È noto già da un po’ che The Boys terminerà con la quinta stagione. Ecco perché questa quarta annata era particolarmente attesa: avrebbe dovuto mettere le cose in ordine, prepararle per un finale degno di una serie fuori di testa e alzare ulteriormente l’asticella delle aspettative dei fan.
Diciamolo da subito: ci sono alcune cose in questa stagione che hanno funzionato molto, mentre altre meno. Già la terza stagione, infatti, aveva prestato il fianco ad alcune critiche, soprattutto per quanto riguarda un certo piacere nello stupire (e disgustare) lo spettatore con azioni ed eventi estremi, al costo di una trama che spesso gira intorno senza una direzione molto precisa. Questa quarta stagione, in effetti, sembra riproporre lo stesso schema, anche se nel suo finale si decide a stravolgere quello che era stato lo status quo narrativo sino a questo momento.
Pur essendo una serie che fa del sovvertimento del supereroe la propria forza principale, The Boys ha sempre giocato con la critica della società americana, soprattutto per quanto riguarda il potere delle grandi corporazioni, i media e il controllo dell’immagine pubblica più in generale. Con queste ultime due stagioni, però, l’attenzione si è decisamente spostata su un altro fronte. Dalle reazioni scomposte di persone aderenti a una certa parte politica, infatti, si è ben capito che The Boys ha intrapreso con questa stagione un discorso molto più apertamente politico: non che non lo fosse anche nelle stagioni precedenti, ma la parodia degli estremisti di destra è ora completamente sfacciata. Vought fa un passo indietro, almeno rispetto alla centralità che aveva un tempo, lasciando alla politica e alla società uno spazio preponderante. Il piano di Homelander e Sage, dopotutto, era proprio quello di creare dei campi di concentramento dove internare i propri avversari (per fermarsi chissà dove), facendo del pericolo della perdita della democrazia il proprio cardine narrativo contro cui i The Boys si ritrovano a dover combattere. Non è un caso che in tutto questo si scontrino le due visioni opposte rappresentate da Firecracker – parodia di certe personalità fuori di testa che idolatrano Trump – e Starlight, la cui critica maggiore riguarda un passato aborto e che surge a simbolo di tutto ciò che c’è di antiamericano nella propaganda di destra. Kripke e gli altri autori preferiscono togliere ogni dubbio su dove si trovino politicamente e sul pericolo di una certa retorica, che viene però banalizzata al servizio di interessi molto più spaventosi dietro la superficie. È proprio qui che va il finale di stagione, con un presidente asservito agli interessi dei supereroi, la legge marziale, e un potere pressoché totale nelle mani dell’inetto Homelander.
La quarta stagione di The Boys è terminata con un episodio esplosivo che rimette in gioco tutto (o quasi) quello che la serie di Kripke ha saputo e voluto trasmettere finora, portando la conversazione su un livello totalmente diverso. La prossima annata non sarà altro che una distopia con punte di realismo decisamente inquietanti, proprio per quanto riesce a ricordarci personaggi e situazioni attuali (d’altronde, tutto questo avviene mentre nel mondo reale l’America si confronta con delle divisivissime elezioni). La conclusione è una sconfitta totale dei protagonisti, catturati o in fuga, mentre Homelander e i suoi prendono il controllo del governo americano: è un finale amarissimo, ma che ha il pregio di risollevare un’annata altrimenti poco incisiva.
La quarta stagione soffre due problemi principali: da un lato, la trama si muove troppo lentamente e dà più volte la sensazione di girarsi intorno; dall’altro, lo stesso problema riguarda i personaggi, che si ritrovano a dover affrontare storyline già viste e che poco aggiungono a quello che già sappiamo di loro. I The Boys, per esempio, sono incastrati in problemi relazionali e familiari che non aggiungono abbastanza ai loro personaggi e sembrano soltanto ostacolare uno sviluppo più ricco che avrebbe altrimenti potuto incidere davvero. Non solo, quindi, abbiamo poco di nuovo per quanto riguarda i nostri protagonisti, ma in più occasioni s’è visto come siano protetti da un bel plot armor, l’unica ragione per cui possano infilarsi in piani fallimentari e uscirne sempre vivi. Unico elemento che funziona meglio è Starlight, o meglio Annie: la sua storia personale, il suo stato mentale e le sfide che ha affrontato nella sua vita escono allo scoperto in maniera perfetta nello scontro con lo Shapeshifter, dando anche la possibilità a Erin Moriarty di far vedere qualcosina in più di quanto le è solitamente concesso.
Dall’altra parte abbiamo una serie di conferme: Homelander è sempre più patetico, ora ossessionato dal suo invecchiamento e dal lasciare una eredità al mondo – possibilmente a Ryan, che nell’ultimo frangente del finale dimostra una moralità quantomeno dubbia –, ma la cui debolezza maggiore è quella di circondarsi di sicofanti e yes-men. The Deep e A-Train finalmente scelgono una propria direzione, con il primo che abbraccia definitivamente la sua venerazione per Homelander e il secondo che tradisce Vought e tutto ciò che rappresenta. I due nuovi ingressi Firecracker e Sage sono molto interessanti: l’una è l’esagerazione (ma non poi così tanto) di certi commentatori televisivi americani che parlano tramite parole chiave e raggiungono livelli di nonsense spaventosi; l’altra è la donna più intelligente al mondo, con evidenti problemi di relazioni sociali e spinta a lobotomizzarsi per avere dei momenti in cui può fermare il flusso di pensieri e rendere la sua esistenza più tollerabile. Entrambe hanno degli aspetti che le rendono funzionali, perché ci mostrano come anche il potere possa avere sfumature e livelli molto diversi.
La stagione in sé, però, non ci ha portati molto lontani e deve ringraziare il finale se, al termine dell’annata, si ha la sensazione di essere di fronte ad una nuova direzione narrativa. Non fosse stato per questo, infatti, ci si sarebbe annoiati a tratti, se non per i molti momenti fuori di testa che la serie ci ha regalato, come discutibili attività sessuali in sauna, produzione e distribuzione di latte, delicate relazioni amorose e sessuali con una Tilda Swinton versione polpo, superpoteri dalla realizzazione discutibile (bisogna dirlo: le versioni ‘reali’ di Batman e Spiderman sono fantastiche nella loro assurdità). Ovviamente, poi, sangue e mutilazioni a non finire, un vero marchio di fabbrica di The Boys.
Per concludere, la quarta (e penultima) stagione di The Boys funziona solo in parte e si salva grazie a un ottimo finale. È proprio questo a lasciarci con le migliori aspettative per un’ultima folle stagione che dovrà concludere i molti percorsi narrativi senza dimenticarsi dei propri personaggi, troppe volte lasciate a girare su sé stessi, privi di una direzione chiara. Con un Butcher redivivo e pronto a fare strage di supes, c’è da aspettarsi solo un’ultima appassionante corsa in questa folle, folle serie.
Voto: 7