Storicamente è sempre stato molto difficile adattare i romanzi di Isaac Asimov al cinema e in televisione e le volte che ci hanno provato i risultati sono stati discutibili; il discorso cambia se si va a vedere l’enorme influenza che le sue opere hanno generato sulla fantascienza a lui successiva. Ancora oggi tantissime variazioni narrative sul tema della robotica si collocano sulla scia di alcuni dei suoi scritti più famosi e non si può negare che tantissimi prodotti cinematografici e televisivi si ispirino alle basi fondate dall’autore russo-statunitense.
Ancora più degli altri, il “Ciclo della Fondazione” – una serie originale di tre romanzi ai quali poi Asimov ha aggiunto due sequel e due prequel – è sempre stato considerato inadattabile, a meno di non modellare ed espandere attentamente il materiale di partenza. Il primo motivo dal quale deriva questa difficoltà di adattamento è la durata della narrazione: la storia raccontata a partire da “Fondazione” fino a “Seconda Fondazione” attraversa un arco di circa 350 anni, che aumentano ancora se si include il prosieguo della storia nei due romanzi sequel, “L’orlo della Fondazione” e “Fondazione e Terra”. Il secondo, e forse più importante, motivo che non ha mai spinto, finora, un produttore ad investire su un adattamento è che la fantascienza raccontata da Asimov in questo ciclo è un tipo di fantascienza poco spettacolare, che lascia sullo sfondo le battaglie spaziali e l’azione, per concentrarsi sulle interazioni sociali degli esseri umani: l’evoluzione storica di un gruppo di individui che passa attraverso la scienza, la politica, la religione, l’economia, la diplomazia e solo in alcuni momenti critici attraverso la guerra.
La storia raccontata dai romanzi e dallo show comincia in un momento preciso dell’universo immaginato dall’autore: il glorioso Impero Galattico, che ha ormai raggiunto il suo picco di espansione e di sviluppo, sta per affrontare un periodo di decadenza; Hari Seldon, massimo studioso della psicostoria, si accorge con largo anticipo di questo declino e ha un piano per evitare all’umanità il lungo lasso di tempo di caos e sofferenza che si frapporrà fra la morte del vecchio Impero e la nascita del nuovo. Questo piano prevede la costruzione di una Fondazione formata da un gruppo di esperti attentamente selezionati che hanno il compito di custodire tutto il sapere della galassia – una sorta di stato-enciclopedia – al fine di farne uso nel periodo di buio sociale predetto. Come è immaginabile, però, nessun potere politico è incline ad accettare di buon grado delle teorie che affermano la sua scomparsa e ancora meno i demagoghi eretici come Hari Seldon, che possono minare la fiducia cieca nell’Imperatore raccogliendo grandi consensi; per confutare le teorie del professore viene dunque convocata una ragazza brillante, Gaal Dornick, che dovrà testimoniare in un processo e, si presume, screditarlo pubblicamente.
Per evitare spoiler ci si ferma qui con la premessa alla storia raccontata in Foundation, sottolineando che l’introduzione della protagonista Gaal (Lou Llobell) è già un’aggiunta rispetto ai romanzi. Non è certo l’unica variazione che intercorre tra il materiale d’origine e la sceneggiatura curata da David S. Goyer – che gli appassionati di tv e cinema ricordano per prodotti tutt’altro che eccezionali, come FlashForward, Da Vinci’s Demon ma anche Batman V Superman: Dawn Of Justice – ma, come si diceva, l’opera è talmente peculiare da dover essere necessariamente rivista e rimodellata in base alle esigenze di un prodotto televisivo per essere adattata al meglio. Da questo punto di vista sembra che la serie abbia colto nel segno: l’espansione dell’universo creato da Asimov si traduce sì in immagini spettacolari e in effetti visivi da urlo – indice anche dell’enorme investimento fatto da Apple – ma soprattutto in una storia abbastanza coerente (almeno nella prima parte) con lo spirito del romanzo.
È infatti abissale la differenza tra il primo e il secondo episodio di Foundation: dove “The Emperor’s Peace” costruisce un’introduzione fantastica e si propone come un ingresso privilegiato nel mondo dello show sia per chi conosce i libri sia per chi non sa nulla, “Preparing To Live” è invece un compendio di tutto quello che può andare storto nel giro di pochissimo tempo, ma andiamo con ordine.
