Sono passati più di dieci anni dagli ultimi avvenimenti della nostra troupe preferita. Quante volte ci siamo chiesti come sarebbe proseguita la carriera di Renè Ferretti? Quante volte abbiamo fantasticato sul futuro di Stanis e Corinna? E Alessandro sarebbe stato uno stagista anche a quarant’anni?
In questi dieci anni anche la realtà ha fatto capolino in Boris, togliendoci uno dei più brillanti sceneggiatori italiani: la prematura scomparsa di Mattia Torre, nella sua totale insensatezza, ha riempito di dolore e sgomento tutti, specialmente i suoi colleghi con cui aveva dato vita a una delle migliori serie italiane dell’ultimo decennio. E da quel dolore e dalla voglia di dare un senso a quella perdita è nata la nuova – e stavolta davvero ultima – stagione di Boris.
Anche questa nuova stagione parte dal classico presupposto di Boris: c’è da girare una nuova serie tv italiana. Solo che questa volta c’è un particolare diverso: invece della tv generalista, la serie deve essere venduta alla misteriosa Piattaforma. I produttori, i coniugi Stanis e Corinna, decidono allora che per far sì che la Piattaforma dia il lock al progetto c’è bisogno di una troupe fidata: quella di Ferretti e dell’ormai mitica “Occhi del Cuore”.
Da questo semplice presupposto parte quindi la nuova storia, che deve fare un lavoro preciso e impegnativo sull’adattare la pungente e tagliente ironia di Boris al contesto odierno, con tutte le questioni legate al politically correct e ai concetti di diversità ed inclusione, sia nei temi di sceneggiatura della nuova serie “Vita di Gesù” che nella vita di tutti i giorni sul set. E questo è il primo punto a favore di questa nuova stagione: Ciarrapico e Vendruscolo riescono a mantenere un livello altissimo di ironia pur camminando su un terreno minato, facendo sì passare quasi tutti i personaggi del set come burini, retrogradi e spesso violenti sia fisicamente che psicologicamente – ovvero come li abbiamo sempre conosciuti – ma riescono anche a dare dignità e importanza a temi molto sensibili, non facendoli mai scadere nel ridicolo. Riescono, insomma, a prendere in giro alcune “regole” che sembrano quasi assurde (tutta la ricerca del ragazzino cinese per la parte di un giovane apostolo è una delle gag più riuscite dell’intera serie) con tatto e intelligenza, per poi sottolineare come alcune cose che sembrano incastrate malamente solo per inseguire il politicamente corretto siano in realtà dovute dalla Storia – come sottolinea il misterioso biblista, facendo notare agli sceneggiatori che effettivamente c’erano delle colonie dell’estremo oriente radicate in Giudea.
Sono proprio i vari apostoli e seguaci di Gesù il principale gancio per una delle gag più belle di questa stagione e che sottolinea, come solo Boris sa ed è riuscita a fare, il pressapochismo che regna sovrano nella maggior parte delle produzioni italiane: quando non ci sono soldi, non c’è il tempo o più semplicemente non si sa bene come girare una scena, entra in gioco il giù cult “’o dimo”.
Lo diciamo senza farlo vedere, che problema c’è? Ovviamente l’utilizzo del romanesco è fondamentale per rendere la battuta ancora più ricordabile, ma Boris riesce sempre a ottenere questo effetto divertente e di “denuncia” con pochissime frasi o parole. Ed ecco allora il vero utilizzo delle comparse: quando parlano tra di loro, raccontano delle scene fondamentali della storia senza che la produzione sia costretta a sborsare un soldo per tempo, macchinari, effetti speciali e quant’altro serva per girarla.
È il perfetto effetto straniante, marchio di fabbrica di Boris: ti fa ridere e nello stesso tempo ti fa riflettere su come molte volte, nelle serie tv italiane che siamo abituati a vedere, questa “soluzione” non sia poi così tanto campata per aria.
Collega, ma com’è l’inferno?
Ti dirò, alla fine non è male. È pieno di quarte stagioni.
Che i tre sceneggiatori de “Gli occhi del cuore” fossero la diretta rappresentazione del trio Torre-Ciarrapico-Vendruscolo non vi erano dubbi, e c’era molta curiosità su come sarebbero stati rappresentati in questa nuova stagione, visto appunto il triste destino toccato in sorte a uno dei tre.
Ebbene, anche qui non s’è sbagliato un colpo: rappresentare uno dei tre come un fantasma che dà consigli finalmente assennati ai due rimasti è stata una mossa molto intelligente per svariati motivi. Sicuramente la parte emozionale ha fatto il suo dovere, dando fin da subito l’idea che questa quarta stagione fosse prima di tutto un grosso tributo all’amico scomparso, ma non solo: è stata anche una mossa divertente lato sceneggiatura, rendendo ancora più sconnessi i due sceneggiatori rimasti – ovviamente agli occhi degli altri, che il fantasma non lo vedono – e dando un’aura ancora più mistica alla stesura di “Vita di Gesù”.
Ma è soprattutto il primo motivo elencato il vero punto di forza di questa scelta. Alcuni si sono chiesti se il significato “altro” che si porta dietro sia stato colto da tutti (banalmente, dicono, qualcuno può non conoscere la storia di Mattia Torre e del team di sceneggiatori), ma è anche vero che lo zoccolo duro dei fan di Boris, da cui molto probabilmente è composta la totalità degli spettatori di questa stagione, ha ben presente gli avvenimenti degli anni scorsi.
