
Pur nella loro disomogeneità, infatti, le prime due puntate avevano dato un’evidente impressione di quali sarebbero stati i temi distintivi di questa stagione, di cui si poteva apprezzare l’attualità: intelligenza artificiale, deepfake, “verità alternative” e una tendenza sempre più conservatrice che, dalla politica, arrivava a estendersi anche al mondo dei network sembravano più che sufficienti a mettere in piedi un’annata tipica della serie. The Morning Show è infatti nota sin dal suo esordio per aver creato un ibrido tra un racconto incentrato sull’attualità e sui suoi aspetti più controversi, e un drama psicologico basato su personaggi sfaccettati, i cui legami si sono spesso accostati al melodramma. Insomma, una serie che si è presa sul serio il giusto, che ha saputo fare satira attenta raccontando dinamiche di potere da più punti di vista, che qualche volta è caduta ma senza mai diventare macchietta di se stessa.

Ogni nuovo tema mostrava del potenziale per essere portato avanti, ma il risultato è stato un eccesso di grandi e piccole trame che hanno finito col rendere insipido anche l’argomento più coinvolgente. Basti pensare alla storyline di Chris sul doping e sulla maternità in “Amari”, che avrebbe avuto bisogno di uno spazio più ampio ma che per forza di cose non c’è stato; tanto più che il momento della restituzione della medaglia olimpica alla vera vincitrice arriva dopo ben quattro episodi (in “Un Bel Dì”), completamente isolato dal contesto e percepito come una parentesi all’interno di una puntata che è incentrata su ben altro.

Un esempio perfetto in questo senso è quello della vicenda di Roya, la schermitrice iraniana, che viene ritirata fuori a seconda di quanto convenga agli altri senza che davvero ci venga raccontato qualcosa sul tema dell’asilo politico, o dello sport in paesi come l’Iran, o una qualunque altra questione in grado di stare in piedi da sola. È un mero strumento, che insieme ad altri infarcisce le puntate di spunti, senza mai far capire al pubblico se sia davvero importante ai fini del racconto o se sia lì solo per traghettare la storia da un’altra parte.
Si potrebbe controbattere che una storia portante c’è, che è quella dello scandalo Wolf River: ma siamo davvero sicuri che sia stata trattata con l’attenzione necessaria? Sarebbe possibile definire questa quarta stagione come quella che, ambientata nel 2024, ha voluto parlare di insabbiamento di storie di inquinamento ambientale da parte di persone potenti e che è stata sventata grazie al caro vecchio giornalismo d’inchiesta? La triste verità è che non è così: perché se è vero che la vicenda Wolf River attraversa tutte le puntate, che investe quasi ogni personaggio e che va persino a scavare nel passato di questi, come nel caso di Cory, è altrettanto indubbio che la sua rilevanza sia praticamente la stessa di una storyline laterale fino almeno a tre quarti di stagione, e soprattutto che non ha alcun legame con tutte le altre storie che si avvicendano una dopo l’altra.

Una mescolanza di riflessioni sociali e drammi personali c’è sempre stata, è nella natura della serie: ma qui tutto è aggrovigliato in modo esagerato, al punto che anche le questioni che potrebbero essere più interessanti da un punto di vista politico o sociale finiscono col lasciare spazio a relazioni o a conflitti personali, in un tira e molla che non fa bene a nessuna delle due parti.
Persino il rapporto tra Alex e Bradley subisce lo stesso trattamento, tra alti e bassi che si alternano senza soluzione di continuità fino all’epilogo. Non c’è dubbio che le ultime due puntate abbiano alzato il tiro, ponendo Alex nella condizione di mettersi in discussione e di fare di tutto per riportare Bradley a casa sana e salva; così come è indubbio che le interpretazioni di tutto il cast e in particolare di Jennifer Aniston e Reese Witherspoon siano state fondamentali nella buona riuscita di questo ultimo segmento. Ma questa continua montagna russa nel rapporto di fiducia tra le due è qualcosa che abbiamo già visto davvero troppe volte, tanto che non ci vuole molto a prevedere il successivo cambio di rotta di Alex quando inizialmente nega a Bradley la copertura della UBN per andare in Bielorussia.

Un esempio fulgido di come gli aspetti più personali e la parte giornalistica vengano trattati in maniere più o meno riuscite è rappresentato dall’ottavo episodio, “The Parent Trap”, in cui sia Cory che Alex sono alle prese con degli incontri-scontri con i rispettivi genitori. Se entrambe le sezioni hanno una componente emotiva molto forte che crea un interessante parallelo tra un padre assente e una madre fin troppo invischiata nella vita del figlio, la resa, nonché la giustificazione, di questi due confronti porta a risultati molto diversi.

