BoJack Horseman è una delle serie più importanti del decennio e questa ultima stagione è qui a ricordarcelo. Mandata in onda in due parti, sulla scia dei grandi drama (The Sopranos, Mad Men, Breaking Bad) a cui il protagonista deve molto, quest’annata aveva il durissimo compito di chiudere un sistema narrativo complesso ed intricato, fatto di domande complesse e risposte che sembrava impossibile trovare.
La grande impresa di questi ultimi 8 episodi sta nell’aver costruito una conclusione perfetta con la piena consapevolezza che quelle risposte proprio non esistono. Piuttosto che cercare la quadratura del cerchio, la chiave con cui interpretare e risolvere i vari dilemmi esistenziali che BoJack insegue da sempre, la serie si rivolge ai personaggi che hanno popolato il racconto e si affida interamente a loro. Come il finale si compone solo di dialoghi tra i comprimari, l’intera ultima stagione è fatta di storie che seguono i personaggi, che ne raccontano l’evoluzione senza avere la pretesa di capirli fino in fondo. Ed è proprio questa la chiave con cui leggere questi episodi conclusivi, che scelgono di non “risolvere” il personaggio di BoJack in maniera definitiva. Piuttosto, danno l’impressione di accompagnare i protagonisti finché possono senza che neanche gli autori sappiano cosa li aspetta in futuro.
Uno dei percorsi che meglio racchiudono questo concetto è quello di Diane. Allontanandola dal nucleo principale di Los Angeles ed affiancandola nella lotta contro la depressione, la scrittura si assume un rischio enorme nel trattare il tema mantenendo la stessa forza narrativa delle altre storie, più intrecciate tra loro e più facili da gestire. L’approccio aperto e costruttivo tipico della serie, unito alle eccezionali (ma ormai lo si sa) animazioni di Lisa Hanawalt per seguire il flusso di coscienza del personaggio, è quello che permette ad un racconto sulla depressione di funzionare così fluidamente, concludendolo con un epilogo ottimista ed agrodolce allo stesso tempo: Diane riesce finalmente a sbloccarsi e trovare la “se stessa” che preferisce, ma per farlo si distacca completamente dal nucleo di persone che la circondava prima.
In maniera simile, gli altri comprimari si trovano a guardare verso se stessi prima di chiudere ognuno la propria evoluzione nella serie. Come Mr. Peanutbutter si rende conto di aver sempre erroneamente guardato agli altri come causa della propria infelicità, Princess Carolyn abbandona il preconcetto di dover sacrificare quello che ama (il proprio lavoro) per sentirsi completa sul piano personale. Il matrimonio con Judah chiude la stagione – e la serie – e celebra il grande successo di uno dei personaggi più travagliati della serie, promettendo un lieto fine come ricompensa dei compromessi a cui si è sempre rifiutata di scendere.
È particolarmente appropriato che un evento simile sia quello che riunisce i protagonisti per un’ultima volta. Con “Nice While It Lasted”, BoJack Horseman trova nel racconto dei legami formati tra i personaggi la chiave di volta di tutta la serie. Una volta appurato che BoJack non può cambiare se stesso, che lo spazio per migliorare c’è ma forse è troppo tardi per muoversi, il motivo a cui aggrapparsi per andare avanti sta in quello che il protagonista ottiene dagli altri. Il lungo e meraviglioso dialogo sul tetto con Diane, facendo eco a quello sul finale della prima annata, riflette su quanto i due siano cresciuti dopo essere stati a stretto contatto l’uno con l’altro. La pressione e l’aiuto di Diane sono quello che ha portato BoJack a toccare il fondo e poi a redimersi, fino ad accettare le conseguenze irreversibili a cui certe scelte passate hanno portato. Allo stesso modo, i dialoghi con gli altri protagonisti – l’ultimo episodio è solo recitato dai cinque comprimari – hanno il compito di riflettere su quello che BoJack ha dato e ricevuto da loro nel corso del tempo, confrontando il suo percorso con quello degli altri e celebrando il tempo passato insieme.
