La nuova miniserie drammatica Dostoevskij sigla il debutto televisivo alla regia dei fratelli D’Innocenzo, che firmano anche sceneggiatura e produzione dello show. La narrazione è incentrata sul protagonista, Enzo Vitello, un detective dal passato buio alle prese con l’indagine su un serial killer conosciuto come “Dostoevskij”, per via delle lettere con cui firma i suoi omicidi. Un prodotto dalle premesse noir che ben presto si concretizza in thriller psicologico, dalle note decisamente amare.
Disponibile dal 27 novembre in esclusiva su Sky Atlantic e in streaming su Now, la serie – prodotta da Paco Cinematografica e Sky Studios – è stata presentata in anteprima a febbraio al Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Successivamente è stata rilasciata in versione cinematografica, suddivisa in due atti.
Come già accennato la trama dello show ruota attorno al personaggio di Enzo Vitello, un poliziotto coinvolto nell’indagine relativa al pluri-omicida chiamato “Dostoevskij”; il protagonista è particolarmente incuriosito dal caso per via della peculiarità dell’assassino, che lascia lettere sulle scene dei suoi delitti. Il contenuto di questi scritti intriga Vitello al punto da trasformare la sua curiosità in ossessione e in particolare le riflessioni del criminale – che partono dagli ultimi istanti della vita delle vittime e convogliano in una visione del mondo desolante e tragica – lo spingono ad approfondire le indagini in solitaria.
Vitello cerca Dostoevskij in modo disperato, come se la voglia di trovarlo rappresentasse lo scopo stesso della sua vita; ben presto arriva a un livello di ossessione tale da precipitare in un vero tormento interiore e in una crescente identificazione con l’antagonista. Vediamo così raffigurato un intreccio bene-male i cui contorni diventano sempre più labili, fino a sparire: poliziotto e killer iniziano infatti uno scambio epistolare attraverso il quale creano una sorta di legame intimo. Il detective arriva così a votarsi anima e corpo alla ricerca del killer, ma individuarlo non è un’impresa da poco visto che non ci sono collegamenti tra le vittime e nemmeno tra i possibili moventi; infatti, solo le lettere fanno da fil rouge negli omicidi di Dostoevskij.
Ma non è solo la ricerca dell’assassino a perseguitare Vitello: motivazioni ben più profonde concorrono al suo stato d’animo cupo e tormentato. Il protagonista è afflitto da un dramma interiore per via del rapporto travagliato con la figlia Ambra: tra la sregolatezza e la tossicodipendenza di lei, e il peso che il poliziotto porta per averla abbandonata anni prima, restaurare la relazione o almeno un dialogo risulta decisamente difficoltoso.
I motivi di questo sofferto abbandono sono spiegati attraverso un dialogo spiazzante e diretto proprio con la figlia. Sicuramente questa è la scena con maggiore carica emotiva dello show e tratta uno dei temi più difficili e delicati, quello della pedofilia. Il confronto padre-figlia è violento in tutti i sensi in questo passaggio, e travolge per la forza e la drammaticità con cui viene portato in scena; infatti la visione di questo scambio – così intriso di significato – non è affatto semplice. La relazione tra i due personaggi è centrale ed è stata raffigurata con efficacia da Filippo Timi e Carlotta Gamba, che hanno restituito perfettamente la profondità del loro legame. Le interpretazioni sono dense di rabbia e rancore, ma anche di delusione da parte di una figlia abbandonata e di un padre costretto a separarsi da lei per tutelarla dalla minaccia che lui stesso rappresenta.
Il tema della famiglia e l’assenza delle figure genitoriali sono parallelamente portati in scena anche attraverso la vicenda degli orfanotrofi, elemento che si lega al più ampio quadro di critica alla società e alle istituzioni. La polizia in primis viene mostrata come fallimentare, incapace di proteggere la comunità e composta da individui impotenti, a loro volta intrappolati in un sistema incapace di dare le giuste risposte.
Tornando sul protagonista, si nota dunque come attraverso di lui la narrazione si sviluppa su due livelli: da una parte abbiamo il lato crime e dall’altro il dramma psicologico. Quest’ultimo – in prevalenza legato alle vicende personali di Vitello – emerge sempre di più nel corso delle puntate, andando a sviscerare l’anima umana in profondità. La critica alla società e all’essere umano e le meditazioni sulla morte elaborate dal killer nelle sue lettere sono supportate da un’estetica cupa e violenta, che ben si accosta alle tematiche portate in scena.
Tra gli elementi distintivi dello show c’è infatti quello visivo, che si caratterizza per una forte attenzione ai dettagli e un carattere denso di desolazione e devastazione. Elementi cupi dominano le scene creando quell’atmosfera tipica del genere crime, e contrasti di luci e ombre riflettono le contraddizioni dei personaggi e supportano una rappresentazione fedele della realtà.
I protagonisti vengono raffigurati nella loro quotidianità senza filtri, in uno squallore fatto di rumori, odori e sensazioni che si riescono a percepire. Numerosi passaggi sono caratterizzati da scenari desolati e rurali, accostati a lunghi silenzi o suoni ambientali che trasmettono un senso di alienazione costante. L’estetica evolve con lo show, e negli ultimi episodi si fa anche portatrice di una nuova dimensione cruenta. In particolare le scene finali sono molto crude e al limite dello splatter, ma necessarie nelle fasi di incontro-scontro tra Enzo e Dostoevskij, in cui il poliziotto trova finalmente l’assassina e anziché consegnarla ne assume l’identità, annullando il già flebile confine tra bene e male.
Un poliziotto tormentato, un’assassina spietata e un mix di verità inquietanti si incastrano così nelle sei puntate che compongono lo show. Un prodotto diverso da quelli a cui siamo abituati e un unicum nel panorama seriale italiano, per molti motivi. Per la violenza della narrazione, per le ambientazioni cupe e spoglie, ma anche la rappresentazione dei personaggi che sono dannati, sbagliati e imperfetti. Proprio loro – come tasselli di un puzzle – formano infine un quadro chiaro, che si compone davanti agli occhi del pubblico. Il realismo crudo fa da cornice e da padrone in Dostoevskij, che si inquadra come prodotto di nicchia, non destinato a un pubblico di massa proprio per via degli elementi che lo caratterizzano così fortemente.
In generale il ritmo della narrazione risulta lento, di una lentezza spesso votata alla riflessione ma a tratti in modo così sproporzionato da rendere faticosa la visione. Questo avviene soprattutto nei primi episodi, per poi passare in alcuni momenti a ritmi più frenetici, soprattutto nelle puntate finali. Lo show nel complesso è totalmente diverso dai classici crime italiani, che hanno spesso un tocco comedy o romantico, e nemmeno si avvicinano al carattere crudo dei D’Innocenzo. Dostoevskij offre invece una rappresentazione autentica che non lascia indifferenti ma che, d’altra parte, può risultare eccessiva per un’ampia parte di pubblico.
Voto: 7