The Comey Rule – Miniserie


The Comey Rule - MiniserieThe Comey Rule è un dramma politico, basato sul libro “A Higher Loyalty” scritto dall’ex direttore dell’FBI James Comey. La miniserie scritta e diretta da Billy Ray e prodotta da Showtime, racconta del periodo in cui proprio Comey era direttore del Bureau e dei suoi incarichi relativi alle elezioni presidenziali del 2016: indagare sulla natura del traffico mail di Hillary Clinton, responsabile di aver inviato tramite mail personale materiale governativo strettamente confidenziale; sull’ingerenza della Russia nell’elezione americana; sui rapporti tra Donald Trump e la Russia.

È interessante osservare, tra questo complesso materiale cronachistico trasformato in narrativa, cosa, prima della visione della serie, monopolizzasse la discussione riguardante lo show: quest’ultima sembrava essere completamente accentrata sulle possibilità e sulle modalità dell’interpretazione di Donald Trump da parte di Brendan Gleeson. Sceglierà la prova mimetica tutta sforzo muscolare o accentuerà i connotati in virtù di una satira aperta, o, ancora, impegnerà l’economia espressiva per dirigere la realtà in altre situazioni? In breve, di che interpretazione – termine che mai come in questi casi è utile nel suo doppio significato di incarnamento di una realtà individuale e di lettura di questa realtà individuale – si tratterà?

Ecco, dopo la visione dell’intera miniserie si può rispondere a queste domande e si può anche, se non ridimensionarle, reinquadrarle: il personaggio di Donald Trump non appare sulla scena se non nella seconda metà del progetto e in qualità di guest star dal minutaggio comunque contenuto. Come si poteva prevedere – un po’ per il nome dello show, che fa riferimento all’ex direttore dell’FBI e non al Presidente, un po’ per le preannunciate intenzioni narrative, legate al memoir dello stesso Comey – Trump non è il grande protagonista e non muove le linee narrative del progetto. È invece l’antagonista perfetto, il cattivo sopra le righe che a un certo punto diventa il nodo del discorso, il problema all’ordine del giorno, e attrae in negativo tutte le linee narrative verso di sé, sbilanciando gli equilibri e gli interessi. La sua posizione è simbolica.

The Comey Rule - MiniserieGleeson lo interpreta secondo queste direttive e non si distanzia dalle scelte di tono imposte dallo show: nessun umorismo, nessun atteggiamento troppo calcato, nessuna accentuazione caratteriale, piuttosto una progressiva aderenza alla realtà preconfigurata dell’individuo. Non cioè alla sua realtà fenomenica, che appare, che accade, ma a quella epifenomenica, cioè voluta, decisa, l’insieme delle cose che si sanno su Trump, l’insieme dei suoi atteggiamenti per come li conosciamo, dei segni, cioè degli elementi di linguaggio – dalla postura alla capigliatura, dagli intercalari al fiato – che lo caratterizzano in quanto individuo pubblico. L’interpretazione di Gleeson si concentra per trasportare le caratteristiche di Trump sul terreno del simbolico, come si diceva appena sopra: riproducendone i tratti e isolandoli in una realtà di semplice immagine che non si integra in un vissuto personale e privato – la realtà personale di Trump è negata perché è un simbolo, non possiede realtà privata in quanto il simbolo è sempre per altri –, l’attore scorpora Trump dalla sua realtà e lo rende personaggio, funzione, antagonista che rappresenta simbolicamente qualcosa.

Questo qualcosa è il Potere. La volontà assoluta di Potere, la crescita esponenziale, bulimica, espansiva, tossica del desiderio del possesso e del comando.  Trump è simbolo del Potere e in quanto tale non ha connotati propri, ma vive di un invasamento che si cristallizza in vari segni oppressivi, dal trash talk alle ruvide strette di mano. La miniserie si prende quindi la responsabilità di giocare con i massimi sistemi, i pesi massimi del piano concettuale sociopolitico e filosofico (nell’accezione particolare di filosofia della storia e della politica) e dispone a un lato del ring, del piano narrativo, un simbolo forte. Ora, per quanto sia affascinante e ambizioso mettere in scena un simbolo, è necessario disporre questo corpo in una dialettica, in un movimento all’interno di una costellazione di simboli o in una narrazione che risponda alla sua forza. È necessario, ecco, metterlo in moto: in che direzione si muove il potere incarnato da Trump secondo lo show?

