I primi due season finale di Sherlock, The Great Game e The Reichenbach Fall, erano entrambi strutturati in maniera piuttosto lineare intorno alla figura di Moriarty e prevedevano un cliffhanger finale che lo spettatore avrebbe dovuto elaborare da solo, a visione conclusa.
His Last Vow, pur riproponendo qualcosa di simile negli ultimi secondi della puntata, cambia sicuramente le carte in tavola e si presenta come un episodio atipico, sia in termini strutturali che contenutistici. Un’operazione accattivante, sorprendente e a suo modo perfino poetica; l’ultimo tassello di un percorso che ha reso questa terza annata la più discussa e allo stesso tempo la più eccezionale finora.
In questa terza stagione Moffat e Gatiss hanno lavorato su più livelli: quello della celebrazione del mito di Sherlock (la serie e il suo protagonista), dell’umanizzazione dei personaggi, e del perfezionamento di un’estetica sempre più riconoscibile. Stratificato, dunque, è probabilmente l’aggettivo che maggiormente si adatta a questo terzetto di episodi, soprattutto all’ultimo capitolo; ad un’analisi più approfondita, infatti, emerge tutta la complessità di questa puntata, che non chiude solo una stagione, ma anche un cerchio, un ciclo nella storia di Sherlock. Un viaggio che inizia con a Study in Pink e si conclude magistralmente con un episodio ad esso speculare.
His Last Vow, infatti, è infarcito di rimandi alla series premiere, dalle citazioni più facilmente individuabili (il ritorno del mitico I am a high functioning sociopath, o il blitz a Baker Street in cerca di droga, con Anderson ancora una volta presente) ai riferimenti nascosti (You could imagine the Christmas dinners! dice Mycroft a John nel primo episodio, e adesso possiamo anche smettere di immaginarcele, perché ne abbiamo avuto un gustosissimo assaggio), ma soprattutto riprende dei temi presentati per la prima volta in quell’occasione, li sviluppa e li elabora, ribaltandone perfino le condizioni iniziali.
I am not a villain, I have no evil plan. I am a business man.
Il consulting detective si scontra stavolta con Charles Augustus Magnussen, trasposizione televisiva del Milverton di Conan Doyle, un viscido ricattatore che repelle Sherlock Holmes più di qualunque altro criminale incontrato fino ad allora. E, infatti, il personaggio di Lars Mikkelsen è un mellifluo, disgustoso burattinaio, che rappresenta per Sherlock un antagonista ben più temibile di Moriarty, non solo perché più potente e pericoloso del primo, ma perché in un certo senso specchio di se stesso. Entrambi sono lucidi calcolatori che raccolgono immense quantità di informazioni, le catalogano nel proprio mind palace e possono decidere di usarle a loro a vantaggio. Magnussen è dunque ciò che Sherlock avrebbe potuto essere ma non sarà mai, perché tra di loro intercorre una sostanziale differenza: il primo galleggia e basta, immobile come gli squali dell’acquario di Londra, mentre il secondo si immerge sotto la superficie delle cose e sa nuotarci dentro; in una parola, è vivo. Al contrario, Magnussen è solo un parassita, che non conosce davvero, né possiede, alcuna umanità.
It’s all well and clever having a mind palace, but you’ve only three seconds of consciousness left to use it.
Il grande divario tra Sherlock e il suo antagonista è evidente anche se si guarda ai rispettivi mind palace: quello di Magnussen è un archivio segreto, freddo, organizzato, mentre quello di Sherlock è un mondo vivo, abitato da persone, ricordi e spettri del passato, non semplici file. La splendida sequenza che ci porta al suo interno non è solo un virtuosismo stilistico, ma ha un preciso senso all’interno della narrazione. Why did you never feel pain? chiede Sherlock a Moriarty, quasi invidioso e allo stesso tempo spaventato dalla sua apatia. Insieme a Mycroft, invece, ritorna bambino, facendo emergere tutto il disagio, il senso di inferiorità, la sofferenza che la relazione con il fratello comportano per lui. Insomma, riusciamo a sentire davvero il complesso rapporto tra Sherlock e la sua umanità, perché siamo entrati nella sua testa in un momento di crisi, emergenza e paura, e abbiamo aperto le porte della sua memoria.
