La seconda stagione di Mayans MC, spin-off nato dalla serie madre Sons of Anarchy, è nata sin da subito con una nube indefinita di problemi relativi alla sua produzione: se infatti ufficialmente l’annata partiva in contemporanea alle dichiarazioni di Kurt Sutter di fare un passo indietro a partire dalla stagione tre, lasciando le redini al co-creatore Elgin James (“It’s time for the white guy to leave the building”, dichiarava pubblicamente), ufficiosamente la situazione era molto più tesa. I risultati di questa sono stati resi noti solo più tardi, ma in definitiva hanno portato ad una conclusione per molti inaspettata: dopo 18 anni di collaborazione, FX ha licenziato Kurt Sutter per le molte lamentele ricevute a seguito del suo comportamento sul set.
La notizia ha da subito colpito il pubblico, per l’ammissione dello stesso Sutter di non essere stato particolarmente collaborativo ma anche per i messaggi non troppo velati mandati in direzione della Disney – che, grazie alla fusione con la Fox, ha di fatto acquisito anche FX e dunque la serie stessa. È necessaria questa introduzione perché solo andando a scavare tra i fatti accaduti, alcuni dei quali emersi in queste ultime settimane, si può capire come mai la stagione abbia un andamento per certi versi altalenante; una struttura in cui, ad una costruzione lenta del puzzle che porta all’esplosione finale (un classico della scrittura di Sutter), si affianca anche una certa leggerezza nella gestione di alcune sottotrame, come se a queste fosse stata data minor attenzione in fase di scrittura. Ed è così, a quanto pare: il motivo del contendere tra Sutter e la Disney sarebbe stata la sensazione sempre più pressante, secondo il primo, di essere controllato nella fase di produzione. A questa pressione – vera o presunta, non è dato a noi saperlo – Sutter ha risposto inserendo battute contro la Disney e presentando sempre più in ritardo i copioni, in modo che la produzione non potesse mettere mano alla sua creazione; così facendo ha tuttavia generato una tensione, da lui stesso ammessa, che ha portato ad un ambiente sul set sempre più difficile. Insomma, quello che a noi interessa più di tutto è una cosa sola: la faida tra Sutter e la nuova proprietaria Disney ha portato alla rottura di una collaborazione ventennale tra FX e lo stesso Sutter, ma soprattutto ha per sempre estromesso quest’ultimo dal mondo creato con Sons of Anarchy, che prevedeva in potenza anche la creazione di un prequel sui First 9, ora ufficialmente accantonato.
Partiamo quindi dalle sezioni del racconto che sembrano aver subito maggiormente le conseguenze di questa situazione.
Se la scorsa stagione si chiudeva con l’accordo tra Miguel e Adelita, portato avanti di nascosto mentre ufficialmente Galindo collaborava con Potter, questa annata ha preso tutto il potenziale di questo letale “tango a tre” e l’ha soppresso nel giro di pochissime puntate. L’inserimento di Montserrat Palomo sembrava avere le carte in regola per condurre la narrazione ad un’espansione della trama dal punto di vista socio-politico; tuttavia l’arresto di Adelita e la sua pressoché totale estromissione dalla storia fino alla conclusione – con la nascita del bambino e di conseguenza il ricatto di Potter verso Angel – ha sgonfiato completamente una situazione che sembrava dover raccontarci molto di più, soprattutto per la struttura che Mayans MC ha avuto fin dall’inizio. La vita al confine, il muro di divisione col Messico, la questione sociale e politica che si intreccia con la malavita è stata fondamentale sin dal pilot, e spiace vedere come in questa annata sia stata ridotta così tanto da diventare quasi inesistente.
A prendere il suo posto, e riuscendoci con buoni risultati ma non per gli stessi motivi, è la storyline di Emily e della proposta per l’agro-park, ossia il tentativo di aumentare la parte legale del lavoro di Miguel al di qua del confine, che però passa attraverso un graduale ma inarrestabile cambiamento della donna: la sua volontà di far andare bene questo affare, proprio perché legale, diventa così forte da spingerla a compiere azioni via via sempre più gravi, e questo proprio nel momento in cui Miguel è, per forza di cose, costretto ad allontanarsi dai piani originari e sovversivi con Adelita. La trasformazione di Emily – che vorrebbe ricordare da lontano quella che fu di Tara in SoA, ma che appare come copia sbiadita non perché scritta male, bensì perché troppo rapida – diventa invece molto più interessante nell’ottica del rapporto di coppia con Miguel, che assume in questa stagione un ruolo centrale.
