Tra gli showrunner della televisione contemporanea Ryan Murphy è di sicuro nella rosa dei più prolifici, riuscendo a sfornare in continuazione show originali e nuove stagioni per le sue serie già in onda; per questo non ci stupisce che, nel 2020, mentre dava alla luce nuove stagioni per 9-1-1, Pose, The Politician, Hollywood e Ratched abbia anche annunciato che avrebbe sviluppato una nuova serie horror antologica, facendola nascere da una costola di American Horror Story, il suo drama più longevo e conosciuto.
American Horror Stories, questo il titolo svelato già nel maggio dello scorso anno, nasce come vera e propria serie spin-off di American Horror Story, prendendone in prestito anche parte del titolo: non si tratta più di una singola storia americana dell’horror a stagione, come è dal 2011 per la serie madre, ma di tante singole storie horror (di cui parleremo ora senza fare spoiler) che prevedono un inizio ed una fine all’interno del singolo episodio (ad esclusione di quella raccontata nella premiere che si prende il tempo di due puntate per arrivare alla conclusione). Ciò che ci si aspettava era di ritrovare fedelmente lo stile della serie madre e al contempo di avere degli episodi snelli e concisi, privi di momenti puramente filler dato il brevissimo tempo a disposizione per raccontare le varie storie, come succede per altri drama antologici come Black Mirror. Per questo la scelta di mandare in onda lo show solamente online su FX per Hulu è sembrata una scelta vincente, perché sia il genere che il formato degli episodi si innestano bene in una modalità di visione più veloce e libera, come solo lo streaming online sa offrire.
Raccontare di cosa parla lo show non è semplice, proprio perché ogni episodio segue una trama a se stante, legata con le puntate precedenti e successive da un unico filo conduttore: il genere horror; i primi due episodi, intitolati “Rubber(wo)Man Part One” e “Rubber(wo)Man Part Two“, usciti nel giorno stesso della premiere, ci fanno fare un salto indietro nel tempo alle origini di American Horror Story, riportando in scena Rubber Man – come ci confermano i titoli stessi degli episodi –, uno dei personaggi più iconici dello show. La storia, che come detto in precedenza si dipana per la lunghezza di due episodi, si collega a doppio filo con la Murder House della prima stagione di AHS e cerca di indagare più a fondo nel rapporto tra i vivi e coloro che vivi non sono più, ma restano comunque presenti nelle nostre vite.
Una coppia di papà e la loro figlia teenager si trasferiscono nella storica Murder House di AHS e scoprono presto di non essere gli unici inquilini di quella casa; il costume di Rubber Man rientra prepotentemente in scena continuando a seminare panico ed allo stesso tempo dà la possibilità agli autori di esplorare temi nuovi ed interessanti, di cui si parlerà in seguito. Così come in Murder House, anche in “Rubber(wo)Man Part One” e “Part Two” la famiglia è al centro del racconto e continua ad essere rappresentata nel modo meno edulcorato possibile: i rapporti, fatti di scontri molto duri e occasioni perse per capirsi a vicenda, sono al centro dei due episodi e alla base del racconto; raccontandoci le storie degli inquilini della Murder House è come se Ryan Murphy e Brad Falchuk – sceneggiatori dell’episodio – volessero fare un lungo discorso sulla dipendenza affettiva verso gli altri, che spesso sono solo capaci di instaurare rapporti tossici che continuano in loop per sempre. Questa chiave di lettura ci permette di elevare gli episodi a qualcosa che non sia strettamente intrattenimento e ci fa riflettere su quanto sia importante lasciar andare le persone che non portano benefici nella nostra vita, anche se loro stesse non hanno nessuna intenzione di uscire dalla porta e chiuderla dietro di sé. La trama degli episodi è fatta di pochi eventi raccontati in modo chiaro e si conclude con l’episodio due, che si prende la responsabilità di tirare i fili di questa storia per passare ad una nuova col terzo episodio.
Oltre al tema delle dipendenze affettive, è molto interessante il discorso che viene intavolato sulle dipendenze sessuali, che, a detta dei protagonisti, porterebbero ad un’assuefazione, rendendoci incapaci di provare più nulla; la protagonista è al centro di questo tema e seppur sembri poco ricettiva alla messa in guardia da parte dei suoi padri, alimenta una discussione sull’argomento che coinvolge alche i telespettatori a casa, che raramente vedono in TV temi del genere.
Se da un punto di vista più profondo, i primi due episodi si prestano a discussioni su tematiche tutt’altro che superficiali, il punto debole di “Rubber(wo)Man Part One” e “Rubber(wo)Man Part Two” sembra essere la parte che dovrebbe intrattenere del racconto: la trama dei due episodi è fin troppo priva di eventi significativi che segnano un vero punto di svolta, lasciando diversi punti morti; il ritorno di Murder House è un regalo agli appassionati della serie madre, ma oltre a questo auto-citazionismo non troviamo molti altri elementi per riuscire a divertirci davvero guardando American Horror Stories. Per tutti questi motivi il doppio pilot si merita al massimo la sufficienza, ma lascia agli spettatori la curiosità di vedere cosa bolle in pentola nel resto della stagione; è difficile fare una previsione su come sarà l’andamento di questa prima annata, ma per il momento sembra un progetto da tenere d’occhio, con molto potenziale, che però deve iniziare a dimostrare qualcosa.
Voto 1×01: 6/7
Voto 1×02: 6