Bruce Lee è uno di quei personaggi in grado di lasciare un’eredità così grande da far entrare l’uomo nella leggenda. Lǐ Xiǎolóng è stato un’icona e un pioniere per molte delle discipline in cui si è cimentato durante la sua (purtroppo breve) vita: le arti marziali, la filosofia di queste e, infine, l’ambiente dove il suo mito è nato. Si parla del suo ruolo nel cinema d’arti marziali e non solo come attore, ma anche in qualità di regista, sceneggiatore e produttore.
Eppure, anche Il Dragone ha trovato delle porte chiuse durante la sua carriera.
Nella famosa intervista del 1971 rilasciata al Pierre Berton Show, Lee narrava di esser stato scartato nelle selezioni di una serie tv americana a tema arti marziali. Anziché scoraggiarsi, ha agito come aveva sempre fatto: creandosi un’opportunità da sé. Nella medesima intervista, aveva rivelato il nome del concept per una serie televisiva su cui le sue forze creative si stavano concentrando: Warrior.
I manoscritti custoditi dalla figlia Shannon-Lee non erano solo idee buttate giù a penna, ma presentavano una trama precisa, una prima stesura dello script, fino ai disegni dei personaggi e le pose delle mosse marziali che questi avrebbero dovuto usare nei combattimenti. Purtroppo, Lee trovò non pochi problemi a piazzare questa sceneggiatura, perché, all’epoca, più di uno studio non si mostrava interessato ad assumersi il rischio, a causa dell’etnia del Dragone. Dopo la prematura morte di Bruce Lee e varie controversie in merito all’appropriazione indebita del progetto da parte della Warner Bros, l’idea è rimasta nel cassetto fino al 2015, quando Shannon-Lee e la Perfect Storm Entertainment hanno annunciato la produzione della serie per la piattaforma streaming Cinemax. Si sarebbe mantenuto il titolo della sceneggiatura originale, mentre produzione e scrittura sarebbero state affidate a Johnatan Tropper (Banshee, Vinyl) e Justin Lin (Community, True Detective).
Finalmente, dopo quasi mezzo secolo, Warrior vede la luce il 5 Aprile 2019.
Lo show è fedele al concept rimasto tanto a lungo sopito: un immigrato cinese approda negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento per ritrovare sua sorella, da lungo tempo scomparsa dall’altra parte dell’oceano. I primi dieci minuti di “The Ichty Onion” mettono in chiaro le intenzioni dello show e mostrano un ottimo equilibrio tra lo spirito del creatore originale e uno storytelling tutt’altro che vetusto. Il primo combattimento di Sahm, il protagonista interpretato da Andrew Koji (The Innocents), si inserisce in un contesto ben più ampio: la grande fiumana di anime allo sbarco di una delle navi di migranti fuggiti dai disordini e dalla miseria dell’ultimo periodo del regno della dinastia Qing, a dimostrazione che l’azione sarà una delle colonne su cui lo show si reggerà, ma non sarà l’unica.
Warrior immerge lo spettatore nel mondo delle tong formatesi nella Chinatown alla fine del XIX secolo, con un gusto che è erede di alcuni momenti più ispirati di Peaky Blinders. Il primo episodio non si scherma dal mostrare il loro ruolo in una San Francisco infarcita di intrighi politici, in cui sono invischiate le istituzioni, tramite il sindaco (Christian McKay), e le forze dell’ordine, altro importante tassello nella narrativa dello show, fra cui spiccano i ruoli di Kieran Bew (Doctor Who) e Tom Weston-Jones.
La storia di Sahm segue le vicende di un migrante reclutato da spietati boss della triade, che sfruttano le condizioni di miseria per rimpolpare le fila della malavita, resa affascinante e terribile al tempo stesso dall’estrema strumentalizzazione di certi aspetti della loro cultura nativa. Questo familiare cortocircuito culturale culmina quando Ah Toy (Olivia Chang, Marco Polo, Supernatural), matrona del bordello di Chinatown, inventa impunemente una citazione di Confucio per sua convenienza, costernando il protagonista, che con una certa filosofia doveva esser stato cresciuto – seguendo da vicino lo stereotipo del lottatore marziale venuto dall’Oriente.
