La quinta stagione de La Casa de Papel ha visto la luce il 3 settembre su Netflix con i suoi primi 5 episodi: quest’ultima stagione – o la terza parte della seconda stagione come potrebbe sembrare – è stata a sua volta suddivisa in due “volumi”, un espediente di marketing già adottato dalla piattaforma per altri prodotti. Lo show spagnolo ideato da Álex Pina giunge così al termine con la stagione che concluderà le vicende della variegata e metodica banda di criminali.
Dopo la prima stagione dedicata al racconto del colpo alla zecca di Stato, è largamente riconosciuto che La Casa de Papel abbia subìto un declino costante: se inizialmente la serie era apparsa una novità promettente, con una trama ben costruita, ricca di colpi di scena e semirealistica, con il passare del tempo si è rivelata sempre più sottotono, lasciando deluso anche il pubblico più affezionato. Questa prima parte della quinta stagione si conferma sin dal primo episodio altrettanto deludente, soprattutto a causa della piega sempre più “casuale” e surreale che sta prendendo la trama.
L’inizio di questa tranche di episodi è la naturale prosecuzione della quarta parte: avevamo difatti lasciato il Professore/Sergio Marquina (Álvaro Morte) ostaggio dell’ispettrice Alicia Sierra e lo ritroviamo in questa condizione. La mente della banda aveva fatto appena in tempo a godersi la felicità di essere riuscito a sottrarre Lisbona (Itziar Ituño) dalla polizia e a introdurla all’interno del Banco de España, prima di essere individuato dall’ispettrice. Il personaggio di Sierra mostra finalmente l’aspetto cinico, spietato e inarrestabile che ci si aspetta da un villain, e questo si deve soprattutto alla bravura dell’attrice Najwa Nimri (Zulema Zahir, Vis a Vis). Alicia Sierra è calcolatrice, scaltra e egoista, ed è l’unica in grado di stare un passo avanti al Professore; tuttavia, un incidente di percorso in grado di fermarla in questa quinta parte è il parto. Si tratta di una svolta narrativa che la vede cedere alla possibilità di liberare i suoi ostaggi per ricevere aiuto ma che, a giudicare dagli ultimi minuti dell’ultimo episodio, non la fermerà a lungo. Non c’è alcun dubbio a quel punto per lo spettatore che tenterà la fuga o di uccidere i suoi “coinquilini”, ma con ogni probabilità il Professore se ne renderà conto per tempo e la convincerà definitivamente ad aiutarli, considerata la sua precaria situazione.
Questa prevedibilità della trama è uno degli elementi che lascia maggiormente perplessi del modo in cui si è evoluta la serie TV spagnola: le prime stagioni erano abbastanza imprevedibili, ma più si va avanti con la visione, più si perde l’elemento della sorpresa, e di conseguenza dello spettacolo. Una delle cose che mancano di più sono certamente la genialità e il controllo a cui aveva abituato il personaggio del Professore, che è sempre meno lucido e stupefacente nelle sue macchinazioni. Un altro elemento che fa sentire la sua mancanza dalla morte di Berlino in poi è una nuova figura di leader sul campo, un ruolo che anche in questi episodi è vacante: viene assunto un po’ a turno da Lisbona e da Palermo, ma senza che uno di questi personaggi si imponga effettivamente sugli altri. L’assurda conseguenza di questi difetti è che più che un gruppo di ladri esperti che sa per filo e per segno quello che deve fare, la banda sembra sempre più un ammasso di ladruncoli alla prima esperienza: tutti i personaggi si muovono in modo casuale, apparentemente seguendo il proprio istinto. C’è una gran confusione nella gestione del colpo, e lo confermano le parole di Bogotá (Hovik Keuchkerian, The Night Manager), personaggio a tratti più lucido e controllato di altri: “Stiamo iniziando a improvvisare, ed è così che uccidono le persone nelle rapine”.
In generale in questo primo volume della quinta parte di La Casa de Papel, come da tradizione per la serie, molti passaggi della trama pare che siano buttati lì a casaccio, troppe cose non tornano o non hanno un senso logico: Arturo che prende armi e bagagli senza che nessuno lo noti; Stoccolma che quasi lo uccide, salvo poi avere un crollo emotivo tardivo; Manila che dichiara il suo amore a Denver tra uno sparo e un altro, senza utilità ai fini della trama, e si potrebbe andare avanti così. I passaggi peggiori però sono quelli ricchi di proiettili in cui nessuno viene colpito, o quelli in cui vengono colpiti ma dopo 10 secondi stanno bene come se nulla fosse. Ai limiti del ridicolo ci sono invece i tentativi di salvataggio di Tokyo: tutti impegnati ad aprire un varco gigante e Río che con un martello pneumatico e tanto amore apre in qualche minuto un bel foro – che se anche solo uno l’avesse seguito, Tokyo sarebbe stata portata in salvo.
