The Society – Stagione 1


The Society - Stagione 1Non è difficile riconoscere quanto la furbizia produttiva del celeberrimo algoritmo di Netflix sia coinvolta nella costruzione di The Society. La serie creata da Cristopher Keyser e incentrata sull’improvvisa e misteriosa rilocazione di tutti gli adolescenti di West Ham (dopo la comparsa di un misterioso odore) è fin dalle premesse un dichiarato collage degli elementi di serie differenti.

Nella sua composizione coesistono infatti la scomparsa demografica senza spiegazione di The Leftovers, la lotta per il potere di The 100, il protagonismo adolescenziale di 13, la prigione dalle sbarre metafisiche di Under the Dome, le tematiche sociali di Lost. E non in ultimo la stessa intenzione didattica di un classico (ispiratore anche per le serie appena citate) come “Il signore delle mosche”: raccontare la presa di coscienza e l’imperativo della scelta di alcuni giovani individui di fronte al peso della perdita.

C’è quindi una evidente compresenza di caratteri forti, presi in prestito per un lancio in apparenza coperto, assicurato ma anche vincolato a precise necessità. Questa esplicita natura direzionale porta a chiedersi se la serie sia solo una copia sbiadita interessata a inseguire uno dei temi più visitati e fortunati della storia della serialità recente oppure un prodotto in grado di piegare il proprio corredo genetico calcolato a tavolino per raccontare qualcosa di personale: è il solito quesito impacchettato negli originali Netflix, quello che si chiede se l’operazione nasconda qualità meno operazionali, più libere e originali rispetto alla griglia organizzativa del colosso streaming.

The Society - Stagione 1The Society risponde in due modi a questo interrogativo a seconda dell’episodio che si sta guardando. Il suo arco narrativo comincia da un punto qualitativamente basso e poi procede in elevazione fino a installarsi in una zona più alta della sufficienza ma non ancora appartenente all’emisfero dei prodotti molto validi. Per la prima parte della sua stagione infatti dà ragione alle aspettative negative, presentando una narrazione fin troppo legata alle produzioni sopra citate, inerte e passiva nel ripercorrere dinamiche scontate e nel soddisfare ingenuamente il pubblico di riferimento.

Poi nella seconda parte le contraddice a sorpresa, collezionando in crescendo momenti intensi ed elementi caratterizzanti, spunti propositivi e intuizioni appassionanti. A posteriori è facile dire che è necessario dare fiducia a questa serie, sopportandone i difetti produttivi (dieci episodi da un’ora sono ormai una prigione che costringe a dilatazioni dannose la narrazione) e intuendone le potenzialità sommerse da scelte discutibili. La storia infatti guadagna nel tempo e migliora nelle modalità del racconto e della tematizzazione, come liberandosi il più possibile da una struttura a trampolino troppo limitante.

Durante la visione invece è più difficile riconoscere il momento di stacco in cui la serie si separa da un tipo di rappresentazione ingenua dell’adolescenza e da una caratterizzazione sopra le righe dei personaggi per raggiungere contenuti più interessati a ragionare sulle tematiche ribollenti del contemporaneo. Non si può infatti a una più attenta analisi scindere semplicemente la stagione in due tronconi qualitativamente differenziati: alcuni elementi positivi sono presenti in piccola dose fin dai primi minuti, come alcune negatività della prima parte permangono nella seconda.

The Society - Stagione 1Tuttavia, è possibile identificare nella cornice narrativa dello show e nella sua parabola evolutiva elementi esemplificativi sia per la cattiva scrittura che per la buona scrittura, tenendo sempre a mente (in retrospettiva) la direzione ultima della narrazione – riflettere sulle dinamiche sociali e politiche del mondo occidentale attraverso il punto di vista di alcuni adolescenti americani – e misurando il successo o l’insuccesso in base all’avvicinamento concreto di tale obiettivo.

Il punto debole è il modo in cui vengono descritte le relazioni interpersonali tra gli adolescenti protagonisti. La serie gira molto intorno alle psicologie dei suoi personaggi: vuole tratteggiare la loro reazione emotiva a una tragedia inspiegabile, pedinarli dentro e fuori dagli ambienti privati, osservarne le azioni nel reticolo sociale, guardarli piangere e confessarsi, arrabbiarsi e ubriacarsi per dimenticare un lutto, ridere e cercare di formare una società sostenibile. La scrittura però non è in grado di rappresentarli con sincerità o con frontalità nel momento dello svelamento emotivo condiviso, legittimato e provocato da un evento mistico sconvolgente.

La serie, nella gestione dei sentimenti, per la maggior parte del tempo non li interroga al fine di una comprensione empatica ma li mette su un piedistallo retto da frasi forzate e voci rotte che cercano – anche con interpretazioni troppo calcate – di commuovere senza la possibilità di farlo. L’emotività dei personaggi che più rivelano la loro instabilità e la loro sofferenza è muta sotto il peso dell’artificiosità: il motivo non è la metaforizzazione continua che abita i corpi e le decisioni delle figure ma il dislivello presente tra la visione della scrittura e quella del soggetto scritto.

The Society - Stagione 1Scritti da adulti interessati a ragionare su tematiche adulte (e legate al mondo adolescenziale solo nella misura di uno studio sociale in vitro) i personaggi sono incapaci di esprimere loro stessi quando provano a comunicare le loro sensazioni. I caratteri che più trasmettono il senso della tragedia e della fragilità sono quelli marginali, che parlano poco e esprimono con gli occhi il loro stato emotivo e (in certi casi) il loro romanticismo.

