Run – 1×01 Run


Run - 1x01 RunGettati a capofitto in una realtà emotiva sconosciuta, in un abitacolo estraneo, agganciati da occhi esasperati, esausti e in qualche misura inspiegabilmente paranoici, ci guardiamo intorno e respiriamo. Quando le immagini lentamente si iniziano a muovere, davanti a noi, sotto i nostri occhi, con il ritmo di un tapis roulant prima un po’ timido e poi sempre più deciso, sempre più spedito, ecco allora che cominciamo a correre con loro. Le seguiamo, anche senza rassicurazioni sul contesto, anche senza certezze direzionali.

Nelle primissime immagini di Run, nuova serie HBO creata da Vicky Jones (già collaboratrice in Fleabag) e prodotta da Phoebe Waller-Bridge, non si sa ancora quale sia il motore che aziona tutto questo correre. La puntata inizia con Ruby (Merritt Wever finalmente in un ruolo protagonista) in un suv per famiglie, tra spesa e tappetino di yoga.  Lo sguardo esasperato citato in apertura è il suo, quello di qualcuno che sembra voler non pensare a problemi impellenti che la aspettano a casa. Poi arriva un messaggio da Billy (Domnhall Gleeson), solo tre lettere, e Ruby inizia a correre. Sarà chiaro solo dopo pochi minuti che questo messaggio è legato a qualcosa del passato, uno scherzo da prendere molto seriamente, qualcosa di molto vicino all’amore. È infatti l’amore a detenere il ruolo di causa efficiente e causa finale che scatena la corsa.
Run racconta questo: il primato dell’amore sul resto degli elementi nelle vite, sul resto delle faccende morali, sul resto degli ordini concreti e degli ordini simbolici. È, dopo la già citata Fleabag e Killing Eve, il terzo tassello di un percorso tematico coordinato dalla mente creatrice di Waller-Bridge: forse la conclusione di una trilogia dell’amore, iniziata dall’autrice stessa e condotta, sostenuta, dalle interpretazioni diverse di diverse creative sotto la sua guida spirituale e produttiva.

Run - 1x01 RunL’amore è forse il tema narrativamente più difficile da affrontare (anche perché coinvolge tanti altri temi) ma è anche uno dei più importanti, per il suo peso nel nostro quotidiano. Waller-Bridge è stata in grado di raccontarlo tramite una riflessione sul linguaggio, in particolare sui generi: Fleabag ne ha affrontato la complessità spingendo il pedale sulla black comedy e sulla meta testualità della narrazione amorosa (ci vorrebbe un saggio a parte), e Killing Eve (ancora in corso) costruendo un parallelo tra spionaggio, relazioni non normative, segreti di stato e segreti interiori.

La serie di Jones interpreta il rapporto con l’amore attraverso la commedia thriller. In questo caso il discorso teorico costruito a priori si concentra proprio sulla commistione di due generi puri – la commedia (nella sua declinazione nera) e il thriller (considerato nella sua forma tenue, d’azione) – presi come due movimenti opposti: mentre la commedia chiama fuori da sé, è una proiezione analitica, il thriller chiama dentro di sé, è una proiezione dinamica. La riflessione linguistica  su questi due generi non è fine a se stessa, è piegata sull’umano e sul sentimento: a questi due approcci narrativi opposti corrispondono infatti due atteggiamenti molto umani,  l’ironia e la partecipazione.

L’ironia disegna una linea di distanziamento, analizza, ha bisogno della misura per circondare le cose e osservarne i dettagli, è camera fissa da diverse angolazioni, proietta; il comico è spesso punto zero della proiezione, indossa una maschera, è appunto maschera comica, perché non deve essere oggetto di proiezione, non deve essere visto da una proiezione di ritorno, è schermato. La volontà di partecipazione emotiva all’opposto rompe le linee, infrange il distanziamento in nome dell’empatia, invita a entrare nello schermo, ne confonde i confini, è macchina a mano, un asse sbalzato che rimanda a un’idea di coinvolgimento anche percettivo, sensoriale.

L’ironia non prende sul serio, svela il lato debole delle cose, scioglie le finte rigidità; la partecipazione prende sul serio tutto, e infatti il thriller è il genere del complotto, dove ogni cosa congiura contro l’incolumità del singolo che deve mettersi in salvo. La commedia uccide il pericolo demitizzandolo, il thriller trasforma il pericolo in un personaggio: non potrebbero essere generi più lontani.  Questi due atteggiamenti caratterizzano le azioni dei personaggi e degli spettatori, il loro scontro produce un movimento realistico.

Run - 1x01 RunLa simpatia per due personaggi, di cui sappiamo poco o nulla, è istantanea, è una scossa epidermica, perché ciò che vivono è frutto dello stesso linguaggio che viviamo, le loro azioni seguono le nostre stesse strutture. I due protagonisti durante l’episodio agiscono secondo questi impulsi contrastanti (si vedrà perchè), gli spettatori agiscono secondo gli stessi impulsi, e si formula una relazione istantanea. Avviene un contatto tra chi guarda e quello che avviene sullo schermo tramite la forze delle immagini e i sottintesi con cui sono costruite. Questo contatto è motivato dal riconoscimento dello stesso tipo di azioni, ma è reso possibile da una condizione di possibilità, da una nozione precisa che sta alla base di tutto questo discorso: la nozione di “finto movimento”.

