Dal 23 marzo 1919 al 3 gennaio 1925: questo è il “tempo che viene” che ci racconta M. – Il Figlio del Secolo, serie basata sull’omonimo romanzo di Antonio Scurati del 2018, prodotta tra gli altri anche da Paolo Sorrentino e Pablo Larraín. Dalla fondazione dei Fasci Italiani di combattimento fino al celeberrimo discorso di Mussolini in Parlamento dopo l’omicidio Matteotti: Stefano Bises e Davide Serino (con la partecipazione di Scurati) hanno tentato di mettere in immagini uno dei romanzi più interessanti degli ultimi anni, con risultati degni di nota.
Partiamo da un dato di fatto: adattare visivamente il romanzo di Scurati era una bella sfida già in partenza: non tanto per il tema trattato (che comunque è complicato, ma poi ci arriviamo) quanto per la struttura particolare che Scurati ha dato al suo racconto, in modo particolare al primo libro della serie su Mussolini.
Proprio il primo romanzo, infatti, è una visione molto particolare sul personaggio di M., con la Storia e gli altri personaggi che gli gravitano attorno, ma sempre con un punto di vista personale del protagonista dell’epoca fascista. Infatti nel romanzo (specialmente nell’incipit e nell’explicit) Mussolini parla direttamente al lettore, in prima persona, senza il filtro del narratore: questa trovata, che avvicina in modo importante il personaggio a chi legge, è stata ripresa in modo interessante dal prodotto di Sky, aiutato senza ombra di dubbio dalla regia di Joe Wright.
Il regista inglese decide di abbattere la quarta parete come in parte faceva il romanzo, facendo in modo che M. parli direttamente con noi, con la nostra testa e con la nostra pancia. Come ha scritto la nostra Francesca Gennuso nella sua recensione ai primi due episodi della serie, questo metodo è sia attraente che respingente: più il personaggio di Mussolini si avvicina a noi, più si allontana. Perché se è vero che Luca Marinelli (anche della sua interpretazione parliamo tra poco) da una parte fa quasi una caricatura del fondatore del Fascismo (le sue movenze, le sue espressioni, le sue azioni, sono quelle che più o meno tutti abbiamo nella testa come luogo comune), dall’altra ci sono dei momenti in cui Mussolini incute timore, finanche paura in chi lo ascolta guardandolo negli occhi. Secondo noi questo dualismo che si crea usando lo stratagemma di abbattere lo schermo ha funzionato: non siamo più divisi dalla storia, ma condividiamo la Storia. E non sono scritte con la “s” minuscola e maiuscola per caso. Questa serie vuole farci vedere com’è stato il Fascismo immergendoci dentro di esso: ridicolo da una parte, violento e potente dall’altra.
Quindi: come si parla del Fascismo oggi, evitando il solito stile documentaristico e sovente piatto dell’elenco dei fatti storici che tutti dovremmo conoscere? Con uno stile che più si avvicini alle avanguardie dell’epoca, o almeno provandoci: Joe Wright ha intriso la serie di spezzoni visivi futuristi che raramente si sono visti per un prodotto così pop. I flash in bianco e nero, un montaggio rutilante, l’uso dei colori e del negativo in situazioni stranianti hanno di certo rubato il nostro occhio: M – Il Figlio del Secolo non è soltanto un calderone di fatti avvenuti in quegli anni, ma ci restituisce la varia umanità che sta dietro quei fatti, i perché e i percome si sia arrivati ad azioni che oggi fatichiamo a comprendere.
Soprattutto crediamo sia molto complicato parlare di un periodo storico così estremo politicamente senza cadere nella retorica, sia da una parte che dell’altra dello schieramento parlamentare: questa serie ha calcato la mano sui personaggi, è vero, con alcuni esagerando nelle loro caratterizzazioni per eccesso (uno su tutti, Re Vittorio Emanuele III) e con altri addirittura per difetto, come per Giacomo Matteotti, reso triste e di aspetto e consuetudini quasi monacali.
Arriviamo alla performance di Luca Marinelli, reso totalmente irriconoscibile dall’ottimo trucco (un reparto che ha fatto un lavoro egregio su tutti). Come dicevamo, la sua performance è chiaramente sopra le righe, rendendo in più di un’occasione Benito Mussolini la macchietta di se stesso. Ma questi spezzoni, che sono presenti soprattutto all’inizio, sono ottimamente mitigati quando M. diventa il dittatore che sarà oltre questa storia, quello che nascerà proprio dal finale di questa serie, dopo quel discorso storico tenuto in Parlamento in riferimento al delitto Matteotti. Man mano che la serie procede, e con essa procede quel tempo che viene che proprio Mussolini annusa e capisce in anticipo come le bestie, il personaggio si fa sempre meno caricatura e sempre più umano, con tutte le sfaccettature che quest’ultimo aggettivo comporta. Più la rivoluzione da lui voluta entra nel vivo, più Mussolini diviene quello che conosciamo; più le responsabilità e lo stress aumentano, più la serie e la recitazione di Marinelli si fanno sinistre, oscure, nere.
