Adrenalinico quanto basta, elegante come sempre: Scandal ritorna in grande stile con un primo episodio che lascia presagire una terza annata ricca di eventi. La seconda stagione aveva già battuto una serie di record, ulteriormente superati da questa première seguita da 10.5 milioni di telespettatori totali con un rating di 3.6, ovvero il suo miglior risultato di sempre.
La sapiente costruzione drammaturgica e il solido impianto registico di questo It’s Handled (firmato dalla creator Shonda Rhimes) confermano la strada maestra imboccata dalla serie a partire dalla seconda stagione: meno toni da sentimental drama e molto più ambient da thriller politico.
L’episodio ha un’efficace struttura ciclica in cui i molteplici attanti coinvolti forzano il corso degli eventi facendo in modo che le modalità per risolvere il problema rimangano invariate e a cambiare sia solo il soggetto da screditare. Il ritmo narrativo serrato e adrenalinico si pervade di un presagio di distruzione che aleggia impetuoso su Olivia prima e su Jeannine poi. Non vale a niente l’ansia di verità di un presidente Grant più che mai pedina di una spumeggiante Mellie e del sempre pronto Cyrus che, seppure a malincuore, non riesce ad abbandonare quella risolutezza che lo trasforma in quel mostro con lui stesso tende ad identificarsi – I am a monster, but, honey, I’m your monster!
«The White House will destroy you» «That’s what mom used to tell me about you»
La scorsa stagione ci aveva lasciati con l’incontro tra Olivia e quel Rowan la cui ossessione per Miss Pope poteva sembrare tutto tranne che apprensione paterna. Lo scontro padre/figlia con cui si apre la puntata lascia presagire che il loro rapporto sia stato scosso da più di una burrasca: la morte della madre che allontana definitivamente Olivia dalla residenza di famiglia o la mancanza delle foto che li ritraggono insieme non possono non essere collegate a quel ruolo occulto esercitato da Rowan all’interno del vespaio che sottobanco pilota la gestione del potere nell’impero americano. A cospetto del padre, Olivia sembra come rimpicciolirsi gradualmente: in bilico tra paura e consapevolezza, ascolta le sue parole con un’espressione del volto e una compostezza nella postura (mirabile la prova della Washington) che traducono visivamente una mentale retrocessione a quel ruolo di ambiziosa adolescente che, con le sue recenti azioni, ha involontariamente deluso le aspettative paterne – How many times have I told you you have to be twice as good as them to get half of what they have.
Il potere che Rowan esercita sulla figlia si sgretola nel momento stesso in cui Olivia si ritrova, al telefono con Cyrus, investita da ciò attorno a cui ruota la sua vita: c’è un problema da risolvere e Olivia, indipendentemente dal fatto che il soggetto danneggiato sia lei stessa, resta sempre la persona migliore sulla piazza per occuparsene. La donna si rende conto del suo valore e, sebbene sia la preoccupazione per Fitz a farla scendere da quell’aereo, non appena varca la soglia del velivolo la ragazzina frustrata dal padre autoritario lascia il posto a quel gladiatore che siamo stati abituati a conoscere – what is happening is that I am taking care of myself! Nonostante sia ben chiaro che Fitz sia la fonte da cui sgorgano le più recondite debolezze di Olivia, a mio parere, il sentimento che la lega al presidente è allo stesso tempo una fonte d’inesauribile forza: quando all’amore si accompagna una grande stima è come se si fosse portati a trasferire su se stessi l’ammirazione che si ha per l’altra persona, e ciò, molto spesso, porta a sentirsi invincibili.
«That is not you making a mistake. That is not you cheating on me. That is you… »
«That is me being in love with another woman».
Lo strabiliante trittico rinchiuso nel bunker fluttua da un sentimento all’altro con una velocità che diventa metro di valutazione dei sentimenti stessi: ognuno di loro, nonostante si senta rinchiuso in una precisa emozione, sa di non dovervi dare peso eccessivo, perché per tutti, in quel momento, c’è qualcosa di ben più importante da risolvere. Allo stesso tempo, però, con Fitz in un angolo a cercare invano di risolvere la faccenda con la verità («The truth works» «The Irony»), l’esordio di Mellie – I’m sorry. The truth does not work. It does not work for me – dà l’avvio ad uno straziante confronto tra la donna tradita e l’amante umiliata. Olivia passa da una immagine ad un’altra: una volta è la fixer che tenta di ricostruire le dinamiche della risoluzione del problema, poi di colpo diventa una donna innamorata, debole e fragile, che osserva quasi dispiaciuta una Mellie da cui, tra tutto il veleno che deborda, traspare quell’amaro sapore di un amore tradito. Ed è proprio dall’acre gusto del veleno che, nella machiavellica testolina della First Lady, prende avvio quel controcampo che sposta l’attenzione su un’ignara e ignota Jeannine e porta Fitz a rivelare il vero motivo per cui ha fatto trapelare il nome di Liv: la guerra tra Fitz e Mellie è appena iniziata e questa non è che la prima battaglia. Non avremmo potuto avere aria di sortita migliore per inaugurare la nuova stagione del matrimonio dei coniugi Grant.
Are we gladiators, or are we bitches?
I gladiatori della Pope & Associates, frenati dalla stessa Olivia ad occuparsi dell’incombenza in questione, si muovono cautamente nell’ombra. La considerevole perdita di clienti, conseguente alla presunta relazione tra Olivia e il presidente Grant, oltre a far scattare il campanello d’allarme per l’attività dello studio (e per il loro stesso lavoro) mette in atto una frenesia di protezione nei confronti di Liv, la quale, forte di quell’affetto misto a riconoscenza, viene vista come un obbligo a cui non bisogna sottrarsi, a costo di andar contro le indicazioni della stessa Olivia. Nel corso dell’episodio l’esigue minutaggio concesso al gruppo di fixer distrae lo spettatore dal loro incisivo coinvolgimento nel precipitare degli eventi. Oltre alla criptica telefonata con Cyrus, abbiamo solo brevi frammenti che, incastonati in un montaggio serrato, si perdono tra le altre storyline, fino a quando il loro reale significato non ci piove addosso come una doccia fredda: lo stesso gelo che inonda una contrariata Olivia – There is nothing wrong with a little self-preservation. It doesn’t mean you don’t wear the white hat. Stavolta entrambi i chief in charge – Olivia e Fitz – sono stati spodestati da un inedito trio: Mellie, Cyrus e i Gladiators in a suit. Per quanto si possa sperare o adoperarsi purché accada, la verità non funziona nel mondo di Scandal.
Buona la scelta di liquidare con il pilot la gestione della notorietà della relazione tra Miss Pope e Mr President: Jeannine difesa da Olivia è già un ottimo condotto per andare oltre, senza effettuare un brusco taglio e lasciare la storyline sospesa, ma privata del suo peso specifico. Del resto occorre lasciare spazio a Remington che pare avere le carte in regola per rivelarsi come degno sostituto della sepolta Defiance.
Voto: 8
Bella recensione! La scena che descrivi di Liv con il padre è esattamente così, e la Washington è veramente bravissima.
La parte centrale con Fitz, Olivia e Mellie è stata girata veramente bene. E più passa il tempo, più prenderei Fitz volentieri a sberle… ma come si fa?! Va beh, va beh..
Il padre di Olivia è sempre più preoccupante, ora che ha mostrato sa il cielo quali documenti a Cyrus bisognerà vedere cosa succederà.
Voglio vedere di più i Gladiators però!!