Arrivati alla metà di questa stagione, House of the Dragon non si fa più attendere e rivela infine i suoi pezzi migliori. La Danza dei Draghi ha davvero avuto inizio con una battaglia violenta e disastrosa, e con le conseguenze che se ne ricavano.
Dopo aver cercato di evitare uno scontro diretto tra draghi culminato nella scena del terzo episodio tra Alicent e Rhaenyra, i Targaryen non possono più tirarsi indietro e con la battaglia di Rook’s Rest le cose entrano nel vivo del racconto. I primi tre episodi, sebbene non privi di momenti molto riusciti, avevano perlopiù il compito di prepararci alle scene che avremmo visto da lì a poco: alcune morti, delle menomazioni, e i dubbi dei personaggi principali sulla loro volontà di partecipare a questo massacro. Tutto ciò era ovviamente necessario per permettere allo spettatore non solo di appassionarsi agli avvenimenti, ma soprattutto di affezionarsi ai personaggi e capirne motivazioni e paure.
I due episodi che formano il centro della stagione hanno scopi diversi e complementari: il primo, “The Red Dragon and the Gold”, vede l’esplosione delle tensioni tra i due rami Targaryen, con la battaglia e le conseguenze devastanti; l’altro, “Regent”, deve invece rimettere a posto i cocci e mostrare come una guerra di questa portata abbia delle terribili conseguenze per tutti.
C’è infatti un grande pregio nella battaglia di Rook’s Rest, che prescinde dalla bellezza o meno dello scontro tra le due parti: attraverso gli occhi di Cole, le piroette spettacolari e infuocate dei draghi scendono al livello umano, lì dove l’esercito è davvero poco più di formiche a disposizione e pronte ad essere immolate. Lo è dall’inizio, da quando cioè soldati vengono sacrificati solo nella certezza che questo avrebbe attirato l’attenzione di uno dei draghi del Team Black; ma lo è ancor maggiormente dopo, quando alla caduta dei draghi corrisponde la devastazione potente e spaventosa al suolo, con corpi carbonizzati privi di ogni riconoscimento. Attraverso questa oculata scelta, gli autori ci permettono davvero di capire il perché vari personaggi avrebbero voluto evitare lo scontro tra draghi. La devastazione e la morte che aleggiano sulla battaglia interna alla famiglia Targaryen si espandono su tutti coloro che li circondano: da ora in poi non c’è più ritorno.
D’altronde, abbiamo il primo morto eccellente della famiglia (escludiamo Luke, perché quella non può certo definirsi una battaglia). La morte di Rhaenys non colpisce solo per la bellezza scenica dello scontro, ma soprattutto per quello che la donna ha rappresentato finora – la generazione precedente, quella che è cresciuta con una lunga e duratura pace e che vorrebbe mantenere le cose, se possibile, in modo civile. Era inevitabile che Rhaenys parteggiasse per sua nipote: lei, d’altronde, era stata messa da parte anni prima solo perché donna, una situazione che si sta ripetendo adesso in una forma molto più violenta. Allo stesso tempo, però, Rhaenys è ben consapevole che una battaglia tra draghi è l’ultima cosa da augurarsi, per il numero straordinario di vittime che porta con sé. La “Regina che non fu” è ormai consapevole da tempo che i suoi tentativi di pacificazione sono falliti: l’aver risparmiato la famiglia reale nella sua fuga da King’s Landing è solo qualcosa che le viene costantemente rinfacciato, un errore (secondo altri, non certo per lei) che finirà per costarle la vita. Con la sua morte, finisce anche Meleys, uno dei draghi a disposizione del Team Black, uccisa dalla spaventosissima Vhaegar e dal suo cavaliere, Aemond, che assume sempre più i connotati di un villain.
Se, infatti, la corte di King’s Landing si intesterà la vittoria a Rook’s Rest, le cose non è che vadano proprio benissimo anche in quella famiglia, probabilmente a causa della terribile gestione famigliare di Alicent. Consapevole dallo scorso episodio dell’errore che ha scatenato (almeno da parte sua) la guerra all’interno dei Targaryen, sembra aver perso tutti gli stimoli per continuare la sua personale battaglia, sempre più isolata e sempre più fallimentare come madre e come regina. Senza i suoi interventi, Aegon non sarebbe mai diventato re, ma allo stesso tempo non si sarebbe lanciato in una battaglia da cui non ne uscirà allo stesso modo (sopravvive, ma come?). Con un po’ più di presenza, forse si sarebbe anche accorta e sarebbe corsa ai ripari per evitare lo scontro fratricida tra Aegon e Aemond, il cui astio si esalta nell’attacco diretto di Vhaegar contro Sunfyre e il Re, in un’azione deliberata che difficilmente potrà essere ignorata. Se a questo mettiamo in parallelo il rapporto ben diverso che c’è tra Rhaenyra e suo figlio Jace, è chiaro come si voglia mostrare che destino diverso hanno preso le due amiche d’infanzia: una, soggetta agli uomini della sua vita e incapace a tenerli a distanza, si è trasformata in una madre priva di empatia se non persino crudele; l’altra, consapevole sin da sempre delle proprie potenzialità, è percepita come più debole (da gran parte del suo consiglio), ma una madre più presente e di conseguenza una regina più attenta al benessere dei propri sottoposti. E, ciò nonostante, nessuna delle due (e lo si vede nel quinto episodio) sente di riuscire a far valere la propria voce.
