L’arrivo su Disney+ delle prime tre puntate della seconda (e ultima) stagione di Andor segna anche il ritorno della serie che ha messo più d’accordo fan e critica nell’epoca Disney di Star Wars. In pochi, all’epoca del suo annuncio, avrebbero immaginato che un racconto prequel incentrato su un personaggio secondario di Rogue One sarebbe diventato il cavallo di battaglia della Lucasfilm, ma a quasi tre anni di distanza dall’uscita della prima stagione, sembra che molto del futuro dello studio dipenda dal successo o meno di Andor.
Visto l’enorme sforzo sul fronte del marketing, e soprattutto considerato che a buona parte della critica è già stato permesso di vedere l’intera stagione – con recensioni davvero ottime -, è chiaro che Lucasfilm abbia piena fiducia nella serie di Tony Gilroy. Non è difficile quindi immaginarsi che l’obiettivo sia quello di puntare direttamente agli Emmy, un risultato che riporterebbe sicuramente blasone a un marchio, quello di Star Wars, che ha attraversato un periodo di alti e molti bassi dopo l’uscita de L’Ascesa di Skywalker.
Così com’era successo con la prima stagione, anche quest’anno ci viene presentata una tripla premiere, con la differenza che questo stesso schema verrà usato anche per i restanti episodi, rendendo sicuramente contenti tutti quelli che – in alcuni casi, giustamente – hanno trovato alcuni dei finali un po’ troppo bruschi. È una pecca che torna anche con il primo e secondo episodio, ma che ovviamente pesa meno data la possibilità di andare subito avanti con il racconto e vedere l’arco narrativo nella sua interezza.
La tripla premiere, scritta da Tony Gilroy e diretta da Ariel Kleiman, mantiene tutti gli elementi che hanno reso così speciale la prima stagione di Andor: grandi interpretazioni, set curati nel minimo dettaglio, ottima regia, e una scrittura che rende la serie davvero unica nel panorama di Star Wars. Nonostante tutti questi elementi, però, arrivati alla fine del terzo episodio “Harvest”, la sensazione è che non tutto funzioni alla perfezione, soprattutto facendo un confronto con la premiere della prima stagione – che aveva colto molti di sorpresa per il suo essere così poco starwarsiana – dove il crescendo di eventi e l’intreccio delle varie linee narrative che portavano alla fuga di Cassian da Ferrix funzionavano molto meglio.
Restando in tema Cassian Andor, è forse proprio la gestione della sua storyline a funzionare meno. I primi dieci minuti di “One Year Later” sono indubbiamente ottimi, e ci permettono di vedere un Andor più maturo e sicuro di sé, in grado di tranquillizzare una nuova recluta della ribellione in un momento delicato, pronunciando una delle frasi più significative e d’impatto della premiere (“You are coming home to yourself”). È una scena che unisce tutto quello che ha reso grande la prima stagione di Andor, e che ci porta dritti in un adrenalinico inseguimento su un nuovo prototipo di TIE Fighter (nello specifico, il TIE Avenger). È quello che arriva dopo, purtroppo, che non convince pienamente.
Tutta la parte su Yavin 4 ha sicuramente la funzione di mostrarci una ribellione ancora senza un vero leader, incapace di mettersi d’accordo anche sulle cose più semplici, e che per questo non riesce ancora a fronteggiare apertamente l’Impero. Il suo sviluppo, però, soprattutto pensando che Cassian fa poco o nulla, lascia molto a desiderare e sembra non portare da nessuna parte, se non per la grande sorpresa del pianeta su cui si svolge tutto il battibecco. Sarebbe forse bastato dare un maggiore senso di urgenza alla fuga di Cassian, anticipando la scoperta che Bix e gli altri sono in pericolo, per aggiungere un livello di tensione che manca quasi totalmente. La sua storyline si riprende con l’arrivo su Mina-Rau, con un’altra ottima scena d’azione e la tragica fine di Brasso che ricorda che non c’è modo di sfuggire all’Impero e che questa è una battaglia che richiederà molti sacrifici.
Funziona meglio nel suo sviluppo la parte dedicata al matrimonio su Chandrila, quantomeno perché ci presenta un punto d’arrivo molto importante nel percorso di Mon Mothma, che forse per la prima volta si deve confrontare con le conseguenze delle sue azioni sulle persone più vicine a lei. Non tanto per il matrimonio della figlia, che cerca di dissuadere a pochi momenti dall’unione, ma per il destino che attende Tay quando si rende conto – insieme a Luthen – che è diventato una pedina troppo pericolosa e che la sua presenza rischia di mettere in pericolo quello che hanno costruito in questi anni. La sua danza nel finale, sulle note remixate del brano “Niamos” che più volte abbiamo sentito nel corso della prima stagione, è uno dei momenti più forti della premiere. La senatrice usa il ballo per sfogare tutto il peso che si porta dentro, ormai conscia del fatto che non c’è più modo di tornare indietro e che per sconfiggere l’Impero vanno prese scelte dolorose e difficili.
