Da qualche giorno è approdata sugli schermi di Netflix la quinta stagione di Big Mouth, l’irriverente serie animata creata da Andrew Goldberg, Nick Kroll, Mark Levin e Jennifer Flackett.
Lo show parte, giustamente, con una coppia di puntate corali dedicate a due temi fondamentali per il racconto della crescita dei protagonisti, ormai quasi adolescenti: la masturbazione (“No Nut November”) e il rapporto con il proprio corpo, con il ritorno a sorpresa dello Shame Wizard (“The Shane Lizard Rises”). Se la premiere risulta un po’ sottotono, forse a causa del particolare tipo di comicità proposto dalla serie, che inizia a mostrare qualche segno di cedimento, al contrario il secondo episodio ne conferma il potenziale, ritrovando il giusto equilibrio tra la sua anima dissacrante e quella più intima, tramite la messa in scena delle insicurezze fisiche dei protagonisti e i loro tragicomici tentativi di “aggiustare” il proprio corpo.
Il terzo capitolo (“The Lovebugs”) si concentra invece su Nick e Jessi, introducendo il tema dell’innamoramento tramite i Lovebugs, che si vanno ad aggiungere alla sempre più folta schiera di spassosissimi personaggi-simbolo delle gioie e dei dolori della crescita. L’amore è senza dubbio il focus principale della stagione, oltre che uno degli aspetti più riusciti di questa annata: andandosi ad affiancare alle tematiche cardine della serie, legate alla sfera della sessualità e della scoperta del proprio corpo, viene sviscerato in tutti i suoi risvolti e le sue sfumature, anche quelle più oscure, servendo alla perfezione il percorso di sviluppo dei protagonisti.
Se in “The Green-Eyed Monster” a essere messa in scena è la gelosia (che non riguarda solo i rapporti romantici, ma anche quelli di amicizia), i successivi capitoli approfondiscono la trasformazione dell’amore (e dell’amicizia) nel suo opposto, l’odio, genialmente rappresentata dalla metamorfosi dei Lovebug in Hateworm. Si tratta di un’aggiunta interessante al pantheon delle creature dello show, sia per la loro eloquente doppia natura, sia per il ruolo di apripista che svolgono per lo spin-off Human Resources – di cui ancora non si conosce una data di rilascio –, conducendo Nick nel loro mondo.
I protagonisti assoluti sono in questo senso Nick e Missy (le cui strade si incrociano in “I F**king Hate You”): Nick rappresenta l’incapacità di accettare il rifiuto da parte della persona amata e i comportamenti tossici che questo può indurre, mentre nel caso di Missy l’odio nei confronti di Jessi si allarga alla sfera familiare, fino a prendere le forme della cieca rabbia adolescenziale. In entrambi i casi però il sentimento negativo, e i comportamenti scorretti che ne conseguono, si configurano come una tappa fondamentale per la crescita dei due personaggi. Anche l’arco narrativo di Jessi (bersaglio dell’odio di Nick e Missy) è incentrato sulla progressiva scoperta dei suoi sentimenti, dalla cotta nei confronti di Judd al rapporto di amicizia e di amore con Ali, occasione per lo spassosissimo numero musicale di “Best Friends Make the Best Lovers”, a cui si affianca l’elaborazione e l’accettazione del divorzio dei genitori (e dell’arrivo del “Cheese Baby”).
Andrew, invece, in questa stagione passa da protagonista a comprimario, mantenendo un ruolo laterale rispetto alle vicende principali del racconto. Il suo percorso risulta un po’ incoerente e frammentato, alternando momenti poco riusciti (quando si improvvisa stalker del supplente in “The Green-Eyed Monster”), ad altri decisamente più interessanti, come il processo di maturazione emotiva che avviene in seguito all’avvicinamento con il padre durante la puntata del Ringraziamento (“Thanksgiving”). C’è spazio anche per seguire le vicende di altri personaggi: Jay acquisisce una nuova consapevolezza dei suoi bisogni e desideri, suggellata dall’addio definitivo a Lola e dall’inizio della relazione con Matthew, mentre la figura di Leah, la sorella di Nick, offre l’occasione per parlare delle aspettative e delle pressioni che ruotano intorno alla prima esperienza sessuale (“Sugarbush”).
La crescita emotiva, oltre che fisica, dei protagonisti non va comunque a intaccare il tono dissacrante dello show: continuano infatti ad abbondare battute e situazioni incentrate sugli aspetti più grotteschi della sessualità. Si tratta naturalmente del marchio di fabbrica della serie, ma in alcuni casi l’impressione è che gli autori abbiano inserito il pilota automatico, puntando più sulla quantità che sulla qualità e procedendo per accumulo.
L’altro elemento caratterizzante di questa annata è l’accentuazione della dimensione sperimentale e, soprattutto, meta-narrativa dello show. Anche in questo caso i risultati sono altalenanti. “A Very Big Mouth Christmas” può dirsi senza dubbio un esperimento riuscito, in cui la parodia dei Muppets fa da cornice a una serie di mini-episodi a tema natalizio dove la sperimentazione formale non è mai fine a se stessa, ma si accompagna all’esplorazione dei personaggi, principali e non – spicca in questo senso l’origin story di Featuring Ludacris, il cane di Jay. Le continue strizzate d’occhio agli spettatori e le numerose rotture della quarta parete culminano invece nel finale “Re-New Year’s Eve” con l’apparizione in carne e ossa di Nick Kroll, uno degli autori della serie nonché principale fonte di ispirazione per l’omonimo personaggio: si tratta di una mossa azzardata – come ammette lo stesso Kroll durante l’incontro con la sua controparte animata –, di cui si può certamente ammirare l’audacia ma che, in fin dei conti, finisce con l’oscurare e depotenziare la vera rivelazione di questa annata circa l’origine interiore dei vari “mostri” che popolano lo show.
Nonostante qualche segno di stanchezza, perfettamente comprensibile giunti alla quinta annata dello show, Big Mouth si conferma come un prodotto di qualità, esilarante e al tempo stesso profondo. I protagonisti sono ormai giunti alle porte dell’adolescenza, e non vediamo l’ora di seguirli in questa nuova avventura.
Voto: 7½