Prendete Benedict Cumberbatch, la New York degli anni ’80, un mix tra Monsters & Co. e la serie tv Kidding, una spruzzata di Taxi Driver e avrete gli ingredienti principali per una miniserie di buon livello. Tutto questo è Eric, il nuovo show Netflix firmato dall’autrice gallese Abi Morgan (Sex Traffic, The Hour).
Siamo appunto nel 1985, nella torbida New York, dove Vincent Anderson è un famoso burattinaio che ha un programma televisivo di successo. Ma la sua vita è tutt’altro che dorata: il rapporto con la moglie è a di poco burrascoso e non riesce a trovare un’intesa con il figlio Edgar, che sembra dotato della stessa sua fantasia e intelligenza. Un giorno, mentre Edgar va a scuola da solo, scompare misteriosamente; comincia quindi una caccia alla verità che vede protagonista il Detective Ledroit, che nel frattempo si sta occupando anche di un altro ragazzino scomparso un anno prima.
Eric si presenta come una delle più classiche detective stories ma la cosa realmente interessante è che la scomparsa di Edgar si rivela quasi un MacGuffin all’interno della trama: sono infatti molteplici e stratificati i punti di interesse della narrazione, e la soluzione del giallo della scomparsa del piccolo Anderson è solo la punta di un vastissimo iceberg sepolto sotto la coperta sudicia di una New York che è molto più simile a Gotham City che alla città che conosciamo noi oggi.
Partiamo proprio dallo sfondo di tutta questa storia, ovvero la Grande Mela. Gli anni ’80 sono stati forse il punto più basso di questa megalopoli, con una criminalità dilagante, una crisi dei rifiuti senza precedenti e la condizione pietosa di migliaia di senzatetto costretti a vivere nelle fogne, di fianco ai binari della metropolitana.
Non c’è niente di bello e caloroso in quello che vediamo: le tinte sempre tendenti al blu e grigio della fotografia rendono ogni ambiente cupo e privo di speranza; anche la maggior parte dei personaggi che incontriamo sembrano avere assorbito nella propria pelle l’aura di perdizione del luogo in cui abitano. Spesso agiscono solo in modo egoistico, senza curarsi del prossimo, in modo razzista e omofobo.
Partiamo proprio da Vincent, interpretato da un Cumberbatch in evidente stato di grazia: nonostante sia l’ideatore e una delle anime principali di un programma per bambini famosissimo, è un uomo gretto, consumatore di alcol e droghe, severo con il figlio in modo quasi brutale, distante ormai anni luce dalla moglie con cui ha consumato tutto l’amore che li aveva tenuti legati. È il classico esempio di genio e sregolatezza, reso ancora più fastidioso appunto dall’aura di questa New York che sembra non dare speranza a nessuno, che inghiotte ragazzini nel nulla e che non restituisce niente se non tristezza e dolore.
Un altro aspetto importante su cui la serie pone l’accento è sicuramente quello dell’omosessualità – e quindi della relativa omofobia che pervade la società – e della piaga dell’AIDS: il tutto è concentrato nella figura del detective Ledroit. Lui è sicuramente il coprotagonista del racconto, uno dei pochi poliziotti che non sembrano essere corrotti o immanicati con qualche figura di potere, che si danna l’anima per venire a capo sia del caso di Edgar, sia di quello ormai vecchio di un anno di un altro ragazzo (stavolta nero e povero) scomparso in circostanze analoghe e mai più trovato. La vicenda si intreccia con la sua storia personale, che tocca sia il suo attuale compagno ormai sul letto di morte per la già citata malattia che ha devastato gli anni ’80 sia per il legame che ha con il titolare del night club al centro di entrambe le indagini, vero punto focale dove sbrogliare la matassa.
Tutto questo contorno serve sia per delineare meglio i personaggi, tutti con qualcosa da nascondere o con un passato che è meglio non venga a galla, sia per centrare anche l’attenzione sui casi dei ragazzi scomparsi. Se quello di Edgar – che sembrerebbe quello principale, ma se ci si pensa bene forse non lo è – non è dovuto a un rapimento o a qualche altra storia macabra ma “soltanto” ad un allontanamento volontario di un ragazzino stufo marcio della propria famiglia, e soprattutto del padre, il caso rimasto insoluto di Marlon Rochelle è quello che porterà a galla il marcio che striscia sotto le strade e nei palazzi per bene di New York.
La scomparsa di Edgar è la scintilla che accende una miccia che porta all’esplosione delle vite di quasi tutti quelli che vediamo coinvolti in questa storia. Ci voleva il suo allontanamento e la sua scomparsa volontaria per far sì che piano piano tutte le tessere del puzzle si incastrassero, una lenta caduta dei pezzi del domino che finora era rimasto intoccato.
Il fatto che si arrivi alla soluzione, alla terribile verità che riguarda Marlon, solo grazie alla scomparsa di un bambino bianco di una famiglia agiata e importate della città la dice lunga sul clima che permeava New York e sulle forze di polizia in generale, che consideravano omosessuali e neri come persone sacrificabili e non degne di essere quantomeno premiate con la verità.
L’unico, timido, spiraglio di luce che si intravede in questa storia è lo show Good Day Sunshine, che sembra un’àncora per i bambini che devono crescere in un mondo che non sembra offrire nessuna speranza. Anche se noi adulti sappiamo come funziona il mondo del lavoro e soprattutto da spettatori di questa serie vediamo bene cosa succede tra chi anima i pupazzi così tanto carini e simpatici, e cioè che il veleno del mondo adulto nulla ha a che fare con la fiaba che racconta una telecamera, il dialogo che ha Vincent con suo padre nel finale (dove ci rivela che il titolo del programma era una frase che gli diceva il genitore da piccolo e che lo faceva stare bene) ci riconcilia almeno in parte con tutto l’orrore e il dolore che siamo stati costretti a vedere per sei episodi.
Eric racconta quindi di un bambino scomparso (almeno sulla carta), basandosi su un fatto di cronaca realmente avvenuto a New York nel 1979, ma in realtà la storia di Edgar serve solo a farci capire una cosa: che è inutile preoccuparsi dei mostri sotto al letto, perché non stanno lì nascosti, i mostri sono ovunque. Specialmente dentro di noi.
Voto: 7
Guardato per 3 episodi e, nonostante IO cerchi sempre di finire tutto, specialmente le miniserie, mi sa che la abbandono: tecnicamente non male, tra attori e colonna sonora da sbavo… Però la serie è un’accozzaglia di temi diversi inseriti e mescolati e il tutto risulta estremamente noioso…