Anche la parte dedicata a Dedra e Syril non delude. In generale, tutto quello che riguarda l’Impero, funziona molto bene, merito anche della scelta di non avere paura di mostrare i lati più oscuri di questo regime. La scena con Krennic nella versione starwarsina del Nido delle Aquile di Hitler – simile, in parte, al rifugio di Tarkin visto nel finale della seconda stagione di The Bad Batch – è un chiarissimo riferimento ai nazisti e alla conferenza di Wannsee, e il modo in cui discutono con tranquillità il piano di sterminare la popolazione di un pianeta come se fosse ordinaria amministrazione, non può non lasciare indifferenti. Impossibile non menzionare il pranzo in famiglia con la madre di Syril, Eedy, dove Dedra applica senza problemi il suo sangue freddo imperiale in un contesto sicuramente meno rischioso della caccia ai ribelli, ma non per questo privo di conflitto e dinamiche di potere.
Su Mina-Rau abbiamo modo di vedere, brevemente, Brasso, Bix e Wil alle prese con una vita normale, lontano dagli occhi dell’Impero, ma è una tranquillità che dura davvero molto poco, e un semplice controllo dei visti sfocia in una serie di momenti molto drammatici, tra cui la scena che forse farà più discutere di questa premiere, ovvero il tentativo di violenza sessuale nei confronti di Bix. Vedendo le reazioni online, per alcuni questa scelta si è spinta troppo oltre quello che ci si aspetta da Star Wars, mentre altri invece lodano la decisione, facendo notare che non è una tematica nuova nella saga se si pensa a Jabba e Leia ne Il Ritorno dello Jedi – anche se trattata con toni decisamente diversi. In varie interviste, Tony Gilroy ha detto di aver optato per questo sviluppo narrativo perché nelle storie reali di oppressione e rivoluzione questo tipo violenza è sempre presente.
C’è un certo accanimento nei confronti del personaggio di Bix, che all’inizio di “One Year Later” ha ancora gli incubi per le violenze subite su Ferrix. Quello che cambia qui, però, è che ha modo di reagire e di combattere l’oppressore, una vittoria che però dura poco a causa della morte di Brasso. È probabile che da qui inizi un percorso completamente diverso per lei e Wil, perché nascondersi dalla morsa imperiale non è più un’opzione e perché è arrivato il momento di combattere in prima linea questa guerra.
In conclusione, Andor riparte con delle ottime idee ma che non sempre riesce a sviluppare al meglio, con una parte centrale, “Sagrona Teema”, che rallenta forse eccessivamente il ritmo, dando l’impressione che questo arco di tre episodi sarebbe potuto essere un ottimo episodio singolo, magari offrendo un ruolo più centrale e attivo al suo protagonista. Con Andor le aspettative sono inevitabilmente molto alte, e quindi colpisce ancora di più quando cose che, soprattutto sulla carta, dovrebbero avere un grande impatto, nel momento in cui arrivano sullo schermo non raggiungono i risultati sperati. Detto questo, un piccolo passo falso non preclude di certo la possibilità che il resto della stagione sia memorabile, e basandoci sulle opinioni di chi ha già visto tutto, dovrebbe essere esattamente così.
Voto 2×01: 7
Voto 2×02: 6 ½
Voto 2×03: 7
Se c’è una cosa che apprezzo di Andor è la sua capacità di sorprendere; non è una cosa da poco considerato che, chi ha visto e amato Rogue One, conosce l’epilogo di questa storia. Sorprende la costruzione narrativa e lo stile, il modo di raccontare; sorprende il coraggio di sfidare alcuni dogmi di Star Wars senza oltrepassarne i limiti del consentito (il sangue, il sesso, il linguaggio scurrile). Sorprendente l’aderenza al canone “starwarsiano” nonostante le tante novità che caratterizzano questo progetto. E sorprende anche la scelta, in questo primo film in tre parti, di tenere in secondo piano Cassian Andor, dando luce agli altri personaggi e in particolare modo ad una meravigliosa Genevieve O’Reilly che ci regala il crollo psicologico più figo della galassia!