Black Mirror ci ha insegnato spesso la meraviglia verso una tecnologia futurista (ma non troppo) che avrebbe prima o poi sconvolto le nostre vite, incidendovi talmente tanto da lasciarci un senso di angoscia profondo. Con le nuove puntate della serie, e soprattutto con questa, l’attenzione si sposta invece molto più sulle persone: per lo show è un bene o un male?
Chris e Jaden, i due protagonisti di questa puntata, sono lo specchio di una parte della nostra società moderna. Il primo, poco più che trentenne, vede nell’altro ragazzo – che scopriremo poi avere dieci anni in meno – un impiegato altolocato della Smithereens: valigetta, valigia e pronto a partire per San Francisco, chiamata di lavoro in corso, vestito elegante. Questo è il primo punto che ci suggerisce come l’annata di Black Mirror sia virata più sulle persone e il loro rapporto con la tecnologia che sugli effetti devastanti che un certo tipo di tecnologia può avere sulla società: l’apparenza è ormai la moneta sonante con cui si sopravvive, perché Jaden è uno stagista che ha cominciato da pochi giorni a lavorare, sta facendo il galoppino per il suo capo e conosce solo la responsabile delle risorse umane.
La crisi di nervi che ha Chris quando lo scopre è tremendamente realistica, perché in un mondo dominato dal digitale – e non dal reale – vivere in maniera “normale” e logica non è più possibile, bisogna sempre leggere in maniera “altra” quello che abbiamo davanti.
La tecnologia in questo episodio fa capolino quando il dramma si sta già consumando, ma lo fa in maniera del tutto normale se pensiamo al mondo in cui viviamo nel “reale”. I social network sono una cassa di risonanza della realtà spaventosa: i due ragazzi che per caso si trovano sul luogo del rapimento informano il mondo in tempo reale su quello che sta succedendo, e Chris è costretto ad accedere all’applicazione che non apriva da mesi per vedere cosa sta succedendo al di fuori della sua macchina. I social sono uno specchio (spesso distorto) del reale e senza nemmeno accorgercene vi ci specchiamo tutti i giorni per sentirci parte di qualcosa: guardate Chris, inesistente per mesi sulla piattoforma, è diventato un fantasma. Ma non per chi possiede i suoi dati, e quindi la sua vita: l’azienda social sa molto di più della polizia. Chris ha una fedina immacolata ma è iscritto a un social network, è quasi come avere un precedente penale. Ed è una cosa che fa paura.
Tutto il resto dello svolgimento dell’episodio risulta però un po’ troppo lento e meccanico, il segmento in cui Chris aspetta di poter parlare con il fondatore del social network ha pochissimo a che vedere con tutto quello a cui ci ha abituati Black Mirror. Non che sia per forza un male in generale, ma risulta anche un po’ ridicola la figura di Billy Bauer, un santone in ritiro spirituale per disintossicarsi dalla creatura che lui stesso ha creato, quasi come a voler sottolineare la fastidiosa e pericolosa dipendenza che i social possono provocare. È tutto quindi un po’ troppo didascalico e, anche se il racconto si focalizza molto più sulle persone che sulla tecnologia, ha una risoluzione piuttosto banale. Anche la spiegazione del dramma di Chris è telefonata: l’unico punto di forza di tutto questo è forse la contemporaneità del messaggio che ci lascia la puntata.
Se infatti in precedenza Black Mirror ci aveva abituati a un uso della tecnologia “deviato” e tendente praticamente sempre al male, qui la realtà supera la fantasia. La storia di Chris, calata in un contesto odierno, sarebbe del tutto plausibile; anzi, non escludiamo che alcune volte, in qualche parte del mondo, degli incidenti stradali siano avvenuti proprio così.
Resta comunque spiazzante questa scelta da parte di Brooker e colleghi, ovvero additare i social network come una tecnologia pericolosa e nociva se usata come surrogato della realtà che ci circonda: è tutto vero e assolutamente condivisibile ma in questo caso specifico (l’incidente di Chris che innesca poi il racconto di puntata) la scelta di guardare il cellulare e mettere like alla foto di un cane viene esclusivamente dalla componente umana. Non c’è una tecnologia che ti obbliga a guardare il cellulare mentre guidi, è solo stupidità – che, diciamola tutta, non può essere mascherata dietro alla presunta dipendenza che creerebbe l’applicazione, leggermente accennata e priva di un background alla Black Mirror.
Sostanzialmente, “Smithereens” non è un brutta puntata, è un episodio che ci cala nel presente e non in un immediato futuro, con una tecnologia ormai quasi obsoleta (se paragonata allo standard della serie) come protagonista. È un episodio lineare che, come detto, potrebbe essere davvero una news di cronaca che potremmo leggere domani sui giornali, ed è per questo che lascia un po’ spiazzati: non sembra affatto una puntata di Black Mirror.
C’è comunque un’interessante chiusura, ovvero tutte quelle persone che hanno seguito il caso sui social e che vengono a sapere della morte (o almeno, è quello che intuiamo) del suo protagonista, perdono immediatamente interesse per la storia, come se tutto il dolore e la sofferenza che hanno letto e di cui hanno discusso non fossero stati altro che una serie di parole e frasi che oggi chiamiamo “status”.
Questo sì che è un finale alla Black Mirror: al giorno d’oggi, siamo nient’altro che notifiche.
Voto: 6