Peccato che Moffat abbia tirato un po’ troppo la corda, facendo lo stesso errore commesso con alcune sequenze di The Sign of Three. Il ritorno di Sherlock dal mondo dei morti grazie alla parolina magica John, ovvero la sua damsel in distress, è una caduta di stile che poteva benissimo essere evitata, una forzatura non necessaria, visto che il messaggio era già stato ricevuto forte e chiaro. Analogamente, il fatto che Sherlock rischi seriamente di morire va ad inficiare anche la teoria secondo cui Mary avrebbe sparato soltanto in modo da ferirlo e non allo scopo di ucciderlo.
You are always clever, Mary, I was relying on that.
A proposito di Mary – il cui smascheramento è solo una delle tante e gustosissime sorprese di questo episodio – potremmo anche dire che, in fondo, avevamo capito fin da subito che quella di Mrs. Watson era solo una facciata, simile alle case di Leister Gardens (tra l’altro un uso davvero intelligente dell’ambientazione). E non perché sapessimo cosa nascondeva, ma perché il ruolo di semplice fidanzata o moglie amorevole le stava stretto almeno quanto a John è sempre stato stretto quello di assistente. Le donne di Moffat sono quasi sempre delle figure forti e intelligenti, e più si avvicinano a questo modello e più hanno un rapporto particolare con l’etica e la legge (Irene Adler, ma anche la stessa Mrs Hudson, o River Song). Mary Morstan, sicuramente uno dei suoi personaggi femminili più riusciti, non fa eccezione: indipendente, cazzuta, ironica, è così brillante da ammaliare perfino il geniale Sherlock Holmes (senza per questo risultare troppo perfetta) e così pericolosa da attirare a sé l’inquieto John.
Sì, perché come ci aveva mostrato già A Study in Pink (anche attraverso quei sogni sulla guerra, riproposti ancora una volta all’inizio di questo puntata), Mr. Psycopath è una specie di addicted da adrenalina, sempre alla ricerca di situazioni rischiose in cui infilarsi. Lo realizza chiaramente solo durante il “colloquio” con Mary e Sherlock al 221B di Baker Street, un altro dei momenti più intensi dell’episodio, in cui Martin Freeman si dimostra ancora una volta un interprete formidabile. Il suo John non è mai stato una macchietta, ma adesso lo spessore di questo personaggio emerge in modo ancora più evidente. La rabbia verso Sherlock, quello shut up, and stay shut up, because this is not funny o l’insofferente your way, always your way sono una grande prova attoriale e un ottimo lavoro di scrittura.
Forse non si può dire lo stesso della scena della riconciliazione a casa dei genitori di Sherlock – l’atmosfera natalizia, la pen drive nel camino o la frase ad effetto sono davvero un po’ troppo. Ma a ben vedere, anche quello sdolcinatissimo is Mary Watson good enough for you? è molto più sensato di quanto sembri: ora che John ha finalmente realizzato cosa lo fa sentire vivo, che ha accettato quella parte di sé che lo ha spinto tra le braccia di un’assassina, quel nome, Mrs. Watson, può smettere di essere una copertura, e rappresentare per lei un nuovo inizio senza tradire, comunque, la sua personalità.
I am not a hero, I am a high functioning sociopath. Merry Christmas!
Dicevamo più su che His Last Vow si può considerare come speculare a A Study in Pink. Questo perché, mentre nella series premiere era stato John ad uccidere il villain di turno per salvare Sherlock, stavolta è quest’ultimo a compiere un omicidio per proteggere l’amico. L’assassinio di Magnussen è dunque il modo in cui Sherlock tiene fede al suo last vow – quello di proteggere John e Mary qualunque cosa accada – ma anche il culmine di un percorso di umanizzazione iniziato ormai quattro anni fa. I’m not a murderer, ci tiene a precisare Magnussen, ed infatti l’omicidio non può rientrare in alcun modo nel suo modus operandi, perché, come scrive Moffat su twitter durante la sessione di Q&A post-proiezione, as Sherlock Holmes wuold say, murder is terribly human. Questo gesto così apparentemente out of character, quindi, non è un mero stratagemma per risolvere un caso altrimenti irrisolvibile; al contrario rappresenta una scelta ben precisa e carica di significato. Magnussen era la degenerazione tossica di Sherlock e in quanto tale non poteva che morire per mano del suo alter ego, l’uomo on the side of the angels, ma che, è bene ricordarlo, non è assolutamente uno di loro. Sherlock non è un eroe, né un dragon slayer, ed infatti lo ribadisce proprio un attimo prima di premere il grilletto e quindi di mostrarsi in tutta la sua terribile umanità. In questa luce, gli ultimi minuti ad Appledore sono uno dei momenti più alti raggiunti dalla serie, anche per via degli spunti di riflessione che offrono da un punto di vista etico.
