
Dapprima c’ero io soltanto, / lei venne poi con l’urgenza piccola / del vento, della pioggia, delle radici / – di tutto ciò, insomma, che non si può / controllare ma semplicemente accade. / Riposava nell’ordine inviolato / della natura. Forse da secoli / era iscritta in una qualche cellula/ tramandata col tempo fino a me. / Perciò non seppi, non potei scacciarla. / Dovetti, come ogni destino, prenderne / atto. Forse era qui per salvarmi. / Era me più di quanto io stesso / potessi appartenermi. Mi fidai. / Così iniziai a darle spazio.
Questa è una delle poesie che compone Dolore minimo, raccolta di esordio di Giovanna Cristina Vivinetto, donna trans e poetessa, che racconta in versi il cammino che l’ha portata a conoscere un io che non poteva – e non doveva – più nascondere.
È proprio da questi versi e dall’incontro tra la giovane poetessa siciliana e Alice Urciolo – già co-sceneggiatrice di Skam Italia – che vengono gettate le basi per la creazione di un progetto nuovo, originale, sincero. Urciolo inizia così a lavorare a questa nuova sceneggiatura, ancora un po’ appannata, un po’ sbiadita. Serviranno circa tre anni di ricerche e di interviste sul campo prima che quel progetto – a cui sin da subito si è aggiunto Ludovico Bessegato – diventi Prisma. Eredi di un successo indiscusso come quello di Skam Italia, i due autori sentivano la necessità di creare un prodotto cento per cento nostrano: ricordiamo infatti che, nonostante il successo incontestabile di Skam nel Bel Paese ma anche all’estero, si tratta pur sempre di un remake del format norvegese. Prisma invece possiamo definirlo come il primo esperimento originale italiano riconducibile al genere Young Adult.
La serie è stata lanciata interamente lo scorso 21 settembre su Prime video con 8 puntate da 40 minuti ciascuna (a eccezione dell’ultima che incolla lo spettatore allo schermo per circa un’ora). Ideata da entrambi gli autori ma diretta da Ludovico Bessegato, la serie racconta la storia di due gemelli adolescenti, Marco e Andrea, alla ricerca della propria identità attraverso un viaggio introspettivo ed esplorativo.

A dare dinamismo e fluidità agli episodi è poi il vasto – ma mai ripetitivo – utilizzo dei flashback: scelta, quella di Bessegato, decisamente calzante perché è proprio grazie all’utilizzo di questi che lo spettatore riesce a conoscere – oltre a episodi chiave della vita dei due gemelli – aspetti emotivi che ne disegnano via via i personaggi. Un plauso va a Mattia Carrano che, al suo primo set, è riuscito magistralmente a interpretare un doppio ruolo come quello dei gemelli, risultando credibile in ogni scena (si fatica a credere che in realtà sia la stessa persona!). Lo stesso Carrano, dopo aver letto la sceneggiatura, racconta di avere in autonomia scelto di mettere in atto un diverso linguaggio del corpo, a seconda del gemello che interpretava: è stata questa infatti la difficoltà maggiore, riscontrata soprattutto quando Carrano si trovava a recitare le due parti nella stessa scena.
La storia dei due fratelli finisce presto per intrecciarsi con quella di vari altri personaggi; non è difficile da immaginare visto che l’intera narrazione si svolge a Latina, provincia laziale che diventa anch’essa protagonista. Per una volta, a fare da cornice non è quindi una grande città, come ad esempio succede in Skam, ma una piccola realtà, unica e particolare nel suo genere.

L’obiettivo di Prisma è puntare i riflettori sulla Generazione Z: la ricerca della propria identità – in tutte le sue forme – non riguarda soltanto Andrea ma investe quasi tutti i personaggi. Tra i protagonisti spiccano le personalità di Carola, Daniele e Nina, interpretati rispettivamente da Chiara Bardi, Lorenzo Zurzolo e Caterina Forza. Carola è bella e sa di esserlo, e del fatto che abbia una protesi alla gamba non frega nulla a nessuno. Per la prima volta in Italia, nel vedere raccontata la disabilità, lo spettatore non viene trainato da un sentimento compassionevole; la storia di Carola non ruota mai attorno alla sua gamba amputata ma alla sua condizione di adolescente e al suo sentirsi fuori posto per un banale amore non corrisposto. Questa è sicuramente una delle novità più significative che Urciolo e Bessegato hanno voluto mettere in scena, lanciando un messaggio chiaro al nostro Paese. Il non ricorrere mai a cliché o a esasperazioni generazionali hanno reso la scrittura dei personaggi praticamente perfetta, come nel caso di Daniele: Zurzolo interpreta il bello che fa il bullo e che riesce a lasciarsi andare quando si ritrova da solo con il suo cellulare. Gli intensi momenti di tenerezza lo coinvolgono solo quando in chat scrive a una ragazza di cui non conosce né nome né volto; non è forse una nitida fotografia della condizione nella quale si trova la generazione Z? L’utilizzo dei social, più che mai nel personaggio di Daniele, è fondamentale per poter esprimere il proprio io, senza dover far fronte alla realtà (o almeno, non subito). L’esplorazione – in tutte le sue forme – diventa via via protagonista assoluta e Nina ne è l’esempio indiscusso: una giovane adolescente già consapevole del fatto che la sessualità non deve essere vissuta come un vincolo ma come una continua avanscoperta. La fluidità e la libertà di essere attratti dalla mente più che dal corpo rappresenta un pensiero sempre più comune tra i ragazzi di oggi.

Per concludere, Prisma è la serie che l’Italia aspettava da molto tempo; finalmente un prodotto che racconta gli adolescenti di oggi affrontando temi finora cari solamente alle serie TV estere (vedi Euphoria). La speranza, che sfocia quasi in certezza visto il cliffhanger dell’ultimo episodio, è quella di avere quanto prima la conferma di una seconda stagione.
