantasmi del mondo in cui viviamo e sugli universi che le persone contengono.

Il messaggio di The OA: Part II  punta all’interiorità di ognuno, sia perché ci domanda se siamo persone di fede, persone di ragione o persone che ancora versano in una incertezza, sia perché ci ricorda che in ultimo si tratta sempre di scegliere: se si crede la fede è movimento, danza che scuote i sensi, veggenza; altrimenti è qualcosa di vuoto e inerte, un nulla respingente. Per chi scrive è stato qualcosa a metà, qualcosa di ambiguo. Delusione ed esaltazione quindi. Caduta e vertigine. In ogni caso la rivelazione di un racconto incredibile che cerca di piegare l’ignoto per trasmettere il proprio lascito creativo.

Voto: 7

Condividi l'articolo
 

Informazioni su Leonardo Strano

Convinto che credere che le serie tv siano i nuovi romanzi feuilleton sia una scusa abbastanza valida per guardarne a destra e a manca, pochi momenti fa della sua vita ha deciso di provare a scriverci sopra. Nelle pause legge, guarda film; poi forse, a volte, se ha voglia, studia anche.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Un commento su “The OA: Part II – Stagione 2

  • Hugo Drodemberg

    A chi interessa il discorso della Marling, invece che The OA, suggerirei la visione di “I Origins”, suo bellissimo film di fantascienza (vincitore di premi importanti, sempre con lei scrittrice/regista/attrice). C’è tutta l’impostazione new age (scusate la parolaccia) di questa serie, senza le cadute di tono e soprattutto logiche di OA, e ci sono altrettanti spunti per riflettere sulla fede la scienza ecc., il tutto concentrato in 2 ore piuttosto che dieci. Non male, no?