Did you miss me?
E alla fine arriva… Moriarty. Che sì, ci era mancano, ma che non ci saremmo certo aspettati di rivedere. E’ presto, però, per esprimere un giudizio articolato sulla questione, dal momento che non sappiamo se sia effettivamente ancora vivo né perché. Moffat e Gatiss avevano negato la possibilità della sua sopravvivenza al Comic Con dello scorso anno, ma sappiamo bene quanto quei due godano nel fare i troll; certo, l’idea che possa essere sopravvissuto ad un colpo di pistola dritto in testa è quanto meno fantasiosa, e potrebbe far virare la serie verso il trash o al limite la fantascienza. Per il momento, dunque, forse è meglio sospendere il giudizio fino a nuovo ordine. Tornando all’episodio in sé, quel messaggio a reti unificate è certo il tentativo di ricreare un cliffhanger simile a quelli precedenti, e dunque un espediente forse un po’ fastidioso, ma che serve a smorzare il tono da series finale dell’addio tra John e Sherlock e perciò a ricordarci che, per quanto il percorso di umanizzazione del protagonista possa dirsi concluso, la serie invece non lo è. Se sia un bene o no, lo scopriremo presto.
In sintesi, His Last Vow è un episodio che rasenta la perfezione ma che, purtroppo, non la raggiunge. L’architettura della puntata è singolare e affascinante, come del resto l’intera stagione, ma le scene più riuscite (come il memorabile dialogo tra Sherlock e Mycroft nel giardino dei loro genitori, o quello con Janine in ospedale) non riescono a far dimenticare le sbavature e le incongruenze della scrittura moffattiana. Ciò non toglie che sia un grande, grandissimo episodio, da guardare e riguardare per scoprire ulteriori chiavi di lettura, o semplicemente per passare un’ora e mezza di ottima televisione. In attesa di dicembre 2014 – presunta data di ritorno per la quarta annata.
Voto all’episodio: 9
Voto alla stagione: 9 1/2
Complimenti per questa recensione: è un dono raro saper andare nel profondo delle cose; dono che molto spesso chi recencisce non ha perché preso da far “ammirare” la sua abilità nel dare lezioni di stile piuttosto che di tuttologia. Questa stagione a me è piaciuta davvero tanto, sarà che non sono amante di procedurali o fan dei testi di Doyle, ma ho molto ammirato il viaggio all’interno della mente di Sherlock che gli sceneggiatori ci hanno concesso. Il finale mi ha turbata alquanto. Poteva essere evitato? Forse, tuttavia potrebbe essere soltanto ulteriore fumo nei nostri occhi, da Gattis e Moffat (lui soprattutto) c’è da aspettarsi di tutto.
Recensione bellissima, è riuscita a farmi cambiare parere su una stagione che mi aveva convinta solo a metà 😉
Grazie, grazie! 🙂
Intanto complimenti a Francesca per la splendida recensione.
Quest’episodio di Sherlock è di una complessità assoluta e finalmente dopo un po’ di revisioni sono riuscito a farmi un’idea un po’ più chiara su i due nodi a mio avviso più problematici dell’episodio, due questioni che hanno creato polemiche, hanno diviso e hanno lasciato senza risposte critica e pubblico. I due momenti a cui faccio riferimento sono: la sequenza dello sparo a Sherlock e alla risoluzione della finta morte e la sua apparente incoerenza narrative; il dialogo in cui Mycroft dice “I am not given to outbursts of brotherly compassion. You know what happened to the other one.” ovvero la questione del terzo fratello. Questi due momenti sono tra l’altro a mio avviso tra quelli più geniali della puntata e non a caso sono collegati di un elemento che è la soluzione a entrambi gli enigmi, in particolare il secondo, soluzione che devo ammettere mi è stata fatta notare da una mia amica.