Questo ragionamento di scrittura sia del personaggio che dell’evolversi della storia ci portano a un’ultima puntata meravigliosa, forse la migliore insieme alla prima di questa serie.
Mussolini non lascia perdere l’olio di ricino e il manganello, non accantona la prepotenza e la violenza insiti nel suo movimento politico (“Il Fascismo è violenza”, come ci ricorda proprio nell’ultimo episodio), ma dal “superuomo” che abbiamo imparato a conoscere nelle prime puntate qui M. diventa semplicemente un uomo con le spalle al muro che si aggrappa di riflesso all’istinto più umano che ci sia: quello della sopravvivenza. Nega persino a se stesso la responsabilità gravissima del delitto Matteotti e fa ricadere la colpa su quello che è stato la sua spalla destra per tutta la vita. Ed ecco quindi che questa serie mescola l’arroganza, la verve oratoria, l’adrenalina, il carisma con l’inettitudine, l’ignoranza, la vigliaccheria ma soprattutto la paura. È la paura il sentimento su cui è nato il Fascismo ed è la paura che lo fa evolvere in qualcosa di mostruoso come un regime dittatoriale dopo che nessuno ha mosso un dito quando Mussolini si è autoincolpato per il caso Matteotti.
Ed è proprio questo, come dicevamo, probabilmente il punto più alto dell’intera serie: le ultime due puntate sono un crescendo di tensione e di rigetto verso quello che hanno fatto i Fascisti ma anche verso chi ha avuto la possibilità di interrompere quello scempio e ha deciso di non fare niente. M – Il Figlio del Secolo racconta sì dell’ascesa del Fascismo e di conseguenza di Benito Mussolini, ma anche la storia di come una classe politica intera glielo abbia permesso, con le dovute eccezioni (che, come ben sappiamo, hanno pagato con la vita il loro rifiuto all’inettitudine).
Nel susseguirsi delle puntate Mussolini ci parla sempre meno e proprio l’ultimo episodio è l’unico in cui, benché ormai meditabondo e solo con se stesso, non ci parla mai. O, per meglio dire, non ci parla più. Perché probabilmente non ha più bisogno di “farsi piacere da tutti”, come spesso gli ricorda l’altro grande personaggio della serie, Margherita Sarfatti (interpretata da una splendida Barbara Chichiarelli): ora ha solo bisogno di guardare negli occhi quelle facce che si susseguono tutte diverse ma tutte uguali nello stupendo finale e sapere già che non diranno nulla.
M – Il Figlio del Secolo è quindi una serie TV riuscita, con qualche piccolo difetto o esagerazione nella caratterizzazione dei personaggi ma altamente coinvolgente su tutto il resto: la regia, la fotografia, il modo con cui si è scelto di raccontare la Storia. Forse qui sta l’unico vero neo che possiamo imputare alla sceneggiatura: se è vero che durante il discorso finale di Mussolini in Parlamento manca tutta l’ala dei Socialisti (si possono infatti vedere gli scranni vuoti), è anche vero che nelle puntate precedenti non c’è mai un accenno concreto alla Secessione dell’Aventino del 1924, che portò di fatto all’assenza dei Socialisti nei mesi a venire, fino appunto alla fatidica data del 3 gennaio 1925.
Tirando le somme, la serie diretta da Joe Wright è assolutamente promossa e, anche in mezzo a tante sperimentazioni, riesce a tenere fede al metodo di racconto del romanzo. “Mi sono giustificato dinanzi alla storia ma devo ammetterlo: è struggente la cecità della vita riguardo a se stessa. Alla fine si torna all’inizio”, dice Mussolini nel finale del libro di Scurati. La circolarità degli eventi uguale e contraria a se stessa. Comincia tutto nel chiasso di un’osteria e finisce come non poteva che finire una storia che sta per farne nascere una ancora più nera: nel silenzio più assordante.
Voto: 8½
Bellissima serie, una perla nella serialitá italiana.
Dispiace solo una cosa: per piaggeria o per connivenza non le é stato dato il giusto risalto sui media, Scurati ormai é … oscurato su tutte le TV… Peccato davvero
E adesso spero in meritatissimi riconoscimenti internazionali! Marinelli sublime (e non da ora), produzione pazzesca (Cinecittà docet, anzi ducet), prodotto perfetto e coraggioso, visto come stanno andando le cose qui e nel resto del mondo. Ringrazio pubblicamente Sky per l’enorme contributo all’evoluzione della serialità italiana, anche con progetti a volte discutibili (Dostoevskij non mi è piaciuta per niente).