Questa seconda settimana di maggio ha visto l’arrivo di una nuova miniserie targata HBO, in cui la penna di Craig Mazin e la regia di Johan Renck – che ha già diretto, fra le altre cose, alcuni episodi di Breaking Bad, The Walking Dead e Vikings – si propongono di raccontare e di mettere in scena le terribili vicende accadute durante e dopo il 26 aprile 1986, quando, nei pressi della città ucraina di Pryp’jat, avvenne la tremenda esplosione nella centrale di Chernobyl, purtroppo teatro del più grave incidente mai verificatosi in una centrale nucleare.
La nuvola di materiale radioattivo fuoriuscita dal reattore esploso della centrale ha lasciato dietro di sé una scia di morte, dolore e malattia che sembrava non aver fine, condannando quasi immediatamente alla morte i lavoratori e i soccorritori più vicini alla centrale e facendo ammalare ben presto un enorme numero di persone più o meno lontane che hanno subito la contaminazione.
Come se le tremende e immediate conseguenze dell’incidente non fossero già abbastanza, la gravità della situazione aumentò a causa dell’atteggiamento omertoso dimostrato dal governo sovietico che, oltre a non essersi subito reso conto dell’entità dell’incidente, decise di ridimensionare l’evento e di tenere inizialmente nascosta al mondo la notizia di un grave incidente nucleare.
Craig Mazin, che ha lavorato quasi sempre per prodotti comici, ha deciso di intraprendere questo nuovo percorso in campo drammatico tenendo bene in mente proprio questi due aspetti dell’evento: da un lato, mostrando la disperazione e l’eroismo di coloro i quali si sono trovati sul posto al momento dell’esplosione e che hanno cercato – per quanto possibile – di limitarne gli ingenti danni; dall’altro lato, mettendo in scena le discussioni e le discutibili decisioni prese dalla commissione sovietica al riguardo. In un’intervista lo sceneggiatore ha affermato di essere interessato alla messa in scena delle conseguenze e dei pericoli scaturiti non solo dall’esplosione, ma soprattutto dal successivo oscuramento della verità da parte del governo sovietico che, coprendo e distorcendo i fatti, ha danneggiato ulteriormente una situazione già estrema e disperata. Ma non solo: attraverso una lunga ricerca e un gran numero di consultazioni con scienziati, fisici e persone che hanno vissuto in prima persona quella drammatica notte, Mazin ha cercato di raccontare i fatti con la massima accuratezza possibile, mostrandoceli da diversi e numerosi punti di vista, tutti ugualmente interessanti nella loro tragicità.
In “1:23:45”, il primo di cinque episodi, vengono rappresentati i drammatici eventi avvenuti durante e subito dopo l’esplosione attraverso diverse prospettive, a partire dai lavoratori e dai soccorritori che si trovavano dentro e nei pressi della centrale, fino alle reazioni dei cittadini ignari dell’effettiva gravità del fatto, senza tralasciare qualche primo sguardo alle decisioni prese dalla commissione sovietica. Il gran numero di punti di vista messi in gioco non rendono affatto questo pilot dispersivo, anzi: l’ottima regia di Johan Renck è riuscita ad unire queste numerose versioni in un insieme omogeneo che risulta poetico e coerente nella sua tragicità. Ogni personaggio messo in scena, per quanto possa differenziarsi dagli altri, ha in comune con il resto il fatto di essere vittima della stessa tremenda condanna; così facendo, sarà proprio la veridicità degli eventi messi in scena a rappresentare l’elemento più forte e riuscito di questo primo episodio, che trova la sua attrattiva proprio nella cruda consapevolezza – da parte degli spettatori – di assistere a qualcosa che è successo nella realtà non moltissimo tempo fa. I creatori dello show sono, infatti, riusciti a rendere un punto di forza la posizione onnisciente dello spettatore che, già al corrente della gravità dell’evento, sarà investito emotivamente proprio nel vedere lo smarrimento iniziale dei personaggi, colpito così dalla loro inconsapevolezza e dall’inferno che sembra averli subito raggiunti in pochi secondi.
Sono molte le riuscitissime scene in cui i personaggi (in particolare, i lavoratori nella centrale) non presentano ancora i segni delle radiazioni sul loro corpo, ma in cui è comunque possibile avvertirne la pesante presenza grazie all’ottimo lavoro svolto dalla regia e dalla colonna sonora, capaci di mostrare e di far avvertire l’irrimediabilità della situazione senza un eccessivo utilizzo di scene crude (gli effetti devastanti mostrati sul corpo dei personaggi riguardano, ad ora, soltanto coloro i quali si sono trovati investiti in pieno dalle radiazioni). Gli autori, insomma, hanno dimostrato con questo pilot di trattare con grande tatto la messa in scena dei dolori e delle conseguenze subite dai lavoratori e dai soccorritori: a colpire lo spettatore non sono solo i tremendi effetti dovuti alla loro diretta esposizione alle radiazioni, ma sono il loro coraggio, la loro resilienza e i loro atti eroici, seppur disperati. Il dolore e la morte messi in scena (anche se appartenenti a personaggi inquadrati solo per pochi secondi) acquistano così una carica intima e tragica capace di lasciare il segno e di avviare il percorso di questa miniserie in modo per nulla scontato e più che positivo.
Ad affiancare queste prime impressioni convincenti è anche presente un cast di tutto rispetto che vede la presenza, fra gli altri, di Jared Harris nei panni di Valerij Legasov, il chimico sovietico che indagò sul disastro di Chernobyl; Stellan Skarsgard nel ruolo di Boris Shcherbina, il vice Primo Ministro Sovietico inviato ad occuparsi dell’emergenza; ed Emily Watson per l’interpretazione di Ulana Khomyuk, un personaggio fittizio che ha avuto poco spazio nel pilot ma che, probabilmente, acquisterà molta importanza nelle prossime puntate.
In definitiva, l’esordio della miniserie Chernobyl colpisce nel segno grazie alla fedeltà e al rispetto dimostrati nei confronti di una tragedia tanto grande, avviando un percorso che si preannuncia positivo e che, si spera, sarà in grado di mantenere l’atmosfera, l’equilibrio e la poeticità di cui si diceva in precedenza. Ad ora, l’esperimento di Craig Mazin promette decisamente bene.
Voto: 8
Bellissima nella sua drammaticita’.Davvero un gran pilot.
Nonostante conoscessi la storia per tanti documentari visti questo pilot è avvincente, l’ HBO è una garanzia.
Raramente ho visto un prodotto talmente drammatico, poetico e agghiacciante allo stesso tempo.
La tragica realtà diventa il peggior incubo al quale noi, spettatori per l’appunto onniscienti, assistiamo in maniera pietrificata ed inerme: è come se, attraverso lo schermo, vorresti gridare a quelle persone di non andare sul tetto, non andare sul ponte, di proteggersi.
Il rumore del dosimetro penso diventerà il mio peggior incubo.
Una miniserie superba, mostruosa: mostruosamente reale e mostruosamente tragica.