Little America – 1×01 The Manager


Little America - 1x01 The ManagerTra le nuove proposte con cui Apple Tv+ ha inaugurato questo 2020 una delle più attese era proprio Little America, serie antologica di otto episodi da trenta minuti ciascuno, ognuno dei quali incentrato sul racconto di storie vere di persone emigrate dal loro paese di origine – sempre diverso per ogni puntata – per approdare in America, terra di sogni e di speranze che spesso si rivela diversa dalle aspettative. L’attesa era giustificata non solo dal tema particolarmente attuale delle difficoltà degli immigrati in questi tempi sempre più complessi, ma anche dai nomi coinvolti e dall’origine delle storie raccontate.

Le otto vicende narrate sono infatti la rappresentazione di storie vere pubblicate su Epic Magazine – di proprietà di Vox Media, anche produttrice esecutiva della serie – rielaborate dalle sapienti mani della coppia Kumail Nanjiani (Silicon Valley) e Emily V. Gordon, coniugi autori anche di quella splendida rom-com del 2017 che è stata The Big Sick, ispirata proprio alla loro relazione. Insieme a loro nella produzione della serie troviamo anche, tra gli altri, Lee Eisenberg, noto produttore di The Office, e Alan Yang, il cui nome si lega immediatamente a serie del calibro di Parks & Recreation, Master of None e Forever. Con dei nomi simili e con un progetto di questa rilevanza non si poteva che attendere con un certo hype l’inizio di Little America e, a seguito del pilot, possiamo già dire che i motivi fossero più che validi.
Sin dalla prima puntata, infatti, emerge non tanto la volontà documentaristica di mettere in scena delle storie vere di emigrati, quanto la necessità di andare oltre questa intenzione, attraverso un’analisi mai banale dell’integrazione e delle difficoltà ad essa collegate per raccontare, in modo commovente ma mai strappalacrime le trasformazioni subite dall’America stessa – e per estensione potremmo dire anche da tutti quei paesi che diventano meta ambita dagli emigrati in cerca di una vita diversa.

Little America - 1x01 The Manager“The Manager” ci racconta la storia della famiglia Jha, padre e madre di origine indiana arrivati in America da tempo e già perfettamente integrati con la loro attività di gestori di un piccolo albergo in Utah, e del loro bambino, Kabir, vero protagonista di questo primo episodio. Le vicende, che in trenta minuti seguono un lungo arco temporale che inizia nel 2003, seguono infatti il punto di vista del giovane Kabir, bambino “precoce” (come si vedrà la scelta della parola non è casuale) che sin dalla tenera età si dimostra particolarmente intelligente e appassionato, sia per quanto riguarda il lavoro dei genitori che per lo studio della lingua inglese. L’escamotage del padre di premiarlo per lo studio di tutte le parole del vocabolario (usato a suo tempo dal genitore stesso) diventa il vero e proprio ponte che collega il ragazzo alla sua famiglia e alla sua cultura d’origine da una parte, all’America in cui è nato e sta crescendo dall’altra; e sarà proprio il linguaggio la chiave di lettura fondamentale per comprendere la storia di Kabir, fatta di affetti strappati e di volontà di riscatto, quando la vita lo porrà davanti ad una separazione dalla sua famiglia che solo all’apparenza sarà temporanea.

La maturità e il senso di responsabilità di Kabir, presenti in misura molto più forte rispetto ai suoi coetanei, lo porteranno a cercare di elaborare un’ingegnosa soluzione per riunirsi con i suoi genitori proprio attraverso quelle parole, studiate con impegno per partecipare alle note gare di spelling a stelle e strisce: la duplicità di questo piano finisce quindi col legarlo indissolubilmente alla sua vita di giovane americano e al contempo a quella di figlio di migranti. È infatti proprio attraverso quelle parole che la serie ci racconta cosa vuol dire imparare sulla propria pelle concetti tremendamente difficili, che ci vengono mostrati connessi in maniera indissolubile alla separazione dalla sua famiglia e inscindibili dalla sua cultura d’origine.
Little America - 1x01 The ManagerSi trova qui la maestria di questo primo episodio, in cui, senza fare spoiler, l’apparente lieto fine cela sotto la superficie un retrogusto amaro: quali sono le conseguenze a lungo termine del distacco dalla propria famiglia? Quali paure si insinuano sotto la pelle fino quasi a modificare il DNA di una persona, rendendola solo all’apparenza forte e responsabile, ma in realtà vulnerabile e traumatizzata a vita da quel senso di abbandono vissuto ad una così giovane età? Non si smette mai di avere bisogno dei propri genitori, anche quando si è adulti: e questo è ancor più vero quando le circostanze e soprattutto le follie burocratiche e politiche dividono le famiglie senza pietà, senza una piena e matura conoscenza di quelle che saranno le conseguenze su questi giovani che saranno il futuro del paese stesso – o forse, come è peggio ma ben più realistico, con una reale consapevolezza di questi meccanismi e tuttavia con la cieca indifferenza che solo uno stato assente può avere.

Sono solo trenta minuti, eppure la vita di Kabir appare così chiara da farci sentire fino in fondo gli effetti che questa separazione ha avuto – e avrà, anche nel futuro che non ci viene mostrato se non attraverso le foto dei veri protagonisti a fine puntata – nell’animo del giovane. E non è difficile pensare all’America di questi ultimi anni, a quanti bambini sono stati separati dai loro genitori al confine, a quanti futuri adulti vivranno con questo peso invisibile dall’esterno, ma incancellabile per chiunque lo abbia provato.

Little America apre quindi la sua breve antologia di storie vere con una puntata scritta e girata in modo impeccabile, in cui il passare del tempo è raccontato per fluidi accostamenti di immagini ma soprattutto di parole, che ci ricordano come ciascuna di queste, per ognuno di noi, possa avere significati che vanno oltre la semplice definizione di un vocabolario.

Voto: 8

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.

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