Grizz, Sam, Becca, Elle e Harry sono paradossalmente scritti meglio di Cassandra (Rachel Keller), Allie (Kathryn Newton), Will e Helena proprio per questa ragione: comunicano a un livello più sincero le loro sensazioni perché si affidano meno alle parole e più al linguaggio del corpo per esprimere nei rispettivi casi la condizione di una omosessualità nascosta e improvvisamente rivelata, il mutismo autoimposto dei sentimenti, il miracolo del parto, la violenza domestica e l’ombra della depressione. La scrittura del corpus dei personaggi comunque migliora sul lungo, anche se rimane incapace di gestire il romanticismo presente nello show.

Buona parte del lessico dei personaggi è infatti di tipo romantico e questa disabilità espressiva azzoppa in qualche modo la fluidità comunicativa della serie. Per fortuna la serie è in grado di distaccarsi da questo tipo di racconto – che non è negativo in senso lato, ma lo è più evidentemente se scritto senza passione o metodo – e di addentrarsi in ciò che ritiene primario: raccontare alcuni snodi dell’asse civile riproducendone la complessità.

The Society - Stagione 1Calando gli adolescenti in una società priva di regole la serie ragiona sulla funzione delle cellule sociali nella nostra realtà e analizza – sempre nella cornice di intrattenimento – i costrutti esistenti per comprenderli meglio, facendoli costruire da personaggi finzionali, quindi rivelando passo per passo la loro funzione e i loro difetti. I temi politici toccati sono molti, dal legame tra populismo e strategia del nemico comune alla lotta “partitica” tra la conservazione dei privilegi e la condivisione dei beni, dalla presenza delle armi alle questioni di genere. Il meglio la serie però lo da quando riflette sui pericoli che più si legano ai giovani e al loro ruolo nella costruzione del futuro.

L’incapacità di comunicare a causa dell’assenza di connessione digitale, il disinteresse verso lo spirito critico e la mancanza di aggregazione identitaria sono tematiche che aiutano a ragionare sul comportamento dei giovani nel mondo reale, sulla loro posizione nel complesso rizoma dell’ambiente sociale. Gli episodi in sequenza mostrano i danni provocati da una gioventù slegata dalle responsabilità della vita, il bene prodotto dal sogno di una società libera dalle colpe dei propri genitori, la drammatica involuzione (molto ben organizzata nella trama) di una positiva organizzazione a causa dell’odio di pochi singoli mistificatori.

Si vedono sullo schermo infine le dinamiche di un gruppo disgregato dall’interno dove tutti sono divisi, tutti hanno paura, tutti vogliono protezione e tutti rinunciano al pensiero critico a favore della narrazione forte che promette di mettere in salvo. Una società dove i ragazzi, incapaci di pensare perché non esercitati e non abituati a farlo, seguono la voce più forte, quella del bisogno primario o della paura, quella che comanda di odiare e di allontanare senza pensiero critico. Il fallimento degli ideali lentamente e faticosamente costruiti è l’intuizione dello show, il twist attraverso cui il racconto si dimostra didattico perché premonitore.

The Society - Stagione 1La scelta narrativa di mettere in difficoltà i personaggi, sigillandone le sorti in una parentesi che si conclude negativamente, completa l’esperimento narrativo dello show. Grazie a una conclusione che mette in luce il peso delle conseguenze, dovute a scelte consapevolmente irresponsabili,  infatti la storia riesce a esprimere sia a livello narrativo che tematico il pauroso fatto che non sarà mai troppo lontano il momento in cui i padri e le madri scompariranno lasciando la responsabilità ai figli.

È questo il miglior risultato ottenuto dalla narrazione: mettere in cattività i propri protagonisti per velocizzare il processo di perdita della giovinezza, simulando la caduta delle certezze per assistere al comportamento di chi è strappato alla virtualità della spensieratezza e gettato nell’incandescenza del mondo. Il messaggio è lucido e viene posto in forma di domanda: i ragazzi di oggi cosa faranno con l’eredità del domani? Il finale non è consolatorio o felice, anzi, è una risposta che rimanda la positività a un’altra stagione non confermata (pur allo stesso tempo fomentando il tifo per la riuscita del bene, dell’equilibrio, della felicità pubblica e personale).

È  proprio nel finale di questa prima stagione che The Society dimostra di poter raccontare qualcosa di valido. Togliendo la necessità deleteria di richiamare un certo tipo di pubblico con delle linee narrative preimpostate al romanticismo adolescenziale, la serie dimostra di essere in grado di raccontare ciò che vuole raccontare. La perdita dell’innocenza e l’acquisizione delle responsabilità sono espresse con tono adulto; il sogno di un mondo migliore e l’incapacità di sostenerlo sono altrettanto ben approfondite. È necessario superare i primi episodi costruiti secondo la legge algoritmica delle preferenze e della compatibilità, e arrivare alle battute finali per scoprire le potenzialità dello show. Alla fine, in qualche modo ci si appassiona e ci si (ri)crede.

Voto: 6½

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Informazioni su Leonardo Strano

Convinto che credere che le serie tv siano i nuovi romanzi feuilleton sia una scusa abbastanza valida per guardarne a destra e a manca, pochi momenti fa della sua vita ha deciso di provare a scriverci sopra. Nelle pause legge, guarda film; poi forse, a volte, se ha voglia, studia anche.

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