Trial By Media – Stagione 1


Trial By Media - Stagione 1It’s not about the law, it’s about who can tell the best story.”

Prodotto da George Clooney e da Jeffrey Toobin (avvocato e analista sul cui libro è stata basata la prima stagione di American Crime Story: The People vs. O.J. Simpson), la nuova docuserie di Netflix, Trial By Media, riporta alla luce sei casi particolarmente scottanti della giustizia americana, passati agli annali non solo per il dibattito che hanno scatenato, ma per come la copertura mediatica abbia finito per influenzare il processo, alimentando così dubbi sulla obiettività del sistema giudiziaro americano.

La serie, pur raccontando storie risalenti anche agli anni Ottanta, è profondamente radicata nel presente, andando a toccare temi tutt’oggi ancora ampiamente dibattuti: omofobia, razzismo, privacy, sessimo, violenza sulle donne, corruzione, legittima difesa. E proprio per l’ampio spettro dei contenuti portati avanti, la serie ha la grande pecca di rimanere spesso troppo in superficie. Le storie portate sullo schermo, nella maggior parte dei casi, sono talmente grosse che meriterebbero forse una docuserie a parte, spesso troppo complesse per permettere di approfondirne tutte le sfumature in appena 50 minuti.

Si prenda, come esempio, l’episodio forse dall’impatto emotivo piu forte, quello dedicato alla vicenda di Cheryl Araujo, vittima di uno strupro di gruppo nel 1983. La donna fu vittimizzata dalla comunità e dagli avvocati, che la resero la vera imputata del processo, e tradita dai media che lucrarono su di lei rivelandone persino il nome per sbaglio durante le riprese del processo, morta forse suicida dopo 3 anni con i suoi carnefici rilasciati dopo appena due anni di prigione tra gli applausi della comunità. L’episodio porta a galla così tanti temi che il tutto meriterebbe molto più approfondimento di questi 50 minuti, che, in breve, si limitano semplicemente a sviluppare i punti salienti della vicenda, toccando tante corde senza però andare davvero al cuore di nessuna di loro.

Trial By Media - Stagione 1Proprio in questi ultimi giorni, sopratuttto in seguito all’esplosione del caso George Floyd, la serie è finita citata sui social media per aver riportato alla ribalta le ferite aperte di casi come quello di Amadou Diallo, afro-americano ucciso dalla polizia con 41 colpi di pistola nel 1999, e Bernard Goetz, che nel 1984 uccise a sangue freddo quattro ragazzi di colore sulla metropolitana. In entrambi i casi, si raggiunge un assurdo verdetto di non colpevolezza motivato dalla “legittima difesa” (da sottolineare che tutte le vittime erano in realtà disarmate).  I media hanno seguito i casi, contribuendo involontariamente (o mossi dalla ricerca del sensazionalismo a tutti i costi) ad aiutare la difesa a costruire una narrazione di innocenza intorno agli imputati. Di nuovo, la serie illustra passaggio dopo passaggio come si è arrivati a decisioni così assurde, ma manca completamente l’analisi di come proprio i media abbiano lavorato sulla percezione non tanto della giuria, ma della comunità intera, influenzandone talmente il giudizio da portare a proteste a favore degli imputati e a manifestazioni di gioia alla notizia del verdetto a loro favore. Un’occasione, anche qui, parzialmente sprecata.

In generale, la serie riesce a mettere bene in evidenza un sistema giudiziario sicuramente malato, in cui il minimo comune denominatore sono da una parte gli avvocati dell’accusa che si limitano a portare avanti prove e fatti, e dall’altra quelli della difesa che mettono su uno show in cui l’imputato viene umanizzato tanto da generare una tale empatia da far mettere in dubbio la sua colpevolezza basata su fatti e prove. In piu di un’occasione, viene sottolineato come l’accusa fallisca non nelle prove o nei fatti, ma nella loro presentazione, ritenuta noiosa, poco narrativa, tecnica e non sufficientemente istrionica, qualità che appunto dovrebbero essere imputate ad un film più che a un processo giudiziario.

La scelta specifica di questi sei casi è perfetta nel mettere in luce l’incredibile invasività dei media nelle vicende private delle persone, un’invasività ormai incontrastata che, dalla nascita dei reality show fino ad oggi, ha stuzzicato in maniera crescente il nostro voyeurismo e il nostro istinto di essere non solo opinionisti, ma giudici e giustizieri del prossimo.  I sei casi, però, grattano solo la superficie, puntando più sul sensazionalismo di decisioni assurde delle varie giurie, prese sull’onda di campagne mediatiche orchestrate spesso dagli avvocati stessi.

Trial By Media - Stagione 1Al di là, però, di questo sensazionalimo, c’è poca sostanza nell’analisi del problema. Sullo stesso tema, risultava molto piu centrato il lavoro (di fiction) fatto da Ryan Murphy per l’appunto nella prima stagione di American Crime Story sul caso O.J. Simpson, da molti riconosciuto effettivamente come il vero primo processo mediatico della storia americana. In dieci episodi, la serie sviscerava ogni singolo aspetto e personaggio della vicenda, quando qui, invece, molte cose rimangono appena accennate per necessità di sintesi.

La serie riesce in generale a portare a galla l’anima ipocrita e più contraddittoria della società americana, tanto pronta al linciaggio, quanto disposta velocemente a perdonare nel momento in cui gli viene venduta una buona storia. Tutti e sei casi, piu o meno drammatici, sono infatti passati alla storia anche per essere ancora ferite aperte e mai rimarginate nelle crepe del sistema giudiziario, tanto forte fu in quelle occasioni l’istinto di ignorare la semplice e pura realtà fattuale, a favore di uno spettacolo che rendeva tutti dei personaggi da soap opera sui quali chiunque poteva vomitare le proprie opinioni.

La corte perde di autorevolezza e si trasforma in un palco alla mercè di avvocati sceneggiatori, giudici critici e imputati attori. Una serie antologica, con un caso da approfondire ad ogni stagione, sarebbe forse stata la scelta migliore. Così, ciò che resta è un calderone di voci che gridano allo scandalo. E difficilmente il semplice gridare lascia poi il segno.

Voto: 6

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