Cosa ne è stato degli immortali coniugi Blomquist dopo la notte più pirotecnica che Luverne abbia mai conosciuto? Ce lo dice un episodio al cardiopalma, che si affida tutto all’imprevedibilità di un racconto dagli esiti sempre più incerti.
La macchina da presa si fa lentamente largo negli stretti passaggi della cantina dei Blomquist, muovendosi nel labirinto costruito da giornali e copertine, emblema di sogni mai realizzati ormai chiusi in uno sgabuzzino a prendere polvere. Eppure è proprio in questi tortuosi passaggi che Peggy ha trovato la propria epifania e si è trasformata in ciò che ha sempre voluto essere.
Un po’ Coen, un po’ Tarantino, quest’ottavo episodio non solo costruisce forse il frammento più divertente dell’intera stagione, ma anche quello in cui la tensione fin qui vibrante del racconto trova la sua massima espressione. E lo fa raccontando una sorta di epopea di quelli che, a conti fatti, sono probabilmente i protagonisti assoluti di questa stagione: Ed e Peggy Blomquist, una coppia come tante che il fato ha voluto trascinare in una storia più grande di loro, una storia che, tra gangsters, fughe on the road, omicidi, rapimenti e rese dei conti, ha il sapore di uno di quei film hollywoodiani con cui Peggy ha sempre sognato ad occhi aperti.
Fargo ha già dimostrato di saper vivere di vita propria, nonostante sia nata su delle basi culturali e stilistiche radicate in una poetica già esistente e ben delineata. Coeniana fino al midollo, la serie ha saputo allargare però quegli stessi orizzonti a cui si è ispirata, trasformandosi in una satira sociale ancor più ad ampio spettro, che proprio nell’epica dei Blomquist, nata dal loro gesto di ribellione alla propria mediocrità, trova la sua rappresentazione più tagliente e tragicomica. Ed è in particolare Peggy, con la sua mente distorta e imprevedibile, a incarnare le contraddizioni di un mondo in sospeso tra ciò che vorrebbe essere e ciò che realmente è, e che solo nella perpetrazione della violenza come unica arma di rivalsa sembra saper trovare una propria identità.
L’episodio si districa del resto principalmente tra due storyline: la fuga di Peggy e Ed e l’inseguimento di Hanzee. Se nel primo caso, con i due coniugi che finalmente trovano la piena realizzazione di se stessi, abbiamo di fronte un’immagine distorta e comicamente assurda dell’american dream, la seconda va a toccare invece il valore del patriottismo a stelle strisce, che nasconde ancora il suo più bieco razzismo dietro le targhe di commemorazione alla strage degli indiani. Sono due mondi che si muovono parallalemente per incontrarsi solo alla fine e rivelarsi, uno di fronte all’altro, per ciò che realmente sono: il fallimento di una nazione costruita su valori finti, in cui patriottismo e razzismo convivono insieme e in cui l’american dream si traduce in una violenza quasi catartica.
È un’America, quella di Fargo, che sta iniziando a scendere lentamente nei meandri della propria follia; è un’America che ha fatto, del resto, di un attore il proprio Presidente, un Reagan metafora di un paese che fa della finzione la sua realtà, un po’ come la serie stessa, che si ispira a fatti accaduti, ma che in realtà non lo sono fino in fondo. Cos’è dunque vero, cos’è falso? Il macellaio e la parrucchiera di Luverne sono reali, o sono solo l’immagine finta di una quotidianità semplice e apparentemente felice che, però, dentro di sé, nasconde il germe di una violenza che si fa unica risposta ad un mondo dissociato tra la propria ambizione e la propria frustrazione? Fargo, in realtà, non è altro che un gioco ipercinetico che si muove nell’incertezza più assoluta, tra l’apparente eroismo della storia e la poca eroicità dei suoi sviluppi e dei suoi personaggi.
E in un mondo che si fa pubblicità dei sogni purché rimangano tali, o si fa vanto della propria multiculturalità a patto che si accetti di essere sottilmente umiliati, ecco che chi decide di realizzare se stesso, di cambiare, di trasformarsi e prendere in mano le redini della propria vita diventa improvvisamente una pedina impazzita. Nessuno finora ha fermato i Blomquist: ci ha provato la polizia, ci hanno provato i Gerhardt, ci ha provato la mafia di Kansas City, eppure sono ancora liberi di fare danno. Allo stesso modo, Hanzee ha rifiutato di essere un galoppino, decidendo di rimanere fedele a se stesso. Il risultato? Morti, rapimenti, ostaggi, in una girandola grottesca di sangue che rivela l’assurdo e il tragicomico del caos in cui un intero mondo sta letteralmente crollando.
È forse questo l’episodio più allegorico di Fargo, ma anche quello che tira le somme di un discorso politico e sociale che la serie ha saputo costruire con un disegno perfettamente orchestrato, in un crescendo di tensione degno del miglior cinema. E sul finale, quando finalmente queste anime sconfitte dell’America, questi due mondi paralleli, queste due espressioni del fallimento di un paese si incontrano, una speranza sembra accendersi: un taglio di capelli sembra portare una conciliazione, un’allenza per far ripartire le cose sotto una luce migliore, una pace mossa da un’umana compassione che solo chi ha guardato in faccia la propria mediocrità può comprendere.
Eppure, alla fine, questo sogno si infrange. Arriva la polizia, arriva l’America a riportare la situazione sotto controllo, a rimettere ognuno nei ranghi, ad arrestare coloro che hanno messo in discussione i suoi valori o che hanno provato un gesto anarchico di ribellione. La libertà e i sogni rimangono aspetti consentiti ma da tenere a bada in una società solo apparentemente democratica, ma in realtà opprimente. Ed ecco così che la forbice finisce per tagliare l’aria, quel gesto che stava per concretizzarsi svanisce mentre i capelli di Hanzee lentamente scorrono sulle lame, ponendo fine ad un sogno che mai si realizzerà. Si potrebbe discutere di qualche forzatura sulla trama, ma avrebbe poco senso: Fargo è vicino alla conclusione, ma è anche vicino al proprio apice, in un cammino che si è sempre mosso ad altissimi livelli.
Voto: 9,5
“macelliere” ?
Scusa, è stata una nostra svista. Grazie per la segnalazione, abbiamo corretto.
Ennesimo episodio immenso. Onestamente, non ho più parole per i livelli di questa stagione
A mio giudizio, la serie migliore di quest’anno. Regge il confronto con il film a cui si ispira e ne dilata il piacere per dieci ore. Un miracolo, praticamente.
Grande stagione, episodio spassosissimo. Però:
– per quanto pazza Peggy rivela quasi per intero la posizione del suo nascondiglio?!?
– Dodd ha il tempo di preparare un cappio, ma non quello di finire Peggy?!?
La sospensione dell’incredulità in questo episodio è stata messa a dura prova