Questione sparo a Sherlock.
Mary al momento dello sparo non indugia, è perfettamente sicura di ciò che sta facendo e rivedendo a posteriori la sequenza è chiarissima la sua intenzione e la sua consapevolezza. In più, conseguenza indiretta della sua risolutezza è che così facendo impedisce a Sherlock di avere troppe informazioni su quel momento, cosa che può dare vita allo straordinario viaggio nella mente a cui assistiamo subito dopo lo sparo. Il monologo iniziale di Molly è tutto frutto della paura di morire di Sherlock: oggettivamente lui non morirà, ma la sua paura lo porta a queste proiezioni (“we need to focus”), così come è frutto della sua mente la paura di morire che gli incute il fantasma di Mycroft con lui bambino. La vista del suo cadavere all’obitorio ha lo stesso tasso di realtà del suo stare per morire e salvarsi che si vede nel finale della sequenza. “C’è qualcosa in questo palazzo in grado di calmarti? Trovala!” gli dice Mycroft. Questo qualcosa è Redbeard, Barbarossa il cane che aveva da bambino. Le condizioni di Sherlock nella realtà e quelle nella sua mente sono profondamente diverse. Non è vero che è in fin di vita come nella sua mente le sue suggestioni gli stanno facendo credere. D’altronde, se può fare tutti questi viaggi mentali è perché in fondo è ben lontano dall’essere in coma. Tutta la sequenza della rianimazione è completamente nella sua testa, non è mai avvenuta nella realtà.
La questione del risveglio post “John Watson is definitely in danger” di Moriarty serve solo come certificazione per Sherlock e per gli spettatori del fortissimo sentimento che prova per lui, capace di fargli tirare fuori il meglio e fargli vincere anche la più drammatica sfida con le proprie paure, la paura di morire e con quella di Moriarty. “L’effetto Inception“ e la risalita attraverso i piani del suo palazzo mentale sono solo frutto della sua memoria, così come la linea continua dei macchinari dell’ospedale che segnalerebbe la sua morte temporanea, così come il risveglio e la sorpresa negli occhi dei medici. Queste indicazioni valgono molto di più per Sherlock stesso che per noi, sono quegli elementi che giustificano e in qualche modo spiegano la questione legata alla sua umanizzazione, specie in relazione al secondo episodio e all’eccessivo affetto manifestato per John.
Lo stacco sulla realtà infatti è tutto tranne che su persone che hanno visto il proprio amico più morto che vivo.
Questione terzo fratello.
Due questioni legate tra l’altro da una parola chiave: Barbarossa!
Quando Mycroft chiede a Sherlock quale caso può giustificare fingere di essere tossicodipendenti e Sherlock risponde CAM, Mycroft sbianca. Letteralmente. Subito dopo poi minaccia Anderson e la sua collega di fan club di non rivelare mai a nessuno di aver sentito quel nome in quel contesto, minacciandoli di farli arrestare. “Magnussen is not your business!”. Il terzo fratello è Charles Augustus Magnussen e Mycroft, che ha in Sherlock il suo point pressure, ha il terrore del loro avvicinamento, perché vuole lasciare per sé la risoluzione della faccenda e proteggere il fratellino.