Si muove contro la Giustizia: all’altro lato del ring ci sono infatti proprio la Giustizia e la Legge. Nello show il Potere di Trump è un potere che cerca di mangiare i dispositivi giuridici, che cerca di controllarli, disporli a suo favore, condizionarli o semplicemente annullarne l’indipendenza: sotto l’aspetto segnico, è una mossa di inglobamento o di disattivazione simbolica – un simbolo che non vuole che crescere, diventando il più potente, vuole inglobare gli altri simboli; sotto l’aspetto tematico è un’operazione di smantellamento e delegittimazione dei contropoteri; sotto l’aspetto narrativo è una serie di licenziamenti contro gli agenti della giustizia e della legge – i licenziamenti che stanno al centro di The Comey Rule. In particolare, questo avviene contro lo staff intorno a James Comey, già citato direttore dell’FBI, e contro Comey stesso, in prospettiva simbolica. Perché, per una trasparente simmetria dei ruoli, delle funzioni e ancora una volta dei funzionamenti segnici, anche la Giustizia sembra essere nella serie incarnata da un corpo, da un individuo. Questo individuo è proprio James Comey (interpretato da Jeff Daniels The Newsroom).

The Comey Rule - MiniserieComey rappresenta l’onestà fatta persona. Non l’infallibilità, ma la totale trasparenza e virtuosità delle intenzioni. Per come la serie ci racconta la gestione delle operazioni relative alle investigazioni su Hillary Clinton e sull’ingerenza russa nell’elezione di Trump, Comey splende come un paladino illuminato da un alto grado di fedeltà verso i propri doveri. Questi doveri riguardano essenzialmente la protezione dello Stato americano e riguardano la risposta, l’aderenza alle caratteristiche dell’FBI. La scrittura della serie sottolinea infatti che questa organizzazione non è un contropotere politico rispetto alle amministrazioni governative ma è un controllore super partes, un concorrente apolitico, completamente distaccato dai giochi di potere, interessato soltanto alla protezione meno arbitraria e più obiettiva possibile della vita americana. Comey agisce incarnando perfettamente la posizione apolitica, da quando confida a Obama – che lo assume come nuovo direttore dell’FBI – di non averlo votato, a quando si rifiuta di diventare una pedina politica del potere di Trump. È descritto come l’incarnazione della Giustizia, della Legge, tanto quanto Trump è descritto come incarnazione del Potere.

Ecco quindi il quadro delle forze della narrazione di The Comey Rule: da una parte l’azione del Potere, con il corpo Trump a simboleggiare le sue forze; dall’altra la Giustizia incarnata da Comey. La miniserie muove le due pedine piccole per far combattere i grandi concetti, all’interno di una cronaca relativa agli eventi del 2016. Fino a qui non sembra esserci niente di sbagliato: questo momento recente della storia americana funziona da perfetto palcoscenico per ragionare sui poteri che funzionano negli Stati Uniti, e sull’emergere di Trump come Potere disinteressato agli equilibri – perché Potere e Giustizia agiscono qui in una scoperta opposizione e sono forze esposte nella misura del conflitto. Il funzionamento di riduzione simbolica serve per intercettare l’interesse del pubblico, per cui è molto più facile seguire una vicenda politica (densa di terminologia specifica, sottotrame tecniche e risoluzioni verbali serrate) in virtù di un aggancio personalizzato, emotivo. La serie inizia però a incontrare difficoltà per una condizione strutturale di base ignorata e per una modalità di svolgimento rispetto all’asse Giustizia-incarnazione-Comey.

The Comey Rule - MiniseriePoco dopo aver programmato le riduzioni e le simmetrie sopra descritte, la miniserie presenta una nuova costruzione di senso, che riguarda la Giustizia come una realtà simbolica transpersonale: una forza esistente oltre i singoli individui, le contingenze temporali, le amministrazioni politiche, i detentori di potere. Una forza la cui solidità, la cui trascendentalità, cioè la forza di trascendere le condizioni, è osservabile da Pennsylvania Avenue, la via che collega la Casa Bianca al Campidoglio. La serie cade qui in contraddizione, o meglio, soffre della compromissione delle simmetrie che aveva impostato: presentando questa nuova linea interpretativa, più corretta (come struttura di base) e più affascinante – nella misura in cui riconosce alla Giustizia una vera superiorità rispetto al Potere, una superiorità che consta nella trascendenza e quindi nella incorruttibilità, nella purezza degli ideali che la costituiscono – rispetto alla versione di una possibilità incarnata di Giustizia, la serie si indebolisce perché si indebolisce tutta la parte (il primo episodio dei due che la compongono) spesa per costruire un’elegia alle virtù di Comey. Nel momento in cui la narrazione spinge sulla natura trascendentale e non individuale della Giustizia il tempo narrativo impiegato per trasformare o leggere Comey come incarnazione simbolica si sbriciola e lascia il personaggio ingiustificato e problematico.

