Una stimata giornalista e documentarista, amata per la sua abilità nello scovare segreti e renderli pubblici, si ritrova al centro di un libro che ne svela uno dei suoi. È questa la premessa di Disclaimer, il nuovo thriller psicologico di AppleTV+ di grande profilo.
Scritta e diretta da Alfonso Cuarón, e tratta dall’omonimo romanzo del 2015 di Renée Knight, Disclaimer è una miniserie in sette episodi (due dei quali già disponibili in streaming), guidata da Cate Blanchett, che ritorna come protagonista di una serie TV dopo il bel Mrs. America del 2020. Il suo ruolo, qui, è molto diverso: interpreta infatti Catherine Ravenscroft, una documentarista che deve fare i conti con un insegnante in pensione, Stephen Brigstocke (Kevin Kline), intenzionato a metterla di fronte a qualcosa accaduto vent’anni prima e che potrebbe distruggerle completamente la vita. Accanto a Catherine c’è Robert (Sacha Baron Cohen), adorante e ingenuo marito, e Nicholas (Kodi Smit-McPhee), loro figlio, un venticinquenne che non ha ancora capito cosa fare della propria vita.
La narrazione in questi primi due episodi si svolge su due (o tre) linee temporali: si inizia con il passato, durante il viaggio in cui Jonathan Brigstocke incontra una giovane Catherine, in vacanza in Italia temporaneamente senza il marito ma con un Nick di soli quattro anni; si continua con il presente, in cui si vede l’arrivo del libro The Perfect Stranger, in cui i genitori di Jonathan descrivono (sotto false identità) quanto accaduto al figlio e di conseguenza le azioni di Catherine in quel frangente, descritta come la diretta o indiretta responsabile. Se il primo episodio sembra solo suggerire il tipo di rapporto che si sviluppa tra i due personaggi nel passato, sarà il secondo a rendere un po’ più chiara la situazione. Ma la forza della serie è tutta qua: la scrittura tiene volutamente per sé molte informazioni, ci nega un quadro chiaro degli eventi. Se, infatti, le accuse del presente sono solitamente corroborate dai flashback che ne confermano la veridicità, in Disclaimer non vediamo quasi nulla (per ora) di quello che sconvolge così tanto i protagonisti nel presente. Le accuse contro Catherine sono ancora molto campate in aria per lo spettatore perché i flashback non ci mostrano nulla di tutto questo; siamo prima che la tragedia arrivi e Catherine ci appare decisamente più innocente.
Questa scelta narrativa fa sì che si sviluppi un parallelo tra quanto accade a Catherine – l’inizio di una sorta di ricatto emotivo, in cui viene posta di fronte alle sue azioni del passato che, pare, potrebbe distruggere la sua vita perfetta e alto-borghese – e la protagonista del libro diegetico, una stronza che si merita quanto le accade. Ecco, quindi, che il desiderio di punizione si trasferisce su Catherine, la quale diventa (o dovrebbe diventare) la villain ai nostri occhi.
C’è un solo problema: si avverte costantemente la sensazione che ci sia molto più da raccontare. In altre parole, noi spettatori non sappiamo ancora come siano andate le cose, ci stiamo solamente fidando del punto di vista di Stephen Brigstocke (e della deceduta moglie), che vuole vendicare la memoria del figlio Jonathan morto tempo prima. Eppure, è difficile ignorare il fatto che non solo nei flashback non vediamo nulla che possa effettivamente farci pensare a Catherine quale villain (se non per un probabile tradimento del marito), ma soprattutto è quasi frustrante l’incapacità o la non disponibilità della donna a darci il suo punto di vista. Questo vale soprattutto per una scelta di scrittura, ovvero avvilire la nostra ricerca di saperne di più per poter creare più dramma. Dovremo chiaramente attendere; probabile, insomma, che quando parlerà la nostra percezione potrebbe cambiare – ma per adesso non si può che empatizzare più con Robert e Stephen che con lei.
A tal proposito, va segnalato la potente scena conclusiva del secondo episodio, che mette davvero in mostra la bravura di Blanchett e Baron Cohen, nonostante la prima abbia ancora molto poco con cui lavorare. Meglio il secondo, e ancor meglio Kevin Kline, che mantiene parte della sua verve comica e la inserisce nel sadico desiderio di vendetta del suo personaggio.
Visivamente lo show è decisamente piacevole da guardare, ma manca di una forte personalità e ricorda da vicino quel genere di serie alla Big Little Lies: ricche donne in case stupende alle prese con delitti sconvolgenti con capelli perfetti. La mano di Cuarón, sebbene si permetta in qualche momento un guizzo visivo creativo, è tutto sommato contenuta e non si distingue ancora per particolare creatività. Stando a questi primi due episodi, non sembra che l’autore messicano sia interamente a proprio agio con la materia di cui sta scrivendo e che dirige; ma è certo troppo presto per parlarne.
Per il momento Disclaimer si presenta con due episodi intriganti, che ci portano nel mondo di Catherine senza permetterci però di capire chi sia la nostra protagonista. Inserendosi nel filone di certe serie di prestigio che vanno ora per la maggiore, la serie di Cuarón incuriosisce a sufficienza da spingere a continuarne la visione (d’altronde la miniserie ha solo sette episodi). Bisognerà capire quanto a lungo la scrittura ci terrà lontano dall’interiorità della protagonista e dalla verità della storia, che ci è per ora sottratta ma che potrebbe (anzi, ci riuscirà sicuramente) cambiare le carte in tavola e raccontarci qualcosa di profondamente diverso da quanto suggerito sinora.
Voto 1×01: 7
Voto 1×02: 7
Ho visto sia il terzo che il quarto episodio. La classica occasione mancata visti gli attori in gioco. Narrazione scontata, prevedibile e soprattutto con delle evidenti forzature. Si sa già tutto ancora prima di iniziare la quarta puntata. L’ovvietà della relazione col ragazzo ricorda i filmetti osè anni 70. La voce narrante è tanto fastidiosa quanto ridondante. Si salva il primo episodio; il resto è una ripetizione all’infinito di ciò che già ci hanno raccontato.