L’epopea familiare che ha segnato la letteratura del Novecento affascinando i lettori di tutto il mondo con il suo realismo magico trova finalmente casa nel mondo audiovisivo grazie a Netflix: sbarca, infatti, sulla piattaforma di streaming Cien años de soledad, serie tv composta da 16 episodi di cui i primi otto usciti l’11 dicembre 2024, mentre i successivi si ipotizza arriveranno nell’estate del 2025.
L’opera di Gabriel García Márquez non era mai stata adattata sul grande schermo in quanto l’autore si era sempre rifiutato di cederne i diritti, credendo non fosse possibile racchiudere la complessità delle vicende che caratterizzano la famiglia Buendía in un unico film. Cinque anni dopo la morte dell’autore – e con il consenso della famiglia – Netflix ne acquisisce i diritti e insieme alla casa di produzione colombiana Dynamo dà inizio ad una delle produzioni più impotenti del Sud America. Nel rispetto dell’opera, la serie tv è stata girata interamente in Colombia in varie città del paese e ha visto, oltre al cast principale, la presenza di più di 20.000 comparse e di ben quattro diverse versioni di Macondo, la città d’invenzione dove è ambientata la storia; ognuna delle versioni è costruita per rendere al meglio lo scorrere del tempo.
Ogni aspetto della produzione – dalla scenografia, sceneggiatura e regia- fa trasparire l’estremo amore che si ha nei confronti di questo romanzo e il desiderio di renderne giustizia dando nuova vita alla storia dei Buendía, le cui peripezie hanno influenzato intere generazioni e potranno continuare a farlo in questa nuova veste.
La serie incomincia con una sequenza iniziale dove, nell’inquietanti rovine di quella che lo spettatore imparerà a conoscere come la residenza Buendía, un giovane uomo si trova davanti ad un libro scritto in un’antica lingua che recita uno degli incipit più potenti della storia della letteratura mondiale: “Muchos años después, frente al pelotón de fusilamiento, el coronel Aureliano Buendía había de recordar aquella tarde remota en que su padre lo llevó a conocer el hielo.”
Ha così inizio la storia della famiglia Buendía nata dall’amore fra José Arcadio Buendía e Ursula Iguarán, sposi e cugini di primo grado. A seguito dell’uccisione da parte di José Arcadio di Prudencio, un suo concittadino che lo prendeva in giro per questioni di naturale sessuale, la coppia, insieme ad un gruppo di amici, lascia la propria città natale con l’obiettivo di raggiungere il mare. Il loro viaggio durerà 14 mesi e li porterà a perdersi per le paludi e la selva colombiana fino a quando José Arcadio non sognerà una città fatta di ghiaccio e sentirà la parola Macondo: decideranno di fermarsi lungo il fiume e dare vita alla città di Macondo, cuore pulsante della storia e teatro di tutte le principali vicende che riguarderanno la famiglia Buendía.
José Arcadio e Ursula, fondatori della famiglia Buendía e della città di Macondo, sono due persone apparentemente opposte: José Arcadio è un uomo intelligente e curioso, proiettato al futuro mentre Ursula è una donna più concreta, molto legata alle tradizioni -e superstizioni- popolari e alla famiglia. Nonostante le loro differenze i due rappresentano i pilastri imprescindibili della città e della loro famiglia.
Grazie al suo rapporto con Melquíades, gitano che spesso visitò la città di Macondo portando con sé invenzioni e conoscenze scientifiche del vecchio mondo, José Arcadio scoprirà l’astronomia, l’alchimia e le scienze che insegnerà ai propri figli e nipoti e poi sfrutterà per far crescere Macondo. La sua infinita curiosità e forza sono una manifestazione dell’ottimismo e dello sviluppo sociale ed economico che il mondo attraverserà a fine Ottocento; non a caso, nel momento in cui José Arcadio inizierà a perdere il senno, si chiuderà la fase di crescita di Macondo, dando inizio ad un periodo oscuro segnato da repressioni e guerre civili.
Nella fase di declino della città e della famiglia, caratterizzata da una sequenza di tragedie, emerge sempre più la potenza di Ursula come centro di stabilità: in un mondo che sta cambiando velocemente, e non in positivo, Ursula è lì a rappresentare la bussola morale di Macondo, il punto fermo che cercherà di riportare la ragione laddove sembra sparire a favore della violenza cieca. Sfiderà governi conservatori, suo nipote Arcadio a cui il potere darà alla testa, e plotoni di esecuzione. Quando tutto intorno a lei starà crollando e quando anche suo marito cederà allo scorrere del tempo -in una scena ricca di simbolismo-, Ursula non sprofonderà nel dolore ma con estrema determinazione continuerà a vivere e ad assicurarsi che la propria eredità e quella di suo marito non vadano perse.