La conquista di Rook’s Rest dà ai Verdi una battaglia importante, mentre Daemon è impegnato a rafforzare (forse per Rhaenyra, quasi sicuramente per sé) Harrenhal e i territori confinanti. Si delinea sempre di più la misteriosa figura di Alys River, la donna che sembra essere la causa dei deliri di Daemon all’interno del castello maledetto e spettrale. Sia questa storyline (sebbene a volte sembra essere tirata un po’ troppo per le lunghe) che quella di King’s Landing muovono la battaglia tra i due schieramenti verso una direzione più interessante: House of the Dragon è consapevole che queste storie e queste guerre civili hanno effetti su tutti i livelli, inclusi rancori famigliari mai sopiti o la povertà e disperazione della gente comune.
La capitale, infatti, è sull’orlo della disperazione e la parata della testa del drago, funzionale a deviare lo sguardo del popolo dal carro con il re ferito, non fa altro che rafforzare la sensazione di pericolo e morte per i cittadini, ora anche chiusi all’interno delle grandi mura difensive e quasi alla fame. Eppure, com’era già accaduto in Game of Thrones, le lotte fra potenti ricadono anche sulla gente comune che si ribella o fa riferimento ad altre forze che possano portare avanti le proprie istanze. Con l’ingresso della spia pronta a sobillare gli animi già tesi a King’s Landing, è pressoché certo che presto la gente comune avrà da far sentire la propria voce; è questo uno degli aspetti sempre più interessanti di questi racconti, perché analizzano le potenzialità e i punti deboli del potere. Con un nuovo reggente a corte che è decisamente più interessato alla guerra piuttosto che al governo, la situazione non potrà che evolvere ulteriormente.
Con il quinto episodio, si raggiunge poi un nuovo punto di svolta per i due schieramenti. Alicent è ormai isolata, abbandonata da quasi tutti i suoi alleati e alle prese con le ombre del suo fallimento come madre. La reggenza di Aemond non sarà per lei facile da accettare, non avendogli mai dimostrato (né a lui né agli altri figli) quell’affetto e guida che forse avrebbe potuto cambiare il corso degli eventi. Dall’altro lato Jace deve ribellarsi alla madre e prendere l’iniziativa se vuole trovare il suo spazio a corte. L’assenza di Rhaenys si sente subito e il Consiglio non è dalla parte di Rhaenyra: i suoi contrasti con Daemon sono, infatti, ormai un elemento di debolezza per la sua pretesa al trono. Ecco, quindi, che si profila una possibile nuova iniziativa per contrastare la paurosa potenza di Vhaegar: nuovi Targaryen che possano cavalcare draghi e combattere dalla parte di Rhaenyra, purché dotati di sangue di Valyria. È questa una nuova apertura verso quei personaggi che negli scorsi episodi hanno fatto capolino nella narrazione e che avranno un ruolo più importante negli episodi a venire.
House of the Dragon entra nel cuore del suo racconto e ci presenta due episodi di ritmo e intensità diversi, ma entrambi fondamentali nell’equilibrio narrativo della stagione. “The Red Dragon and the Gold” è senza dubbio l’episodio migliore che la serie abbia presentato finora, e il successivo non abbassa l’asticella sebbene non tutto fili liscissimo (alcune storyline si muovono a passo glaciale, trasmettendo un po’ la sensazione che si giri a vuoto e si perda tempo). Tutto sommato, però, la serie HBO continua a essere uno spettacolo visivo, coinvolgente ed emozionante: i tre episodi rimasti per questa stagione hanno ora il compito di dimostrare che la serie è effettivamente maturata e che ha saputo trarre i giusti insegnamenti dal passato, per evitare di crollare sotto il peso delle aspettative.
Voto 2×04: 9
Voto 2×05: 7