Cerchiamo di spiegare perché il personaggio diventi un problema per la credibilità della narrazione, e soprattutto della narrazione simbolica. Una volta deciso di controbilanciare il Potere interpretato da Trump con una figura personale in rappresentanza della Giustizia, la serie intraprende un percorso che mira a rendere simbolico il personaggio Comey. Opera quindi come per Trump, puntando cioè sul lato epifenomenico della sua persona, sull’insieme di segni del suo immaginario e rimuovendo qualsiasi elemento che comprometta l’astrazione? Comey non ha i connotati di un antagonista perfetto, non è archetipico come Trump, o almeno non ci sono i presupposti per utilizzare lo stesso percorso. La serie sceglie quindi una strada più complessa, tortuosa, paradossale anche: sceglie di raccontare la natura integerrima, pura, il rapporto ideale del personaggio con il concetto che incarna, caratterizzandolo con elementi di realtà individuali. Mentre con Trump la serie rimuove realtà, asporta pezzi di concreto e sottolinea aspetti dell’immaginario, rendendolo sempre più astratto, con Comey procede nel senso inverso, gli aggiunge realtà, credibilità umana: è un uomo, un padre, un marito, uno che sbaglia, uno che prova a fare del suo meglio, uno che chiede consigli, uno che vuole fare il suo mestiere al meglio delle sue capacità.

The Comey Rule - MiniserieEppure, al netto di tutto, è giusto. Egli resiste, soffre (e Jeff Daniels lo interpreta per questo in sottrazione, tutto rabbia accumulata e compressa, mentre Gleeson all’opposto deve calcare sul risaputo immaginifico) e catalizza la sofferenza in resistenza, in virtù. L’economia della scrittura consiste quindi, e questo è il nodo centrale della questione, nell’aggiungere realtà al personaggio per poter dire che malgrado questa realtà egli ne è superiore, egli ne è libero, consapevole e in grado di superarla. In grado di andare oltre perché la sua forza è sovraumana, vera coscienza della cosa più importante, la Giustizia. Arrivare alla trascendenza degli ideali tramite l’immanenza della persona, all’ideale tramite la realtà, questo prova la serie con Comey. Tutto questo materiale narrativo corre senza incertezze. Tuttavia, in un certo momento, inchioda a pochi centimetri di fronte a un tornante improvviso: questo momento è la seconda costruzione di senso, con cui la serie presenta la natura sovraindividuale della Giustizia. Dopo aver forzato la scrittura per costruire un’armatura simbolica adamantina sopra al corpo molle del personaggio ecco che la stessa scrittura cambia punto di vista, accartocciando sia l’armatura sia le aspettative degli spettatori in merito alla forza dell’incarnazione, che vengono lasciate sospese.

Quando la serie corregge la rotta rispetto al simbolo corregge anche l’atteggiamento di Comey: mentre durante le operazioni riguardanti le mail di Clinton il suo comportamento operativo era caratterizzato dalla presa di responsabilità verso decisioni discutibili per gli standard dell’FBI (ma trasparenti nel senso della Giustizia), la sua risposta al licenziamento da parte di Trump – licenziamento che tocca anche il Dipartimento di Giustizia, in un attacco alla Giustizia in sè – è caratterizzata da un dispiacere verso la fine del suo contributo individuale al progetto dell’FBI, contributo quindi conscio di essere solo parte di qualcosa di più grande. Il cambio è misurabile anche rispetto al fatto che Comey diventa presto vittima delle scelte di Trump: è il risultato di un ridimensionamento, di una contrazione del suo potere simbolico, che segue al più importante racconto del tentativo di raggiramento della Giustizia da parte del Potere. Nelle scene finali, quelle in cui guarda gli uffici dal marciapiede affiancato dalla moglie, Comey è addirittura inquadrato a un livello inferiore rispetto alle stanze della Giustizia, è in posizione di dislivello rispetto al concetto della Giustizia. La sterzata che cambia la lettura allo show reinquadra a posteriori queste scelte di costruzione e le trasforma non in una agiografia – in un elogio completo – ma in un’agiografia monca. In questo senso il personaggio diventa un problema di credibilità, perché la carica simbolizzante su cui era costruito si sposta e lo lascia un progetto a metà strada tra la realizzazione e l’idealizzazione.

