
Il lato positivo di questa caratteristica è presto detto: Moon Knight può permettersi di raccontare la storia che vuole e come vuole. Nonostante i paletti imposti dall’omogeneità produttiva del grande franchise transmediale Marvel, infatti, la serie creata da Jeremy Slater (The Exorcist, The Umbrella Academy) può permettersi uno stile molto personale – in alcune scene più violento di quanto siamo abituati e dal punto di vista narrativo meno lineare – e poco preoccupato di non tradire una certa continuity o l’evoluzione caratteriale di un personaggio che gli spettatori già conoscono.
Il lato negativo di non essere direttamente collegato ai personaggi già visti al cinema è, d’altro canto, la difficoltà nel costruire una storia e dei personaggi abbastanza interessanti da poter sorreggere da soli uno show supereroistico che, come invece è successo con gli altri show Marvel/Disney+, può invece sostenersi e alimentarsi proprio grazie ai continui collegamenti ad un universo narrativo conosciuto. Quanti dei più riusciti cliffhanger o plot twist di WandaVision e The Falcon and The Winter Soldier, per esempio, si sono basati esclusivamente sui rimandi agli eventi o ai personaggi delle pellicole cinematografiche? Questa mancanza si fa sentire in Moon Knight: nemmeno il finale, nel quale potevamo aspettarci qualche collegamento che inserisse lo show in continuity, regala questa soddisfazione, con la conseguenza di non far dimenticare i grandi difetti che affliggono lo show dal punto di vista narrativo.

Dove invece lo show appare più riuscito è certamente dal punto di vista visivo e tecnico: se a giudicare solo dal primo episodio sembrava di essere di fronte a un prodotto scadente rispetto agli standard ai quali ci aveva abituato lo strapotere economico di Disney, il resto dello show migliora e offre una computer grafica di buon livello, perlomeno al punto che non risulti così straniante vedere delle persone viaggiare su un’imbarcazione egizia guidata da un ippopotamo che solca le dune del deserto. Gran parte del merito va anche al regista della maggior parte degli episodi, l’egiziano Mohamed Diab (Cairo 678), che fa un ottimo lavoro nel rendere coerente lo sguardo della storia raccontata dall’inizio alla fine, con l’utilizzo frequente di una particolare simbologia visiva – i richiami visivi alla luna e come questa si fonde con i movimenti del protagonista – e con una bella scelta di colori e ambientazioni che regalano alcune riprese davvero spettacolari.

Uno dei temi imprescindibili e certamente più chiacchierati della serie di Jeremy Slater è, però, il disturbo dissociativo dell’identità del protagonista, caratteristica fondamentale presente fin dall’inizio dello show. Questo viene sviluppato attraverso le due identità del protagonista, antitetiche e caratterialmente agli antipodi: Steven Grant è l’inglese mite che svolge una vita normale – l’ordinary man – mentre Marc Spector è l’americano avventuroso con un passato oscuro e pieno di segreti. Queste due identità, alle quali se ne aggiungerà una terza più estrema nel finale, vengono raccontate come due personaggi diversi, con vite e ricordi diversi, che condividono un corpo e, come suggerito attraverso i richiami alla mitologia egizia, anche un’anima che non sarà mai in equilibrio finchè i due non risolvono i propri problemi. L’episodio cardine di questo rapporto è “Asylum”, il quinto, quello più introspettivo che spiega come la divisione delle identità è stato causato dai continui abusi della madre di Marc/Steven sul figlio, imputato dalla donna di aver avuto una parte di responsabilità nella morte accidentale del fratello. L’episodio in generale funziona e riesce quasi sempre a evitare la trappola di essere uno “spiegone” fatto e finito, anche grazie alla non linearità della scrittura che porta i personaggi da un’ambientazione all’altra in un viaggio quasi onirico e che fino alla fine lascia il dubbio al protagonista su quale sia la verità. Inoltre, i richiami di questo episodio ad un’altra serie su un personaggio della Marvel Comics, Legion, sono evidenti, anche se non è chiaro quanto fosse voluto.

A conti fatti Moon Knight non è certo un prodotto pessimo, ma non è nemmeno uno di quelli che saranno ricordati in questa Fase 4 del MCU: siamo di fronte ad una classica storia delle origini in stile Marvel, e forse è questa la più grande delusione. Rispetto alle premesse che annunciavano qualcosa di diverso e mai visto prima siamo stati certamente delusi, un po’ come era successo per Loki; a conti fatti questa nuova wave televisiva dei Marvel Studios finora è stata molto al di sotto delle aspettative e l’exploit qualitativo di WandaVision appare oggi più come un’eccezione che la regola.
Voto: 6 ½

Ok, credo che mi prenderò una lunga pausa da questi show che sembra vogliano accontentare senza riuscirci un po’ tutti, eccezion fatta per quella vasta platea di youtuber dediti alle reaction. Anche qui come nelle serie precedenti, il finale rovina tutto il buono (pochino in verità) visto prima, con in particolare un episodio 5 (Asylum) al top. Secondo me anche WandaVision aveva lo stesso problema, mentre Loki, che ho particolarmente apprezzato, mi è sembrato il più equilibrato. Comunque per adesso basta così e il mio interesse per She Hulk e Ms Marvel è zero.