Quando poi CAM arriva a Baker Street e pronuncia quel nome tutto inizia ad essere più chiaro: solo vivendo da bambino a casa di Sherlock e Mycroft CAM ha potuto sapere del cane Redbeard. Sherlock è sconvolto al solo pronunciare il nome, ha capito che ha un punto di pressione molto più importante e lo stacco sulla finestra lo evidenzia, ma decide di tenerlo per sé e far credere a John che il suo agli occhi di CAM continui ad essere la tossicodipendenza, anche perché l’altro point pressure si chiama proprio John Watson. Tra l’altro quando Sherlock e John riescono ad entrare nello studio di CAM attraverso Janine, Sherlock dice a John “con le persone c’è sempre un punto debole” utilizzando una strategia tipica di Magnussen (sarà la genetica?) applicata tra l’altro alla sua segretaria! Da metà puntata Sherlock sa che uccidere Magnussen è l’unica soluzione possibile, per salvare Mary, Johne e suo fratello Mycroft, infatti prima di andare a Appledor dice a John “Did you bring your gun as I suggested?”. Tuttavia non arriva mai alla consapevolezza che CAM sia suo fratello, infatti quando lo uccide Mycroft dice “Oh Sherlock, what have you done?”. Se come dice CAM il punto di pressione di Mycroft è proprio il fratellino Sherlock, allora l’uccisione di CAM è proprio il modo per far essere il fratello maggiore fiero di lui salvandogli vita e lavoro, oltre che salvare John e Mary. Quando Sherlock realizza che non può che uccidere CAM, che non ci sono alternative, rimane in silenzio e il suo primo piano esprime tutta la sua tristezza per ciò che sarà costretto a fare. La sicurezza di Sherlock aumenta e il senso di colpa diminuisce quando vedere John umiliato e CAM cita Janine e le umiliazioni identiche umiliazioni che le ha inflitto (anche in questo caso verrebbero in parte fuori i sentimenti di Sherlock).
Subito dopo l’uccisione arriva l’immagine di Sherlock bambino che rimanda alla famiglia e al fatto che ha ucciso suo fratello, con il controcampo di Mycroft disperato. Questi infatti rimane l’unico a sapere che CAM sia il terzo fratello, l’unico insieme ai servizi segreti ai quali Mycroft recita il famigerato: “I am not given to outbursts of brotherly compassion. You know what happened to the other one.”
Ora sì che Mycroft sarà fiero di lui. C’è sempre un momento in cui si ha bisogno di Sherlock Holmes!
Una puntata complessissima che dopo le revisioni è a mio avviso perfetta e di una qualità devastante.
Questa puntata di Sherlock (come la stagione tutta) crea spunti di riflessione infiniti, io stessa continuo a pensarci e ripensarci- ho sognato Cumberbatch per tre sere di fila, ma forse quello è un caso di fangirlaggine acuta e ha ben poco a che fare con le questioni di cui sopra. Sto anche pensando di scrivere un post sul mio blog per analizzare più a fondo alcuni punti ai quali ho fatto soltanto qualche accenno nella recensione (per me la più difficile di sempre,e infatti non ne vado molto fiera). Detto questo, la storia del fratello a me inizialmente era del tutto sfuggita e nella recensione non ne ho parlato perché in effetti non mi ero fatta alcuna idea in merito. Il fatto che CAM possa essere un terzo fratello Holmes mi lascia perplessa anche perché genere non sono una che fa molte teorie, e ci vado cauta nell’avanzare ipotesi come questa. La vedo come una possibilità non del tutto plausibile, oltre che molto lontana dal canone. E in un certo senso una scelta che indebolisce la forza, il fascino, dell’episodio perché “riduce” ad un intrigo sotterraneo l’evoluzione del personaggio. Ecco, forse avrei preferito qualcosa di più “scoperto”, a questo punto, ammesso ovviamente che sia così. Anche per rendere Sherlock più colpevole, per fargli sporcare maggiormente le mani. E poi preferisco archi narrativi così complessi in serie meno “serie” come Doctor Who, dove trovano terreno fertile. Qui la cosa mi lascia spiazzata (motivo per cui non ho amato nemmeno il ritorno di Moriarty- ma per quello aspetto a parlare). Volendo comunque tuffarci in questa cosa (che è divertentissimo) resta comunque da chiedersi: perché Sherlock non si ricorda di lui? Cosa è successo? Sarebbe interessante scoprirlo, ma 1) se è una specie di easter egg la cosa morirà naturalmente qui 2) se avrà un ruolo più importante in futuro forse sarebbe stato meglio introdurre la cosa prima della morte di Magnussen – e così mi ricollego al discorso della “colpa” di Sherlock. E se non fosse così? Mycroft a chi diamine si riferiva? Chissà se lo scopriremo mai per davvero.Per quanto riguarda Mary e il mind palace, la tua è un’interpretazione affascinante ma credo che ci sia una via di mezzo. E’ possibilissimo che Sherlock sia in condizioni meno gravi di quanto la sua mente gli faccia credere, ma credo anche che non stia poi così bene come dici tu. In fondo è stato ferito in pieno petto, quindi la sua è comunque una situazione molto grave. Probabile, in effetti,che quella della sua morte e del suo ritorno sia solo una proiezione, un momento di consapevolezza in cui capisce cosa lo spinge a vivere (che non è John in quanto tale, ma John in quanto simbolo: ciò che significa per lui, ciò che lo ha portato a vivere una vita piena) e che questa spinta è sempre più forte. Beh, che dire: se era questo l’intento di Moffat, posso solo dire well played. Non penso, invece, che tutto il resto sia invenzione, la rianimazione in ambulanza, lo stato di incoscienza. Quello credo sia anche normale dopo che ricevi una pistolettata a pochi centimetri dal cuore.