Con l’uscita di scena di José Arcadio e con la morte di Remedios, diventa più preponderante la figura di Aureliano, secondogenito dei Buendía, che attraverserà una trasformazione sorprendente nella seconda metà della stagione: da uomo mite, abituato a trascorrere le proprie giornate chiuso nel laboratorio del padre a lavorare l’argento, al Colonello Aureliano Buendía che guiderà un gruppo di rivoluzionari liberali per riportare la libertà nella loro città e in tutta la Colombia.
Aureliano sembra rappresentare la sintesi perfetta dei propri genitori, a differenza dei fratelli: racchiude in sé l’intelligenza e curiosità del padre, che lo porteranno ad imporsi come una figura di spicco nell’esercito liberale, e l’attaccamento della madre per la propria terra e famiglia, che porterà con sé ovunque, combattendo, infatti, per ristabilire la pace e la tranquillità nella casa costruita dai suoi genitori. Ma, come sembra accadere ad ogni Buendía, il suo destino prende una piega opposta a quello che ci si potrebbe aspettare e anche Aureliano diventa vittima della propria arroganza; il colonnello si convincerà che l’unico modo per riportare la pace e il rispetto verso il popolo sia continuare a combattere, distruggendo chiunque si opponga. Rinuncerà a firmare il documento che avrebbe sancito il cessate il fuoco contro l’esercito conservatore e, davanti ai discorsi di buon senso del nuovo sindaco militare di Macondo e della sua stessa madre, non lascerà le armi e riporterà la guerra a Macondo, chiudendo così la prima parte di questa storia, con le parole di Ursula sulla tomba di suo marito: “No nos libramos de nada, José Arcadio Buendía. Terminamos creando un monstruo”.
Cien años de soledad si attiene quasi in maniera reverenziale al materiale originale, spesso sfruttando interi periodi provenienti dal romanzo e utilizzando gli stessi espedienti narrativi di Márquez, come ad esempio la prolessi: l’uso di flashforward per anticipare fatti che avverranno in futuro. L’uso di questa figura retorica avviene nella serie attraverso un narratore esterno che subentra spesso nella narrazione per anticipare eventi o raccontare fatti che non verranno mostrati direttamente, dando così spazio ad eventi di maggiore rilevanza. Se per certi versi il rispetto del materiale originale può apparire a tratti quasi troppo ossequioso in realtà è una necessità, dato il crescere della complessità sia della storia sia dei singoli personaggi, che acquisiscono spessore man mano che la trama progredisce; oltre a rappresentare un atto di amore sia per l’opera sia per i fan della stessa. Inoltre, una sceneggiatura che fa leva sulle parole di Márquez non solo permette ad un nuovo pubblico di avvicinarsi alla potenza della sua scrittura ma dà anche la possibilità di spingere maggiormente da un punto di vista visivo.
Fluide transizioni scandiscono il passare del tempo, mostrando la crescita dei vari personaggi e il passaggio nelle diverse fasi dell’età – infanzia, adolescenza ed età adulta- dei primi eredi di José Arcadio e Ursula Buendía. La fotografia poco satura utilizzata permette alla serie di mantenere un forte realismo, in contrasto con l’immaginario collettivo che associa il Sud America a colori vibranti. Ma se da un lato questo estremo realismo visivo permette di accentuare la principale caratteristica dell’opera di Márquez – il realismo magico -, dall’altro spegne la vivacità di Macondo attenuando troppo la vitalità che caratterizza il paese, soprattutto nei suoi primi anni di vita. Come anticipato, la bellezza di Cien años de Soledad, e ciò che eleva qualitativamente la serie, sta proprio nella tecnica con cui hanno portato sul piccolo schermo il realismo magico narrato da Márquez nel suo capolavoro.
Il sogno e la realtà, il magico e il vero si mischiano con naturalezza rendendoli parte integrante della vita dei personaggi e del paese. Aureliano che levita ubriaco, perso nel primo amore, non desta ansie nei suoi compagni, se non dandogli un indizio dello stato d’animo dell’amico. I terremoti che scuotono Casa Buendía quando Rebeca si dà piacere – dando vita alle parole che José Arcadio usò da ragazzo per decrivere ad Aureliano come fosse fare l’amore (“¿Qué se siente?” “Es como un temblor de tierra”) – vengono visti come un simbolo dell’instabilità emotiva della ragazza e del rischio che tenerla ancora in casa avrebbe portato alla famiglia. Il magico diventa un silenzioso aiutante che guida la vita degli abitanti di Macondo e porta sul piano del reale, del concreto, i sentimenti più reconditi dei protagonisti donandogli una potenza espressiva che altrimenti non sarebbe stato possibile ricreare, né con parole né con gesti.
