Avevamo lasciato le giocatrici delle Yellowjackets alle porte dell’inverno nei mesi successivi allo schianto nei boschi del Nord America e le sopravvissute adulte che stanno gestendo un omicidio e un rapimento. Viste le atmosfere della prima stagione e il dramma che vivono da anni ormai le protagoniste, la domanda sorge spontanea: cosa mai potrebbe andare storto?
La seconda stagione di Yellowjackets è sicuramente uno degli appuntamenti di punta di questo anno seriale: il grande clamore della prima stagione e il finale che ne è conseguito hanno alzato di molto l’hype per questo nuovo inizio. La particolarità del racconto, poi, è stato sicuramente uno degli elementi che ne hanno permesso una rapida scalata di successo di pubblico e critica: non solo per la il genere ibrido thriller-horror molto interessante, ma anche e soprattutto perché in realtà le linee narrative portate avanti dagli autori sono due: gli avvenimenti delle ragazze nel passato e le disavventure delle adulte che sono sopravvissute. Anche tutta la storyline del presente, infatti, che continua a strizzare l’occhio agli avvenimenti di venticinque anni prima, è assolutamente interessante e non dà mai il benché minimo indizio su come potrebbe andare a finire, anche considerato il mistero che viene portato avanti e alimentato per tutto il corso della stagione.
Anche per questo l’inizio della seconda annata era molto atteso, e – possiamo dire – di certo non ha deluso le aspettative. Non tanto per quello che succede (a parte il “disgustoso” finale, di cui parleremo tra poco) ma proprio perché continua la narrazione in maniera coinvolgente esattamente come ce la ricordavamo. Quello che vediamo in questi primi 55 minuti di stagione fila via senza particolari sussulti – rispetto al ritmo a cui Yellowjackets ci ha abituati, ovviamente – ma riprende il filo del discorso senza scossoni messi lì solo per sconvolgere chi guarda, continuando a indagare sia come si sono svolti davvero gli eventi sulle montagne sia esplorando quello che di umano è rimasto nelle donne tornate da quell’esperienza devastante.
Per capire a che livello di weird (con un senso, non utilizzato in modo casuale) ci ha abituati questa serie, basti pensare a come sia quasi naturale che Shauna tenga il corpo congelato dell’amica Jackie in una casetta solo per poterci parlare e immaginarsela ancora viva. Con una sola sequenza siamo entrati nella dimensione orrorifica del racconto, che come tutto il resto non è mai fine a se stessa, non è messa lì solo per fare “orrore”, ma ci sta spiegando come siamo arrivati alla versione odierna di Shauna e alle contraddizioni a cui ci ha abituato.
Le sequenze ambientate nel presente, invece, si concentrano, oltre che su Shauna e il marito che affrontano a modo loro l’omicidio della scorsa stagione, soprattutto su Natalie e il suo misterioso rapimento: anche in questo caso, la tempistica è perfetta per introdurre la versione odierna di una delle ragazze più interessanti della squadra, Lottie, che si è rivelata come elemento di rottura proprio nel cliffhanger del finale della prima stagione.
Lei incarna la parte ancora più irrazionale del racconto, quella che sfocia nel misticismo: quali sono i poteri che sembra avere nel calmare le persone? Riesce per caso a intuire il futuro? Sa delle cose che gli altri non possono sapere? Forse la scelta di farla diventare il capo di una setta era prevedibile, ma questa serie ci ha abituati alle sorprese ben distillate nel tempo, e siamo sicuri che sarà un personaggio fondamentale per le restanti 8 puntate di questa annata.
Anche i personaggi secondari continuano ad essere fondamentali nel dipanarsi della storia: dal marito di Shauna, Jeff, alla moglie di Taissa, Simone, passando per il figlio di quest’ultima coppia, Aiden, a quella della prima, Sarah; tutti sono tirati in mezzo dai gravi problemi che attanagliano le protagoniste, che non hanno impattato solo su di loro, ma che si propagano come un veleno anche alle persone che stanno loro vicine.
Anche questo è uno degli aspetti che rendono molto interessante Yellowjackets: riuscire a raccontare svariati aspetti della trama principale attraverso diverse sfumature: l’horror per quanto riguarda la parte dell’incidente e quello che è avvenuto subito dopo, il thriller per quanto riguarda il presente e il puro dramma nei rapporti umani che queste donne hanno o hanno avuto nel corso della loro tormentata vita. Il tutto è mixato magnificamente da un montaggio che sembra reggere il confronto con quello della prima stagione, un vero plus tecnico che fa immergere perfettamente lo spettatore in quello che sta guardando.
“Friends, Romans, Countrymen” è quindi una puntata che raccorda perfettamente la prima e la seconda stagione, mandando avanti sempre in maniera coinvolgente la trama, ma senza esagerare o puntare subito al grande colpo di scena: questo è sicuramente un punto di forza di Yellowjackets.
Gli altri punti di forza si sono confermati tutti, dalle atmosfere horror alle sequenze più thriller, confermandoci che l’attesa che abbiamo dovuto sopportare forse ci ha già ripagato con un inizio all’altezza delle aspettative, ben consapevoli che la strana storia della squadra di calcio americana non si concluderà tra soli otto episodi, perché la serie, ancora prima del debutto della seconda stagione, era già stata rinnovata per una terza annata.
La sequenza finale dell’episodio forse racchiude perfettamente quello che intendiamo: giriamo attorno a quel pensiero per mezza puntata, per poi ritrovarcelo un secondo prima dello schermo nero. Inorriditi e affascinati: speriamo che questa serie non perda mai nessuna di queste sensazioni che ci ha fatto e che continua a farci provare.
Voto: 7