Sulla questione fratello secondo me è una di quelle cose che gli autori hanno messo per differenziare gli spettatori e dare a ciascuno il proprio pane. Quelli “attivi” hanno anche quest’enigma da risolvere, per il quale ho dato la mia interpretazione. Non c’è dubbio che il rapporto tra Sherlock e Mycroft sia uno dei perni della serie e una di quelle cose che muovono i fili del racconto e governano i comportamenti del protagonista – non a caso Mycroft è una delle persone più presenti nei mind-palace di Sherlock. In quest’episodio a me sembra proprio che tutto si tenga dietro all’ipotesi di CAM come terzo fratello, sia per le capacità dell’uomo e della sua atipica insensibilità che lo accomuna “geneticamente” ai due Holemes, sia perché terrebbe insieme molti dei comportamenti dei personaggi, non solo in quest’episodio, ma anche negli altri (questione umanizzazione). Non ho ben capito perché dici che questa lettura depotenzierebbe l’episodio, a mio parere renderebbe le cose non solo più coerenti ma anche più complesse, andando a scavare (seppur col cesello e con minimi accenni come i flashback, le proiezioni dei singoli, gli stacchi di montaggio ecc…) nelle psicologie dei personaggi e nei loro ancora misteriosissimi passati. Non solo. Se la mia ipotesi è giusta, tutto ciò che fa Sherlock continua ad avere le sue ragioni portanti perché Sherlock può avere solo il sospetto che CAM abbia qualcosa di anomalo nelle sue conoscenze, ma non arriva a capire che lui possa essere suo parente. Quel “What have you done?” di Mycroft verso l’omicidio di Sherlock e il rimando a lui bambino però a me suonano troppo come “che hai fatto Sherl, hai ucciso tuo fratello, spero che tu non lo verrai mai a sapere perché il senso di colpa potrebbe devastarti”. Lì Mycroft rivela una sua componente di umanità, anche perché il fratellino drogato è il point pressure a cui solo apparentemente non tiene.
Rispetto invece alla sequenza dello sparo sono sicuro che è così, l’ho rivisto tantissime volte, è chiarissimo dal registro audiovisivo usato (messa in quadro, movimenti di macchi, tipologia di inquadrature, musiche utilizzate, filtri usati ecc.) quali sono le immagini che mostrano la realtà e quali le proiezioni di Sherlock. Le uniche immagini in ospedale sono quelle relative a quando si sveglia, tutto il resto, dai dialoghi con Molly alla rianimazione, sono sue proiezioni mentali.
Mary ha sparato in modo da non ucciderlo e non è morto, è una professionista e ci è riuscita. Se questo sia fisicamente possibile non lo so, non sono un medico, ma credo a naso che possa essere una cosa abbastanza coerente con i principi di verosimiglianza di Sherlock e che non esageri rispetto al patto che chiede allo spettatore. In questo senso questa è una scena perfetta, forse la migliore sequenza della storia della serie per tutti i sottotesti che possiede, per come è girata e interpretata.
Il depotenziamento per me consiste nel fatto che il tutto sarebbe “riducibile” ad una storia di antichi rancori tra fratelli. Invece personalmente ho trovato splendida l’evoluzione di Sherlock, anche intra-episodio, legata a fattori totalmente diversi: il rapporto con John, la sempre maggiore consapevolezza della propria umanità e del valore (positivo) che ha per lui e dunque la contrapposizione tra lo Sherlock disumano (Magnussen) e quello umano (il vero e proprio Sherlock). Ok, il legame di sangue potrebbe essere semplicemente un’aggiunta a questo schema, e il rapporto tra i diversi elementi potrebbe non essere di esclusione reciproca, ma di integrazione. Tuttavia la sensazione che mi lascia è di un’insistenza esagerata sul fattore “mistero”, che mette in secondo piano quello “caratterizzazione del personaggio” al quale tengo molto e che è, di fatto, il vero punto di forza tanto della puntata quanto della stagione.
