
I cambiamenti rispetto a quel film, però, sono così profondi che permettono di godere di questo show come di un prodotto unico e indipendente, in cui i richiami al lungometraggio originale si evidenziano soprattutto nelle differenze con esso.
Partiamo, però, dalla trama: le gemelle Beverly ed Elliot Mantle (Rachel Weisz) sognano da sempre di aprire una propria clinica interamente centrata sulla gravidanza e sui bisogni delle donne in questo complesso frangente. Tale desiderio sembra potersi realizzare quando si interessa alla loro storia la milionaria Rebecca Parker (Jennifer Ehle), che è disposta a finanziare la clinica a patto però che si offrano servizi sempre più moderni a scientificamente arditi. A questa premessa si aggiunge l’incontro tra Beverly e l’attrice Genevieve (Britne Oldford), che scombina in modi imprevedibili l’equilibrio morboso tra le due gemelle.

Come si è detto all’inizio, la serie sviluppa in modo indipendente alcuni dei temi del primo Dead Ringers del 1988, con delle differenze di grande rilievo. La prima e di certo più importante divergenza è che la coppia di gemelli protagonisti di questi due prodotti narrativi ha generi diversi: due uomini nel film del 1988, due donne nel prodotto del 2023. Si tratta di un cambio che non poteva capitare in un momento più propizio, perché è proprio di questi tempi la (triste) discussione, soprattutto negli Stati Uniti, riguardante la perdita di libertà delle donne nel gestire il proprio corpo durante la gravidanza: il fatto che ora a occuparsi di fertilità e corpi siano proprio due donne è fonte di riflessioni non altrimenti possibili. La serie esprime questo spostamento in vari modi: uno è concentrandosi su un cast quasi esclusivamente femminile, in cui le donne possono parlare con cognizione di causa – e soprattutto essere tra loro in disaccordo – di cose che le riguardano direttamente. Un altro approccio è attraverso la fedeltà alla realtà delle scene riprodotte, soprattutto con i parti molto espliciti e il corpo femminile messo in primissimo piano senza nessun desiderio di sessualizzare alcunché. La gravidanza non viene quindi mai romanzata (e quando lo si fa è per creare un voluto effetto surreale) ma mostrata in tutti i suoi caratteri più sinceri di sangue e muscoli. Anche se non è il tema principale, la serie non si esime dal toccare domande delicatissime e che riguardano il tema della gravidanza in tutte le sue forme: fino a quando è consentito l’aborto? Di converso, date delle condizioni scientifiche favorevoli, quanto a lungo è eticamente giusto condurre una gravidanza in vitro prima dell’impianto? Argomenti di questo stampo – più o meno fantascientifici – rientrano addirittura nella trama stessa della serie, mostrando il vasto potenziale e le tante sensibilità che questi temi suscitano nel discorso pubblico. Lo fanno ancor di più quando a essere coinvolti sono tutta una serie di personaggi riprovevoli, ricchi uomini e ricche donne dalla morale abietta ed elitista, cosa che ci lascia con l’interrogativo se forse il controllo del corpo non passi anche per il dominio del denaro.

Il tono narrativo della serie è molto attento a descrivere con attenzione certi suoi passaggi, con una prima parte che costruisce con molta calma i personaggi per poi proseguire a passo più spedito nella seconda parte. La puntata finale chiude il racconto con efficacia, sviluppando ancor più che negli episodi principali quel tono da serie thriller che in più passaggi ha abbracciato. Alcune scelte sono un po’ meno ovvie – soprattutto quelle che riguardano Greta (Poppy Liu) – ma molto interessanti per gli spiragli insoliti che vanno a coprire.
Dead Ringers è una serie perfetta per chi vuole godersi ottima recitazione e un racconto intelligente. Pur non presentando una trama unica, fa tutto il possibile per mostrarci qualcosa di contenuto e ci riesce molto bene. Il tono del racconto è infatti sempre sul filo dell’oppressione, ci pone costantemente nella condizione di dubitare di ciò che stiamo vedendo, lasciandoci a volte il dubbio su quale sia la gemella sulla scena. L’ambiguità del racconto, che si mantiene sino alla fine, può richiedere un po’ di attesa, ma al termine della miniserie si rimane soddisfatti nel constatare che si è trattato di un viaggio profondo e intenso nell’umanità, più o meno morbosa, di questi personaggi.