Insomma, di aspetti positivi e passaggi curati ce ne sono proprio pochi: oltre al “piano” per incastrare il Colonnello Tamayo con la mossa della cimice nelle manette degli ostaggi che risulta un’idea quantomeno funzionale, l’altra nota positiva è l’approfondimento del personaggio di Tokyo (Úrsula Corberó), che di fatto è la leader morale di questo volume I della quinta parte, e protagonista dell’ultimo episodio. Con questa serie di puntate si apprezza finalmente il suo personaggio: dopo averla sempre ritratta come problematica e poco controllata, nel costante adoperarsi a mettere in pericolo le sorti di tutti, stavolta viene mostrato il suo lato più profondo e umano. Questo avviene soprattutto grazie all’introduzione – un po’ tardiva – del defunto fidanzato René e degli interessanti retroscena sulla sua vita, tra cui sicuramente il motivo per cui viene scelta come membro della banda, e il fatto che a sceglierla sia stato proprio Berlino. Proprio con l’ex leader operativo si confermano sempre più analogie: il carattere forte, l’imprevedibilità, l’egoismo, ma anche il coraggio e la nobiltà del sacrificio. Tokyo come Berlino abbandona la presunzione e accetta la sua fine, comprendendo finalmente di essere solo una delle pedine del gioco: una scena già vista, sì, un sacrificio che di fatto – a differenza di quello di Berlino – non salva nessuno, ma con cui si elimina il vero villain della stagione, Gandía, che, dopo essere riuscito a sopravvivere a qualsiasi cosa, viene finalmente ucciso. Bisogna chiedersi a questo punto quale personaggio realmente “cattivo” rimarrà negli ultimi episodi, visto che il Colonnello Tamayo è sotto ricatto, Sagasta non è neanche lontanamente malvagio rispetto a quanto prospettato, e Sierra probabilmente finirà con l’aiutare – anche solo per convenienza – il Professore e la banda.
In tutto questo un elemento che si fa fatica a giustificare è la continua centralità di Berlino (Pedro Alonso) nella narrazione. Sicuramente viene riproposto per via dell’ampio gradimento del personaggio, ma i continui rimandi rendono inevitabile la domanda che tutti ci stiamo ponendo dalla sua morte in poi: era proprio necessaria? Berlino era uno dei personaggi più controversi ma amati de La Casa de Papel, e sacrificarlo al termine della seconda stagione l’ha reso ancor più amato: mantenerlo “vivo” ricorrendo ai flashback sta diventando un po’ eccessivo, sebbene ci sia da riconoscere che proprio i flashback sono una delle parti più curate e meglio realizzate della serie.
Paradossalmente nessun personaggio viene approfondito quanto Berlino, di cui si mostrano vita, morte e miracoli: in questa quinta parte i momenti a lui dedicati sono così tanti che ne esce una vera e propria storyline parallela. Sembra quasi che all’interno di queste ultime puntate sia scappato un vero e proprio spin-off su di lui. Nel bene e nel male facciamo così la conoscenza di Rafael – figlio del criminale –, figura potenzialmente interessante ma che in pratica piove dal cielo. Si può facilmente intuire dove andrà a parare la narrazione con lui: è probabile che sarà la chiave della buona riuscita del colpo al Banco de España, ed è abbastanza preventivabile che comparirà alla fine per salvare tutti. La speranza è che torni con un ruolo più attivo, altrimenti sarebbe davvero insensato riproporlo di continuo per nulla.
Insomma, anche questa quinta parte segna un ulteriore passo della discesa qualitativa de La Casa de Papel, ennesima serie televisiva rovinata dalla volontà di tirarla per le lunghe; un prodotto in origine buono che però da troppo tempo fa acqua, a cui mancano sempre più i tratti distintivi e carattere che ne avevano contraddistinto il successo. La Casa de Papel sta giungendo alla fine, e questo dà al pubblico più sollievo che dispiacere: l’azione c’è, ma o è troppa o è troppo poca; i colpi di scena ormai si contano sulle dita di una mano. La bellezza dello show era proprio nell’azione controllata, nei piani orchestrati per anni nei minimi dettagli, e nell’ineccepibile gestione della crisi creata dagli autori, elementi sempre più rarefatti. Questi primi cinque episodi non fanno ben sperare, ma staremo a vedere se con gli ultimi cinque, che usciranno il 3 dicembre, si assisterà all’ormai sempre più insperato recupero in extremis dello show o se si concluderà amaramente una delle serie più amate e odiate degli ultimi anni.
Voto: 4