Il series finale è quindi una dichiarazione d’intenti fortissima che scopre il cuore della serie. Piuttosto che chiudere il racconto con l’angoscia e l’ambiguità di un episodio come “The View from Halfway Down”, pregno di simbolismi e profondamente pessimista, gli autori scelgono di aggiungere una nota più speranzosa, seppur malinconica. In questo senso, il finale funziona da epilogo dopo che BoJack tocca letteralmente il fondo, suggerendo un’altra risalita (come con Secretariat nella seconda stagione, o la riabilitazione alla fine della quinta) senza sapere se sarà effettivamente l’ultima. Certo è che l’esperienza che la precede è forse la più scura vista finora: il mondo dei morti altro non è che una collezione delle esperienze traumatiche che hanno segnato il protagonista, dal padre sovrapposto a Secretariat a Sarah Lynn o Herb. Il penultimo episodio sviscera il personaggio di BoJack attraverso ognuna di queste apparizioni, utilizzando il racconto che lui stesso crea in punto di morte per mettere a nudo le sue paure e i suoi conflitti. È un lavoro di introspezione che ha pochi precedenti, che, piuttosto che cercare di risolvere la complessità del personaggio, sceglie semplicemente di metterla a nudo. È per questo che il significato delle sequenze oniriche concepite dalla mente di BoJack è spesso opaco, ambiguo, a indicare come alcuni tratti del personaggio non potranno mai essere veramente decifrati.
In parallelo con il racconto dell’evoluzione di BoJack, la serie non si tira indietro dall’affrontare un tema centrale nel dibattito pubblico, come fatto nelle scorse stagioni parlando, ad esempio, di aborto o armi da fuoco. Il focus sul movimento #MeToo di questa annata è più appropriato che mai: in un ultimo ciclo di episodi concentrato sulla necessità di venire a patti con le conseguenze delle proprie azioni, a prescindere da quanto si sia cambiati nel frattempo, la condanna pubblica rivolta verso BoJack assume un duplice ruolo. Innanzitutto, il protagonista è costretto dalle interviste incalzanti e dalla pressione dei media a ripercorrere le vicende traumatiche che lo hanno portato a cambiare rotta ultimamente, riaprendo una parte della vita che pensava di poter dimenticare e crescendo nell’accettarla come parte di sé. Dall’altra parte, le reazioni dei comprimari (Diane e Princess Carolyn su tutti) e dell’opinione pubblica permettono di riflettere sui risultati e le implicazioni che il movimento ha prodotto, portando avanti un discorso sul privilegio e sui rapporti di potere che – anche in maniera involontaria – si instaurano sul mondo del lavoro e non possono essere ignorati. È solo affrontando la morte di Sarah Lynn in maniera così approfondita che BoJack si rende conto dell’influenza che esercitava su di lei e dei danni irreparabili che ha causato: il suo percorso di evoluzione non può che passare da quello per diventare davvero costruttivo, e l’influenza pubblica che porta la condanna per irruzione a trasformarsi in una punizione “per tutto” costringe il protagonista a scontare fino in fondo la pena che si meritava.