La nobiltà, l’onore, il senso della famiglia sono le convinzioni che muovono Sahm nel più classico degli incipit del tipico Viaggio dell’Eroe, ma lo show scardina queste certezze ad una ad una con grande stile, senza mai tradire la sua natura; Warrior costruisce un mondo ambiguo fatto da sfumature di grigio che affogano i personaggi più nobili d’animo nella miseria del mondo con cui si confrontano. Questa ambientazione compenetra un promettente racconto corale moderno, dove non è neanche troppo celata la tematica della guerra tra poveri, ora più che mai attuale, guardando tanto alla realtà quanto alla spettacolarizzazione delle proprie scene d’azione, in un’atmosfera bellicosa che strizza l’occhio a produzioni di culto come Gangs of New York.
Nel dispiegarsi della trama, l’accento è posto sul come tale guerra si sviluppi da propositi di sopravvivenza smossi da una distorta idea di giustizia, nata nella giungla che sono i sobborghi della terra delle opportunità; l’unica giustizia possibile sembra quella che l’individuo si crea da sé, perché sopravvivere ed essere nel giusto vanno di pari passo. Molti personaggi si dedicano alla ricerca di un nemico dove proiettare la rabbia della propria, precaria condizione. Un ritratto spietato, attuale, che “The Itchy Onion” ha il merito di tratteggiare, ponendo le basi per un’interessante impalcatura tematica a reggere i prossimi episodi dello show.
Warrior non dimentica i suoi personaggi. Il lavoro sui volti che popolano lo show giova dell’intreccio tra la tradizione del genere e una narrazione al passo coi tempi e Sahm ne è la prova. Ad un primo sguardo il protagonista appare quasi banale, ma, ad un esame più attento, la sua figura assume nuova linfa dallo stratificato contesto in cui si muove. Nelle divertenti e spettacolari coreografie dei combattimenti, Koji raccoglie l’eredità di Bruce Lee, imitandolo nelle espressioni e nei movimenti, ma fuori dalla tenzone le motivazioni del protagonista vengono costantemente messe in discussione, gettando ombre sulla sua ricerca apparentemente nobile.
I personaggi dello show ricalcano le figure tipiche delle pellicole d’arti marziali più datate, ma Warrior va oltre il loro semplice ruolo nella narrazione del genere. L’attenzione prestata al ritratto storico, per quanto romanzato, dona a queste figure personalità rinnovate, grazie all’influenza nelle rispettive sottotrame dalla loro condizione sociale, che non rimane un semplice contorno. Così, i personaggi risultano ben definiti e presto riconoscibili. Accade per Sham, per Ah Toy, ma anche per il virile Dan Leary (Dean S. Jagger da Game of Thrones), capobranco della frangia più violenta dei lavoratori e contestatori irlandesi, o il Maggiore Samuel Blake, il giusto agente di polizia sudista, che potrebbe creare interessanti paralleli incrociando la strada con il protagonista: entrambi onorevoli, entrambi coinvolti nelle battaglie di un mondo che li riconosce come parte di sé, ma in cui non riescono a inserirsi e a vivere a loro agio, a causa dell’attrito tra la violenza, la corruzione e i loro codici morali.
Infine, non è da tralasciare l’atmosfera che Warrior plasma attraverso l’estetica curata nel dualismo fra Oriente ed Occidente, fra i luoghi del potere dei piani alti come dei bassifondi di San Francisco, e le musiche, che riecheggiano ora levante ora ponente. Sono tutti sforzi volti a mettere assieme il mosaico riuscito e promettente che si mostra con il primo episodio di questo nuovo prodotto targato Cinemax.
L’equilibrio tra l’eredità di Bruce Lee e un afflato creativo moderno sembrano sposarsi più che bene in “The Itchy Onion”, che si muove agile tra i tropes del genere e una nuova sensibilità nel raccontare una storia che guarda al panorama seriale odierno. In definitiva Warrior si presenta come un prodotto accattivante, con picchi qualitativi non indifferenti, in grado di soddisfare gli appassionati e non.
Voto: 8