Si prenda il mezzo attraverso cui inizia la fuga e si svolge l’azione: il treno. Serve come soluzione visiva, formale e simbolica per depositare nello show l’impronta di quel doppio movimento del contemporaneo; non solo per la sua natura di non luogo tra un punto a e un punto b, mezzo di collegamento, di comunicazione, di trasporto – quanto delle nostre relazioni sta nel non luogo della messaggistica? – ma per la sua natura illusoria, per il suo rapporto speciale con le immagini. Mentre si viaggia su un treno sembra che l’immagine del paesaggio fuori dal finestrino si stia muovendo rispetto a noi, che siamo fissi in un punto. È l’esperienza del viaggio, ma è anche l’esperienza del cinema: la storia che guardiamo è il risultato di un finto movimento.

Run” inizia con la storia di due persone al centro di un movimento illusorio, che non è altro che frutto di una proiezione (un’immagine che è ferma) e una partecipazione (un’immagine che noi crediamo in movimento), un’immagine che è assieme commedia e thriller. E questo finto movimento è la struttura psicologica su cui sembrano muoversi entrambi  i personaggi: mentre fuggono da problemi – che intuiamo da alcuni dettagli ma che non vengono mai davvero esplicitati nell’episodio – li distanziano facendo finta che non esistano pur essendo allo stesso tempo vicinissimi a essi con il pensiero, tanto almeno da leggerli come un pericolo da cui fuggire.

Run - 1x01 RunLanciandosi in una avventura imprevista allontanano anche l’immagine che hanno attualmente di loro stessi per riabbracciare quella che erano, dato che sono mossi da un passato remoto felice, anche se non possono fare a meno di ingaggiare una lotta contro il passato prossimo che li insegue. Sono in un non luogo, fisicamente e psicologicamente, tra un prima e un dopo sconosciuti – con una narrazione che per ora sembra procedere solo in avanti e concedere informazioni sul passato senza flashback ma tramite immagini, telefonate, confessioni.

In qualità di spettatori ci troviamo nella loro stessa posizione: si potrebbe affermare che come fruitori di immagini e di storie d’amore, ma anche come individui coinvolti in situazioni reali, navighiamo sempre tra commedia e thriller, distaccamento e partecipazione rispetto ai nostri amori. L’emozione fondativa dell’amore  è vissuta dalle generazioni più giovani con approcci paradossali (Sally Rooney è la scrittrice che forse li racconta meglio, almeno su carta) tra spersonalizzazione nel tempo della trasparenza digitale e massima ricerca consumistica di contenuti audiovisivi sul tema, tra distanziamento forzato dei propri sentimenti e dipendenza dalla loro narrazione. Ci si relaziona all’amore tra ironia e partecipazione, allontanamento da se stessi e travaso emotivo nelle avventure che vediamo.

Fermi nel non luogo della narrazione (un luogo che non esiste fisicamente) vediamo proiettati personaggi finzionali verso cui sentiamo una forte empatia reale. Forse proiettiamo alcune delle nostre esperienze su di loro e facendolo ce ne distanziamo da un lato, mentre dall’altro ne ricordiamo la carica attrattiva e non possiamo fare a meno che indagarle di nuovo. Siamo anche noi in ogni caso sul treno delle immagini, sul binario di una storia, una storia d’amore, qualcosa che ha un prima e un dopo, che per ora non sono importanti ma convergono sull’ora, il complesso tempo del sentimento.

I due generi istituzionalizzano a livello visivo e narrativo due azioni umane e permettono, in un giro che si chiude, di interpretare le differenti forme emotive dell’umano. L’immagine, con il suo finto movimento che accoglie la proiezione e la partecipazione, permette a tutto questo di accadere, funziona da rotaie per la corsa. Le storie sono dei non luoghi ma raccontano chi siamo.

Run sembra essere il risultato di un’attenta riflessione progettuale di come si può raccontare l’amore nel linguaggio audiovisivo, cosa dicono i generi narrativi al riguardo. Dalla sua visione si resta euforici e in balia di sentimenti contrastanti, come dopo un tour de force, anche solo di mezz’ora, perché in questa teoria applicata al racconto della vita e dei suoi sentimenti c’è tanta intelligenza e molta personalità.

Voto: 8½

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Informazioni su Leonardo Strano

Convinto che credere che le serie tv siano i nuovi romanzi feuilleton sia una scusa abbastanza valida per guardarne a destra e a manca, pochi momenti fa della sua vita ha deciso di provare a scriverci sopra. Nelle pause legge, guarda film; poi forse, a volte, se ha voglia, studia anche.

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