Se nella scorsa annata i loro conflitti giravano in modo prevedibile (nonché stereotipato) intorno alla presenza di EZ, in questa stagione diventa molto più interessante osservare il loro allontanamento perché avviene su basi che vanno a toccare il loro modus vivendi e la loro mancata comunicazione. Ai cambiamenti di Emily, Miguel sa reagire solo mettendole una scorta 24 ore su 24, e la donna – conoscendo perfettamente il marito – non può che rispondere con sotterfugi che appaiono scontati: questo accade proprio perché lei sa (e sappiamo di rimando anche noi) cosa aspettarsi da suo marito, un uomo che ama ma da cui si sente lontana poiché fatica a comprendere quanto le sta accadendo. È questa forse la sensazione più presente che si ha durante la visione della storyline della donna: è come se la sua vita le passasse davanti agli occhi senza che lei riesca a fare altro se non seguire il corso degli eventi, come se fosse impossibile opporvisi – una sensazione che nel mondo creato da Sutter è presente da sempre, ossia il senso di impotenza davanti a leggi non scritte che in qualche modo obbligano sempre a reagire in una maniera ben precisa davanti a determinati eventi. L’incapacità di Emily di star dietro a sé e alle sue azioni la porta a chiudersi in se stessa e quindi ad allontanarsi sempre di più da un marito che, paradossalmente, in questa stagione vive più legalmente di lei: un’inversione di ruoli per nulla scontata, che aumenta lo spessore di entrambi i personaggi, donando loro una profondità inaspettata.
Per quanto riguarda la storyline principale, ossia la vita dei Mayans e i loro affari, riscontriamo la già citata tendenza di Sutter a costruire lentamente un universo pronto a esplodere, in questo caso con una gestione forse anche più lenta del solito ma non per questo meno interessante. A prendersi tutta l’attenzione, più che gli affari in quanto tali, sono le dinamiche interne al charter Santo Padre, che evidenziano ancora una volta tutte le differenze tra questo club e quello dei Sons of Anarchy – quest’anno presenti in più di un’occasione, con anche una comparsata apprezzatissima del mai troppo rimpianto Chibs. I Mayans fanno parte di un charter unito, senza alcun dubbio, ma è impossibile non riscontrare, come già si era visto lo scorso anno, quanto le singole individualità abbiano un peso maggiore sia a livello di storyline, sia a livello di motivazioni che muovono le suddette sottotrame. Il concetto di lealtà, che l’anno scorso era stato incrinato sin da subito a causa della sottotrama con i Los Olvidados, quest’anno si mostra molto più presente, ma non elimina quella sensazione di individualismo che fa di questo club qualcosa di diverso da quello dei SoA. Lo vediamo nell’attenzione data alle singole storie (l’anno scorso una parte fondamentale fu quella della vita familiare di Coco, quest’anno quella di EZ e Angel, di cui parleremo), ma anche nella difficoltà a prendere determinate decisioni comunitarie, come accade alla fine per quanto riguarda la vendetta nei confronti dei Vatos Malditos.
La reazione di Bishop – diviso tra la fedeltà al charter e quella agli altri King del club, pressato dalla questione delle armi e di conseguenza dalla prospettiva dei soldi – porta il gruppo Santo Padre sul limite della rottura, fino a che la situazione non viene sciolta con un sacrificio (compiuto, non a caso, da un singolo individuo): la decisione individuale di Taza di uccidere Riz per obbligare Bishop a vendicarsi è un momento fondamentale, non solo per la sua intensità emotiva, ma anche e soprattutto perché evidenzia ancora una volta come in questo universo le scelte individuali siano molto più rilevanti rispetto a quelle del gruppo, e quanto siano in grado di cambiare completamente le carte in tavola. Si arriva quindi a quella “retaliation” così disperatamente richiesta da Coco, che chiude la stagione portando con sé due enormi problemi: non solo Palo è riuscito a scappare con la madre dall’agguato, ma durante quest’ultimo ha perso la vita un componente dei SoA, di cui non ci viene mostrato il volto. Poco importa, infatti: quello che conta è che, se già la vendetta di per sé era rischiosissima alla luce dell’accordo contrario preso con gli altri King, con la morte di un figlio dell’anarchia si va verso uno scontro che sarà di sicuro la base da cui si muoverà la già annunciata terza stagione.
Anche questa seconda annata finisce quindi con un collegamento con il club della serie originaria, così come il primo season finale si chiudeva con la scoperta del coinvolgimento di Happy nella morte della madre di EZ e Angel. Il rapporto tra i due fratelli, incrinatosi nella prima stagione, assume una centralità fondamentale in questa annata – non a caso i titoli del primo e dell’ultimo episodio (“Xbalanque” e “Hunahpu”) rimandano proprio a due eroi gemelli della mitologia Maya, come a chiudere il cerchio e a tirare le somme di questa travagliata storia familiare.