The Comey Rule - MiniserieLa scrittura di Trump funziona molto meglio, infatti la miniserie funziona bene quando il suo personaggio è in scena: il cristallo di segni unito sotto la capigliatura cotonata e giallognola trasforma il racconto degli eventi di cronaca in un horror fantapolitico in cui una minaccia imprevedibile può commettere qualsiasi azione. Trump fa paura, perché si sente la sua natura irreale, la sua natura extra-ordinaria e incredibile, perché piomba come un essere tentacolare o un bambino impazzito nella stanza dei bottoni. Il funzionamento di riduzione simbolica, potenziato poi dall’aggancio emozionale al personaggio (in questo caso un’emozione negativa), permette alla serie di mettere in campo con tutti i crismi un’incarnazione del Potere, che si misura sulla pelle del personaggio e poi dello spettatore, dato che questo si confronta con un simbolo vivente ma non realistico. Questi meccanismi non funzionano con il personaggio che dovrebbe incarnare la Giustizia, perché la Giustizia non è strettamente incarnabile, è sempre sovraindividuale. Il Potere invece è legato al desiderio, e il desiderio è individuale.

La sfida programmata tra Trump e Comey, rappresentanti di concetti in lotta, quindi non avviene, o avviene in una misura differente rispetto alle aspettative inizialmente disposte della serie. Perché per quanto i due personaggi si confrontino in alcune scene, decisive e calcolate come risolutive, che li vedono contrapposti e in più o meno implicito conflitto, la non credibile o completa incarnazione della Giustizia in Comey sbilancia la battaglia e la delegittima di interesse emozionale, perché si percepisce un granello d’inconsistenza e di arbitrarietà nel funzionamento di parte dell’ingranaggio. Il conflitto funziona di più quando Trump – licenziando vari elementi del Dipartimento di Giustizia o dell’FBI – attacca la natura transpersonale della Giustizia, provando a ingraziarsi i singoli tramite il Potere, i favori, la corruzione, aggirando cioè l’ordine non individuale della forza legislativa, che è tuttavia inaggirabile. In questo caso avviene un conflitto credibile, appassionante e purtroppo anche spaventoso. Cioè funziona di più quando viene messa in scena  la sfida tra il desiderio del Potere e l’incorruttibilità della Giustizia; in questo caso i simboli sono trattati nella loro giusta misura, nella loro giusta estensione. Il Potere è veicolato da un individuo e vive della sua tensione desiderativa, invece vari individui veicolano la Giustizia, che si trova su un piano più alto: mentre il Potere vive nell’individuo, gli individui vivono nella Giustizia.

The Comey Rule - MiniserieThe Comey Rule si presenta quindi dal punto di vista dei suoi meccanismi segnici una miniserie poco riuscita, o riuscita a metà. Se è possibile dire che dal punto di vista dell’informazione il prodotto compia un servizio strategico per un certo tipo di consapevolezza, un servizio utile – perché l’intrattenimento didattico in qualche misura è sempre utile e appassionante per il pubblico se fatto con precisione su fatti noti e provati –, è possibile anche dire che dal punto di vista dell’audiovisivo, della narrazione seriale, si poteva condurre il progetto con più audacia interpretativa, senza limitarsi a controllare il flusso informativo (costringendo sempre poi la forma a un rigore esplicativo, netto, freddo, distaccato poco credibile) e a regolare tutto in virtù di una didattica formale che non ragiona sui meccanismi di rappresentazione, essendo interessata solo a informare.

Risultano comunque di impatto le ultime scene della miniserie, quelle in cui sono rappresentate, dopo la descrizione puntuale e prevedibile dei cambiamenti (licenziamenti) fatti da Trump nell’organico dell’FBI e al Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti d’America, le stanze del Potere e della Giustizia, esemplificate dall’inquadratura dell’ufficio dell’FBI e dello Studio Ovale. Stanze vuote, senza coloro che ci lavorano e le abitano giornalmente, stanze in attesa o stanze ormai senza più valore? Solo in questo caso le immagini producono un senso forte, ambivalente, ambiguo, stratificato, una costruzione in cui addentrarsi e approfondire, un fatto estetico che spinge alla discussione: sono nature morte che certificano la desolazione valoriale e l’abbandono degli ideali, o sono spazi che si aprono alla possibilità di essere valorizzati, o sono spazi-valore indistruttibili, concetti trascendentali che esisteranno sempre? In queste scene The Comey Rule dice qualcosa sulla realtà sociopolitica americana, qualcosa che nella sua restante parte non mette bene a fuoco.

Voto: 6½

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Informazioni su Leonardo Strano

Convinto che credere che le serie tv siano i nuovi romanzi feuilleton sia una scusa abbastanza valida per guardarne a destra e a manca, pochi momenti fa della sua vita ha deciso di provare a scriverci sopra. Nelle pause legge, guarda film; poi forse, a volte, se ha voglia, studia anche.

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