Particolarmente potenti, in questa prima parte di stagione, sono stati due episodi di realismo magico: il rivolo di sangue che scorre per le strade di Macondo, collegando la vecchia casa di Arcadio alla casa dei Buendía, allertando così Ursula della morte del suo figlio maggiore, e l’uso del sogno per segnare l’arrivo del primo ciclo mestruale di Remedios e l’inizio di una nuova fase della sua vita.
La bellezza del realismo magico e ciò che permette che questo genere funzioni, sia nella letteratura sia nella serie tv, è strettamente correlato al luogo in cui viene applicato. La cultura sudamericana, e in questo caso colombiana, è composta da una ricca mitologia che da sempre crea un legame fra il reale e il magico, fra il mondo dei vivi e dei morti, facendo sì che l’esistenza di una città dove il magico si manifesta non appartiene al mondo fantasy ma diventa un’esaltazione della vera essenza colombiana.
Un esempio simile, anche se di potenza inferiore sia dal punto di vista visivo sia narrativo, lo vediamo nella nuova serie Disney+ Uonderbois, ambientata nella città di Napoli. In nessun’altra città italiana sarebbe stato possibile mettere in scena una storia che unisce i classici film fantastici per ragazzi e un’ambientazione moderna, in quanto Napoli, per sua natura, è una città magica. I suoi sotterranei, le sue chiese e le sue mura raccontano di storie fra il reale e l’immaginario: di spiriti che infestano case e di anime che fanno da tramite fra il mondo dei vivi e dei morti. Anche in Uonderbois gli eventi sovrannaturali che colpiscono i vari personaggi non vengono messi in discussione né spaventano ma, anzi, rafforzano l’idea che la città sia un’entità vivente; allo stesso modo in Cien años de soledad Ursula ammirerà quasi commossa la pioggia di fiori gialli che invaderà Macondo la notte della morte del marito e la accoglierà come un segno del destino.
Il leitmotiv di Cien años de soledad, la solitudine, permea l’intera storia e fa sentire fin da subito la propria presenza, ad esempio quando José Arcadio conosce Melquíades e abbandona la sua famiglia e i suoi doveri per studiare le scienze, lasciando Ursula sola nella gestione della casa.
Ogni personaggio cercherà di trovare il proprio posto nel mondo e nella famiglia, scontrandosi irrimediabilmente con le vicissitudini della vita e con il fatto che, nonostante le numerose persone che si possano incontrare lungo il proprio cammino, alla fine si è sempre soli (“Todos, absolutamente todos, estamos solos en este mundo”): Ursula si sentirà abbandonata dal marito, prima per inseguire la conoscenza e poi a causa della sua pazzia, José Arcadio si sentirà sempre incompreso dalla propria moglie, Aureliano sarà solo nella propria crociata per un ideale che ha ormai perso senso anche per lui, Arcadio combatterà per sentirsi accettato dalla propria famiglia, ecc. Ognuno dei membri della famiglia Buendía cercherà di uscire dalla propria condizione per poi sprofondarci con ancor più forza, dipingendo uno scenario di ineluttabile solitudine che sicuramente si andrà raffonzando nello scorrere delle generazioni che saranno mostrate nella seconda parte.
Cien años de soledad è un’opera monumentale della quale si potrebbero analizzare i simbolismi e la psiche di ogni membro della famiglia Buendía per giorni. Traspare in ogni scena la dedizione con cui ogni elemento, dalla scenografia alle musiche fino alla regia e alla fotografia, sono state curate per rendere questa serie il più fedele possibile al romanzo, creando un’opera che porti sullo schermo la saga della famiglia Buendía esaltando i virtuosismi della scrittura di Márquez con una regia impeccabile e con un uso del simbolismo e delle immagini eccezionale; è questo un adattamento che rispetta a pieno le volontà dell’opera originale e la celebra sfruttando le potenzialità del nuovo mezzo. Si tratta di una produzione che, forse, rispetto a tante altre molto più pubblicizzate dalla piattaforma potrà passare in sordina ma che denota come Netflix abbia ancora la capacità di occuparsi di progetti ambiziosi e di qualità che lasciano il segno.
Non si tratta di una storia avvincente, anzi, i tempi della narrazione sono lenti e riflessivi, donando ad ogni personaggio ed evento il giusto spazio per essere assimilato dello spettatore; nonostante ciò si attenderà con trepidazione l’arrivo della seconda parte che porterà a conclusione questo viaggio nella storia della famiglia più travagliata del Novecento.
Voto: 9 ½
Sul filo di lana ecco la serie più bella (secondo me) del 2024, anno decisamente avaro di cose seriali degne di nota (sempre secondo me). Non ho molto altro da dire, semplicemente ¡me ha encantado!