Il loro ritrovato rapporto, che passa attraverso la dolorosa scoperta della morte della madre, si affianca allo svelamento della vita di Ignacio Cortina, ora Felipe Reyes, che tanto mistero aveva suscitato lo scorso anno. Se sulla carta gli elementi hanno un loro indubbio fascino (il legame tra Ignacio e Dita, la paternità di Miguel, l’uccisione di Marisol da parte di Dita per gelosia e anche per la paura che la suddetta paternità venisse svelata) lo si deve anche alla piega stessa dello show, che, spostando la narrazione verso il confine e dunque verso l’America Centrale, assume delle sfumature più passionali rispetto alla serie madre. Tuttavia, ciò che regge sulla carta sbiadisce nella resa, ed è così che tutto l’hype creato dalla ricerca a partire dalle parole di Happy si perde un po’ per strada. Questo accade soprattutto a causa della scelta di incontri piuttosto prevedibili e ripetitivi tra Dita e Felipe, che sgonfiano la tensione della scoperta a tal punto che, quando vediamo la firma di Dita nei pagamenti per l’omicidio dei coniugi Reyes, capiamo sin da subito che è stata lei, mentre l’intento della serie è con ogni evidenza quello di farci sospettare, insieme ai personaggi, del coinvolgimento di Miguel – a cui però lo spettatore non può credere neanche per cinque minuti. È forse a causa di questo che la resa di Dita e il suo voler essere uccisa da un Reyes, per senso di colpa ma anche per via di quelle regole e leggi a cui non si può sfuggire, non riesce ad assumere il pathos voluto (non che fossimo alla ricerca di una storia simile a quella di Gemma, non sarebbe stato possibile neanche volendo) se non nell’azione di EZ in quanto tale: è in quest’ultima che riconosciamo la penna di Sutter, autore degli ultimi due episodi. La furia che vediamo negli occhi del protagonista durante lo strangolamento di Dita (con un’inquadratura che insiste su quello sguardo, accecato di rabbia e di dolore) va a rappresentare l’ultimo rito di passaggio nella trasformazione di Ezekiel Reyes da “prospect per obbligo” a Mayan per scelta – e non a caso è proprio nel season finale che EZ si guadagna il patch, riconoscendo nei Mayans la sua nuova famiglia e venendo accettato da questa.
Un pensiero va infine dedicato a Potter, personaggio eccentrico e irrinunciabile di questo show, ereditato dalla serie madre e assoluto protagonista in ogni scena che lo riguarda. La scelta di mostrare finalmente una sua debolezza è stata forse la carta più giusta da giocare, proprio perché questo villain quasi shakespeariano, capace di incredibili nefandezze pur proclamandosi sempre dalla parte della legge, rischiava a lungo andare di diventare una macchietta. L’informazione sul suo conto relativa al figlio avuto con una testimone non solo porta Emily a compiere una scelta per salvare Miguel, non solo porta Angel a scegliere tra salvare il padre o Adelita, ma ha l’incredibile compito di ridare linfa al personaggio stesso di Potter, che ora ha una nuova leva – il figlio di Angel – su cui puntare per continuare a tenere in scacco la famiglia Reyes.
La seconda stagione di Mayans MC risulta per alcuni versi decisamente più matura della prima, soprattutto per quanto riguarda la caratterizzazione dei singoli personaggi e le evoluzioni da loro compiute. In altri punti si sente forte la destabilizzazione procurata dai problemi produttivi sopracitati, e, sebbene la prima dichiarazione di Sutter di fare un passo indietro avesse già dato indicazioni sul prosieguo della serie, il suo licenziamento cancella anche qualunque tipo di consulto esterno futuro: ci sarà da vedere come questo influenzerà la scrittura di una serie che viene da un universo ben preciso, ora privato del suo autore. Tra passi avanti e qualche scivolone, la stagione conferma di avere delle basi solide per proseguire: vedremo come questo avverrà in una terza annata per la prima volta senza la penna (sadica, sregolata, ma spesso geniale) di Kurt Sutter.
Voto stagione: 7½
Bella recensione Federica!
Ho guardato la seconda stagione con molta attesa, amche visto il cliffhanger alla fine della prima con Happy. Devo dire che mi ritrovo in quello che dici sul fatto che la scrittura sia un pò troppo frettolosa. In generale, la stagione mi sembra male amalgamata, al punto di non sfruttare bene le sue potenzialità. Per esempio, l’episodio del primo viaggio di EZ ed Angel con l’uccisione di un Mayan di Stockton è un folle bello e buono e di cui non si sentiva il bisogno. Altre sottotrame, costruite nel tempo sono risolte in maniera decisamente sbrigativa, basti pensare al conflitto tra EZ ed Angel, o quello tra Angel e Felipe. È un peccato.
D’altra parte, la famiglia Galindo è stata per me un punto di debolezza. Emily è un personaggio insopportabile, quasi una macchietta con un’emozionalità esasperata da adolescente (tipo figlia di Brody) e purtroppo a livello di recitazione non ci siamo proprio. La signora Galindo aveva più potenziale, ma è stato sviluppato male. Come giustamente sottolinei anche tu, perché fare tutti quegli incontri con Felipe? Dove voleva andare a parare?
Poi certo, rivedere Chibs è valso il prezzo del biglietto, anche se la storia con i Vatos è stata gestita male. In generale questi Mayans vanno di guaio in guaio in ogni puntata, un esito che lascia a desiderare.
La seconda stagione è un pò deludente. Non sapevo dei problemi di production, ma capisco come possano aver influenzato la qualità del prodotto. Io gli darei un 5,5 e aspetto di vedere la terza stagione.
Ultima nota è per dire che son riuscito a vedere la seconda stagione solo in italiano, mentre la prima era in inglese e sarei curioso di sentire cosa pensate voi del doppiaggio di questa o di altre serie. 😀