Per le scene dello sparo e seguenti: beh, mi hai fatto venire voglia di rivederle. In effetti, ora che ci penso, alla prima visione mi venne il dubbio che si trattasse di una proiezione di Sherlock ma non diedi peso alla cosa. La tua interpretazione della “risurrezione” come presa di coscienza ed affrancamento della paura è davvero interessante e acuta, anche perché di primo acchito, anche volendo considerare il tutto un “sogno” di Sherlock, l’impressione è che sia una semplice deriva sentimentale, fin troppo zuccherosa e un po’ triste, legata, come scrivevo, alle classiche dinamiche del cavaliere e la sua damsel in distress ormai trite e, oltretutto, anche deprecabili. Il tuo punto di vista getta una luce nuova su tutta la sequenza e sul lavoro di Moffat, e spero davvero che sia stata intesa così. Ad ogni modo, poco importa a questo punto. Se è possibile interpretarla in questo modo, se è plausibile, allora vuol dire che è anche vero. No?
Rivedi la sequenza, secondo me è tutto molto chiaro, sebbene l’affinità di contesto possa confondere. Rispetto al rapporto con la paura, anche questo più rivedo la sequenza e più mi convince, non escludendo ovviamente il lato più affettivo e ciò che Sherlock prova per John. La mente di Sherlock è annichilita dal demone Moriary, è giù negli inferi e il pensiero di poter salvare John, di poter essere importante per qualcuno (umanizzazione), per il suo best man, gli dà la forza per sconfiggere paure dalle quali sembrava ormai dominato e risalire in superficie. Tutto questo ovviamente non ha nulla a che fare col suo reale risveglio, che a giudicare dalle reazioni di tutti, specie di John, è un normale risveglio di chi è stato in terapia intensiva in ospedale.
Rispetto alla questione fratelli ho capito ciò che intendi, ma per me il fatto che questa cosa l’abbiano notata in pochissimi (anche nelle recensioni on line c’è poco o nulla) dimostra quanto il cuore della vicenda non sia marginalizzato, ma solo integrato da quest’enigma nascosto nelle pieghe della sceneggiatura (e delle immagini) accessibile solo a un certo tipo di utenti – e non è per fare lo snob, ma perché è realmente una delle qualità più importanti della serie quella di essere consapevole di aver a che fare con pubblici diversi, con utenti più e meno attivi.
Tutto ciò che dici sulla caratterizzazione di Sherlock rimane e rimane fondamentale perché la questione del fratello e degli indizi riguardo a CAM riguarda soprattutto Mycroft e CAM.
Questione 1: Mary spara a Sherlock.
L’interpretazione che ne dai tu, Attilio, ci può stare benissimo, del resto tutta la sequenza è fatta apposta per essere una metafora di ciò che Sherlock è veramente, di cosa è in grado di tenerlo attaccato alla sua stessa testa e persino alla sua umanità.
Sono convinta possa essere una spiegazione, non sono così convinta però che sia stata davvero quella l’intenzione, anche perché ce lo dice lo stesso Sherlock, se avesse aspettato l’arrivo dell’ambulanza 5 minuti dopo (con la chiamata di Watson, per intenderci) sarebbe morto. Se 5 minuti dopo sei cadavere, non ci vuole un medico per capire che 5 minuti prima sei GRAVISSIMO.
Il fatto di non vedere grandi preoccupazioni nel “dopo” io l’ho preso semplicemente come un non voler indugiare su tutto questo. Quindi, ripeto, l’interpretazione ci sta tutta ed è anche questo che rende l’analisi di una serie tv interessante, ma che sia stato esattamente così nelle intenzioni non mi convince del tutto.
Questione 2: Fratello
Che abbiano lanciato la frase sul fratello per farci arrovellare sulla soluzione è da bastardi e gliene diamo atto; chiaro è che da qui in poi ogni ipotesi andrebbe vagliata – la più dibattuta online è che il fratello sia Moriarty.