Questa, quindi, è la prima evidenza che vi diamo sui personaggi che ben conosciamo: lato sceneggiatori tutto perfetto… e il resto del cast com’è andato?
René, le hai detto: “Dai! Dai! Dai!”, significa “Muori! Muori! Muori!”
Spoiler: anche il resto del cast è rimasto di livello assoluto.
Non sappiamo neanche da chi iniziare l’analisi, perché la scrittura dei personaggi è stata come sempre perfetta, in linea con quanto ci aspettavamo e forse addirittura meglio. È il caso di Alessandro, che ha subito probabilmente il cambiamento più grande: da stagista a responsabile italiano della Piattaforma è un bel salto, considerando anche come tutti ancora lo vedano come lo “schiavo”.
Se dobbiamo trovare proprio il pelo nell’uovo, allora ci dobbiamo soffermare un po’ su Duccio Patané, che era senza ombra di dubbio uno dei personaggi meglio riusciti delle prime tre stagioni. È sicuramente divertente la piega che prende dopo il suo ritorno dall’India, quasi da asceta: non si capisce mai se sono le droghe o una scelta di vita a renderlo così, soprattutto il colpo di scena degli occhiali da sole, quando ci viene svelato che Duccio è un direttore della fotografia che non ci vede. Ma forse il passaggio tra un tipo di comportamento e l’altro è troppo brusco e fa perdere un po’ l’interesse che si aveva per il personaggio, probabilmente messo in ombra per lasciare più spazio a Lorenzo, che è più protagonista nella seconda parte di stagione.
Menzione speciale per tutti i personaggi principali che troviamo in grande spolvero, specialmente Stanis e René, veri mattatori di questa stagione. Ma la forza di Boris sta soprattutto nei personaggi secondari, nelle guest star che costellano da sempre questo universo e che delle volte danno una piega nonsense veramente irresistibile. Due su tutti: Glauco (Giorgio Tirabassi) e Mariano (Corrado Guzzanti), per motivi diversi. Il primo entra come sempre a gamba tesa nella serie e fa da risolutore di problemi o miccia per una svolta nella trama: in questo caso è entrambi. La sua importanza è capitale, ma non solo: è un personaggio di cui sentiamo proprio il bisogno, è una scheggia impazzita perfetta per il mondo di Boris e che non poteva assolutamente mancare. Mariano invece è proprio quella quota di nonsense di cui parlavamo poco fa: la gag della pistola, del ritrovo in Texas per appassionati di armi dove deve recarsi e la storia della cremazione di suo padre sono totalmente slegati dalla trama, ma riescono a dare una spinta comica ancora maggiore al tutto, con un’interpretazione sempre magistrale di Guzzanti.
Ma soprattutto va menzionata la new entry più importante del cast: Edoardo Pesce, se possibile, ha innalzato ancora di più il livello degli attori, portando sullo schermo un Tatti Barletta/Giuda che verrà ricordato sicuramente a lungo, diventando all’improvviso non solo il protagonista del film che René gira in segreto, ma anche di Boris stessa.
Quando ero piccolo volevo cambiare il mondo. E purtroppo l’ho cambiato.
Ed è proprio questa scelta che porta avanti René su suggerimento di Glauco (prensilité!) che dà un ottimo finale per un regista e un uomo spesso bistrattato, che per anni è dovuto scendere a compromessi per restare al suo posto, ingoiando la bile per il lavoro su cui metteva la firma e sotterrando la sua creatività e i suoi sogni.
Un destino che non gli era riuscito di compiere alla fine di Boris – Il film, dove era tornato “a casa” con la coda tra le gambe: qui, finalmente, ci riesce. Non vedremo mai “Io Giuda”, né ci è dato sapere se questa volta “fuckin’ René Ferreeeddi” ha fatto il capolavoro, come sembra predire la pallina di carta con cui gli sceneggiatori scommettono sul destino. Ma questo finale quasi anticlimatico per il tone of voice a cui ci ha abituato Boris ci fa rilassare sul divano e sorridere – per una volta, non amaramente – per un destino che sembra finalmente roseo per René e per i suoi sogni artistici, rendendoci partecipi del ricordo che i colleghi hanno voluto fare di Mattia Torre.
Anche qui con una scelta di rottura e probabilmente volutamente ironica: non davanti a una serie tv, ma in una sala cinematografica, in religioso silenzio.
Voto: 8½
Complimenti per la recensione, praticamente perfetta! Concordo in toto su tutto, è stata una stagione in grado di reinventarsi e di far ridere – tantissimo – sia facendo satira sui temi “nuovi”, sia ripercorrendo i capisaldi delle serie passate. Unica nota “negativa” per me è il “non-trattamento” della coppia Alessandro – Arianna (non è che c’è voglia di farci uscire un seguito?).
Per il resto tutto perfetto, concordo su tutto 🙂 mi dispiace solo averla vista in due giorni, non riuscivo a staccarmi ahah
Grazie Annalisa! 🙂
È vero, il rapporto tra Alessandro e Arianna non è stato minimamente sfiorato, ma mi sa non c’era tempo per un angolo romantico 😀
Ma questo forse supporta ancora di più i voti alti dati alla stagione: le cose che non tornano o che non convincono sono davvero inezie.