Dopo sei stagioni mantenute a questi livelli qualitativi, l’enorme lascito di BoJack Horseman al mondo della televisione è innegabile. Grazie a un approccio che non ha mai cercato compromessi, raccontando ogni storia senza mai dimenticarsi di analizzarne le conseguenze e le implicazioni, la serie ha sempre offerto uno sguardo sfacciatamente onesto sui grandi temi che le vicende dei protagonisti sollevano. Ma non solo: i discorsi che il creatore Raphael Bob-Waksberg e gli autori portano avanti non sarebbero mai potuti essere così efficaci senza la cura meticolosa dei dialoghi e delle animazioni a cui abbiamo assistito, ma soprattutto senza un affetto verso i personaggi che li accompagna in un’evoluzione complessa senza paternalismi di qualunque tipo. È proprio questa la sensazione che rimane con l’ultima sequenza della serie: dopo che BoJack e Diane hanno affrontato le grandi questioni rimaste in sospeso dall’ultima volta che si erano visti, la serie rimane fissa sui suoi protagonisti. E anche dopo che BoJack ha trattenuto Diane con un’altra storiella, BoJack Horseman si sofferma su quell’ultima immagine a lungo, incapace di lasciarla andare. È l’ultima dichiarazione d’amore verso un mondo che ha preso vita come pochi altri, un racconto umano di assurdità divertentissime e drammi irrisolvibili con cui ci si ritrova costretti a venire a patti.
Voto stagione: 9½
Voto serie: 10
Bellissima recensione Pietro, bravo!
Sono d’accordo che quest’ultima stagione sia stata molto, molto bella. Lo sviluppo che ha avuto l’ha portata a essere piu’ cupa, e anche il numero di momenti comici e’ diminuito col passare delle puntate, fino al penultimo episodio. Questo non e’ avvenuto a scapito del racconto, che, anzi, e’ stato pieno di vita e pieno di cinema.
Dobbiamo alla serie un universo di personaggi, colori e situazioni complesso e intrigante, leggero e profondo, multi-culturale e attuale. E’ un universo che da’ assuefazione e sara’ bello rivederlo quando comincera’ a sentirsi la sua mancanza.
Vorrei fare una riflessione su BoJack, il nostro amato protagonista. Possiamo dire che e’ un narcisista? Possiamo dire che e’ definito dal fatto di essere famoso?
C’e’ una cosa sulla quale mi piacerebbe sentire la tua e la vostra opinione: un messaggio che ho capito dalla serie e’ che BoJack si e’ costruito una sua bolla, incoraggiato dall’ambiente di cui fa parte. All’interno di questa, gli e’ chiaro che c’e’ una differenza tra quello che gli altri si aspettano che lui sia, per esempio un divo sulla via del tramonto, e quello che lui e’ in realta’, cioe’ un particolare individuo. Forse a causa della bolla, BoJack non ha mai dovuto fare i conti con il secondo aspetto. La celebrita’ ha alimentato il suo egocentrismo e la pigrizia e la paura lo hanno portato a trascurare alcuni aspetti cruciali della propria umanita’, o meglio cavallosita’, quali come vivere i propri sentimenti in modo “sano” e positivo per lui, come individuare, curare e recuperare le relazioni con persone importanti per la propria vita e come gestire in maniera adulta l’influenza e il potere arbitrario che ha, nel suo caso legato all’essere una personalita’ pubblica.
BoJack ha portato tutto questo all’estremo, da par suo. Mi chiedo se, pero’, il suo sia un messaggio universale. Mi chiedo se alla fine lo show ci voglia dire che l’essere umano e’ fondamentalmente solo e naturalmente egoista. Per questo e’ molto facile rimanere sempre sostanzialmente soli, perche’, come BoJack, anche un essere umano comune preferisce non pensare alla propria essenza trovando distrazioni e auto-inganni e anche perche’, a forza di non investire in capacita’ quali capire le altre persone o saper comunicare con loro, si possono perdere anche le occasioni che a volte possono capitare di incontrare e tenere accanto persone giuste. In altre parole, se eliminiamo la patina di glamour di un prototipo che la societa’ ha gia’ giudicato, quello che rimane e’ un uomo, o un cavallo, che non spicca per nobili sentimenti, ne’ per azioni beningne o un grande talento o intelligenza in qualcosa e tantomeno per volonta di produrre risultati positivi per quelli attorno a se. E’ una figura assai magra. A chi piacerebbe una persona cosi’, se non fosse un divo?
Ma quanto c’e’ di BoJack in ognuno di noi?