Il pilot di Foundation si presenta da subito come un grande preludio: è difatti evidente la scelta di puntare con forza sul worldbuilding per disegnare i contorni dei luoghi e dei contesti nei quali si svilupperà la vicenda. I vari pianeti sono dipinti come affreschi sullo schermo e una splendida fotografia restituisce la diversità di paesaggi e personaggi che contraddistingue l’eterogeneità dell’Impero Galattico. Decisamente affascinante anche il modo in cui è stata ricreata Trantor, la capitale dell’Impero, che anche nell’idea originale doveva essere una delle più grandi costruzioni dell’umanità, una città che si sviluppa in tutte le direzioni, sia in orizzontale che in verticale – dallo spazio a diversi chilometri sotto la superficie del pianeta.
Se volessimo azzardare un paragone lo dovremmo fare con il primo episodio di Game Of Thrones, anche se parliamo di due generi completamente diversi: anche in quel caso c’era la necessità di presentare un universo vastissimo in poco tempo, dopo un cold open misterioso e accattivante – in quel caso era il primo incontro con gli Estranei, in Foundation è un flashforward di 35 anni sul pianeta della Fondazione, il pianeta ai margini della galassia, Terminus. I due episodi hanno alcuni punti di contatto e altri quasi opposti, ma non si può non notare, durante la visione, quella stessa ambizione che si respirava in “Winter Is Coming”.
I personaggi sono introdotti a piccoli passi e – sebbene il voice over di Gaal alle volte sembri soverchiare la narrazione – raccontati anche attraverso le immagini oltre che le parole. Molto interessante, per esempio, la scelta di “scomporre” l’imperatore (Lee Pace) in un tris di cloni che si rigenera sempre in modo perpetuo, elemento non presente nei libri e probabilmente funzionale alla tenuta sul lungo periodo della serie che può “riciclare” i vecchi attori nelle possibili future stagioni: l’idea, estremamente conservatrice, è quella di clonare all’infinito il proprio sovrano in modo tale che in ogni momento esista una versione più anziana – il precedente imperatore, Brother Dusk – e una versione più giovane – il futuro imperatore, Brother Dawn – a coadiuvare nel governo il clone al momento sul trono. In uno dei tanti splendidi dialoghi del primo episodio è Hari Seldon (un sempre brillante Jared Harris) a confutare questa strategia politica, alludendo ad un immobilismo stagnante dovuto alla mancanza di varietà – una delle tante variabili che, nelle sue ipotesi, con molta probabilità porteranno l’Impero alla rovina.
Il pilot di Foundation funziona perché riesce ad introdurre al meglio possibile un universo vasto e complesso, lasciando aperti tantissimi spiragli per il futuro e possibilità da sfruttare; peccato che, come si è detto, il secondo episodio faccia di tutto per affossare queste potenzialità. Senza svelare nulla si può dire che i problemi più grandi – ma non gli unici – risiedono nella scrittura: “Preparing To Live” si sposta poco più avanti nel tempo e mostra i personaggi in un punto più avanzato della loro storia, dopo aver già sviluppato relazioni tra loro e alimentato sapori e dissapori. Allo spettatore tutto questo resta precluso e ci vuole un enorme sforzo di immaginazione per ricostruire gli archi narrativi che hanno attraversato: da una relazione romantica decisamente non necessaria ad un malumore che viene appena accennato nel corso dell’episodio e sfocia quasi subito in un colpo di scena al termine dell’episodio che si fatica a comprendere. La puntata è poi piena di accelerazioni e rallentamenti, dialoghi superflui e scene palesemente costruite solo per riempire il minutaggio; insomma, tutti i vizi che affliggono tanti prestige drama dei nostri tempi sono concentrati in questo episodio.
Foundation comincia dunque la sua avventura con un disarmante doppio volto: da un lato abbiamo uno dei più bei pilot dell’anno, dall’altro un episodio che getta più ombre che luci sullo show e non lascia ben sperare per il futuro. Considerando che Goyer ha ammesso di avere in mente un progetto di otto stagioni e ottanta episodi, c’è da chiedersi se dobbiamo ritenerci fortunati o meno: il tempo per capirlo di certo non manca.
Voto 1×01: 8
Voto 1×02: 5½
Condivido. Premesso che il romanzo di Asimov serve quasi solo per l’innesco della storia, che poi prende altre strade, ritengo il primo episodio eccezionale, così come tutte le successsive parti che riguardano la vicenda dell’impero (bellissimo l’episodio del clone imperiale che si scopre diverso), mentre gli altri due filoni narrativi aggiunti (sull’astronave e su Terminus) sono alquanto fiacchi e scadono nelal sci-fi di maniera vista e rivista. Peccato.