L’ipotesi di Attilio è sicuramente molto interessante, anche se c’è un dettaglio che sfugge a tutto questo: “I am not given to outbursts of brotherly compassion. You know what happened to the other one.” Ora, non so voi ma se io dico “non sono una che si lascia andare a compassione fraterna, sai cos’è successo all’altro” ci si immagina che sia stata IO a non essere compassionevole, ad aver fatto o non fatto qualcosa che abbia danneggiato “quell’altro”. Il che non è affatto vero, perché stando ai fatti Mycroft non ha responsabilità alcuna nella morte di CAM. (senza contare, ma questa è una cosa personale, che questa frase a me ha dato l’impressione di riferirsi al passato, non certo a qualcosa di appena accaduto)
Potrebbe certo riferirsi a “qualcos’altro” sempre riferito a CAM, magari legato al motivo per cui si è allontanato dalla famiglia – ma ci siamo già allontanati troppo, e questo più che terreno per illazioni diventa invenzione pura. Il “what have you done?” può avere quell’interpretazione, ma anche semplicemente essere lo sgomento davanti ad un fratello che si è macchiato di omicidio davanti a millemila persone, cosa che non mette Mycroft nella posizione di difenderlo neanche con tutto il suo potere. Insomma, non è proprio roba da poco eh nemmeno questa eh, e lo sgomento ci sta tutto pure così.
Secondo me il riferimento è un qualcosa che è messo lì per farci impazzire a elaborare teorie, ma che si rivelerà essere qualcosa di assolutamente impensato, magari – chi lo sa – tema della prossima annata. Per ora diciamo che questa interpretazione è sicuramente interessante, ma non mi convince fino in fondo.
Questione sparo.
Non solo secondo me visivamente è chiaro quale sia la realtà e quale sia la fonazione. Anche la questione legata all’ambulanza è coerente. Mary spara e lei stessa chiama l’ambulanza, prevedendo e calcolando tutto. John se la beve ed è tranquillo perché crede che l’ambulanza sia quella che ha chiamato lui. Sherlock sopravvive e tutti contenti.
Questione fratello.
Sicuramente questa è la cosa più spinosa. Ovviamente nella mia testa i due più accreditati sono stati CAM e Moriarty, ma poi per tutta una serie di segnali ho pensato che fosse CAM, tra questi il più determinante è sicuramente il cane Barbarossa, non solo perché per saperlo CAM doveva essere in casa di Sherlock da bambino o qualcosa del genere, ma anche per la reazione che Sherlock ha al solo sentirlo nominare. Ovviamente siamo alla speculazione pura, ma a me l’idea di questi tre fratelli superdotati, ciascuno con un suo livello di “disumanizzazione” piace.
questione sparo:
ma io infatti dicevo un’altra cosa. mary può essere il cecchino più bravo del mondo, ma c’è un potere che non può avere: far sì che una persona, che 5 minuti dopo potrebbe essere morta, 5 minuti prima stia benissimo!
io contesto di quello che dici il tuo “non era poi così grave come hanno voluto farci intendere”, perché se per parola dello stesso sherlock davanti a mary “con l’arrivo dell’ambulanza in ritardo di qualche minuto sarebbe morto” (e mary non lo smentisce di certo), qualche minuto prima non poteva certo non essere grave. è una cosa abbastanza logica, non c’entra né con le interpretazioni, né con sherlock a dirla tutta XD ma con l’essere umano.
questione fratello:
sicuramente ci può stare eh, ma se mi metto a fare l’avvocato del diavolo posso anche dire che per uno come CAM scoprire il nome del tuo cane da piccolo è tipo l’ultimo dei problemi. Di sicuro è bizzarro che ‘sto cane sia stato nominato un certo numero di volte in tre puntate, questo di sicuro.
Splendido articolo, e splendidi anche i commenti!
Sinceramente è da poco che vi seguo, ma adesso non posso fare a meno di leggere le vostre recensioni dopo ogni puntata vista.
Devo dire che sono davvero sorprendenti. Riuscite sempre a cogliere qualcosa in più.
Anche se devo dire che a volte siete un po’ troppo severi 😛