Al contrario, il conflitto tra Alex e il padre Martin spunta all’interno della stagione in modo fin troppo calcolato, rappresentato da isolati momenti di discussione (l’intervista a Biden che salta, la decisione di Martin di farsi intervistare da Bro per le sue questioni accademiche) che sembrano posizionati solo per arrivare allo scontro dell’ottavo episodio – a maggior ragione se si considera che l’arco narrativo sulla questione plagio non viene mai condotto a termine. Il tutto porta a un confronto tra i due che ha certamente una carica emotiva forte – data in particolare dalle interpretazioni di Jennifer Aniston e Jeremy Irons – ma che si esaurisce troppo presto, soprattutto vista la portata delle rivelazioni sulla madre di Alex e sulle ragioni del suo allontanamento. Il conflitto si basa inoltre su uno dei cliché più classici del genere, la figlia che non riesce mai a rendere il padre soddisfatto di lei, ed è seguito da una risoluzione troppo rapida, giusto in tempo perché Martin possa legalmente supportare Alex nel suo attacco finale a Celine.
E arriviamo quindi a lei, Celine Dumont, interpretata da una sempre brava Marillon Cotillard, a cui tuttavia questa stagione riserva una costruzione macchiettistica: da nuovo personaggio misterioso, di cui non si vogliono svelare subito le carte, a villain cartoonesco, con tanto di “origin story” scontata (la storia familiare) e decisioni basate su una sete di potere a tratti ridicola, quasi quanto il suo assurdo tentativo di scappare dalla UBN dopo essere stata scoperta in diretta nazionale.

Ci sono delle storyline tutto sommato ben gestite, una fra tutte quella di Mia (Karen Pittman), la cui integrità e voglia di rivalsa riescono a trovare un equilibrio credibile, mantenendo il personaggio coerente all’interno della sua evoluzione; ma ne esce bene anche l’arco narrativo dello stesso Cory, che riesce a essere “il solito Cory” e al contempo a sparigliare le carte in modi ancora sorprendenti. Il reinserimento di Claire è stato di certo una buona intuizione, anche se i suoi effetti a cascata non sono stati all’altezza (né per Yanko e la sua linea romantica, né per Bradley, che tutela l’ex collega fino a quando le conviene, senza neanche cercare di trovare un escamotage come chiamare l’FBI durante l’intervista in modo da permetterle almeno di portarla a termine).
Purtroppo la quarta stagione di The Morning Show ha dato molto meno di quello che ci si aspettava e questo paradossalmente perché ha voluto dare e fare troppo. Il problema non si trova nell’essere una serie corale perché lo è sempre stata, ma forse va rintracciato nel tentativo di parlare di tutto un po’, come se fosse un atto dovuto per rimanere uno show specchio di questa attualità così iperframmentata. Si poteva viaggiare su queste note e trattare più temi del solito, ma senza rinunciare allo spazio che questi argomenti così rilevanti si meritano. Le ultime tre puntate hanno avuto il merito di alzare l’asticella rispetto alle precedenti, ma questo non può cancellare gli errori sostanziali interni alla narrazione. The Morning Show rimane una serie ottima da un punto di vista registico, per le performance attoriali, per gli spunti che è in grado di offrire: ma deve fare molto più di così se vuole tornare a essere quella che era un tempo.
Voto: 5

Recensione perfetta. Stagione mediocre. Non è tanto la frammentazione dell’attualità ad aver danneggiato il racconto ma il fatto che nessuno di questi frammenti abbia meritato davvero la centralità del racconto; infatti l’ambizione della serie – io la interpreto come tale – è stata quella di puntare al centro, al cuore dell’attualità americana (e quindi globale) perché parte del discorso contemporaneo, perché parte della storia contemporanea: era avvenuto in effetti con la pandemia, prima con il Me Too.
E ora? La serie si riprenderà? Ora, io credo sia impossibile per una serie realistica alla The Morning Show entrare nelle viscere del discorso contemporaneo, quando è privo com’è oggi di evidenze e manifestazioni concrete che impregnino l’attualità; ora, forse, soltanto una scrittura che faccia uso di un linguaggio di genere “fantastico” può coltivare cotanta ambizione.
Ogni riferimento a Pluribus è voluto.