Si è detto tante volte: questo preciso momento storico è il più prolifero in assoluto per quanto riguarda la produzione di serie tv. Tra le tante proposte arriva infatti la prima, strana stagione di Dirk Gently’s Holistic Detective Agency, prodotto sicuramente inedito ma con alle spalle dei nomi molti importanti, sia nella creazione che nella produzione.
Come già ampiamente descritto per il pilot, la serie è liberamente tratta dal ciclo di romanzi di Douglas Adams, autore di culto e che ha affascinato una generazione con il suo romanzo più importante (ampliato in una serie di libri dall’autore stesso e diventato film solo dopo la morte di Adams), “Guida Galattica per Autostoppisti”. L’enorme capacità dell’autore di creare mondi assurdi in cui circolano personaggi strampalati e che agiscono senza nessuna logica si ripete anche per le gesta di Dirk Gently, detective olistico iper-british, che trascinerà inevitabilmente con sé altri personaggi che lo affiancheranno nelle sue avventure attraverso lo spazio ed il tempo.
Perché se ci sono cose che proprio non possono mancare nel mondo di Adams, e tantomeno in un suo riadattamento, sono i viaggi nel tempo, che in questo caso si trasformano in un unico loop temporale in cui Todd, un ingenuo e inizialmente sprovveduto facchino d’albergo, si ritrova a viaggiare. Soprattutto nei primissimi episodi, la sensazione di caos regna sovrana: tutto parte dalla scelta randomica di Dirk di eleggere Todd suo assistente e da lì parte l’avventura di una strana coppia di sconosciuti che cerca di venire a capo di quanto successo nella stanza d’albergo in cui quest’ultimo lavorava. Così come per Dirk tutto il mondo è caos ma ogni circostanza è connessa all’altra, nello stesso modo ci vengono presentati Seattle, gli eventi che precedono e seguono l’omicidio al centro dell’investigazione e i personaggi che a mano a mano entrano in scena: nel modo più confuso e apparentemente sconnesso possibile. In questo senso, se l’iniziale momento di sconforto viene dall’incapacità di comprendere cosa stia davvero succedendo, dobbiamo immaginare che sia del tutto normale, perché il bello di questa serie non viene (solo) dalla logica sottostante o dal mettere insieme i pezzi, ma dal riuscire a godersi l’assurdità che sorprendentemente prende forma e vita in un percorso fatto di vecchie verità e nuove amicizie.
Infatti fino al quarto episodio, “Watkin” (forse il più bello della stagione), vediamo il proliferare di tante storyline con al centro altrettanti personaggi, magari soli, in coppie o anche in gruppo, ma che non sempre palesano come o quando potrebbero venire in contatto ed inserirsi nella storia principale. Perché anche in questo senso non abbiamo certezze: siamo davvero sicuri che sia un “semplice” massacro in una stanza d’hotel ad essere il caso a cui stanno lavorando Dirk e Todd? Ovviamente no, e la storia che viene fuori è ben più grande di quanto i due potevano inizialmente immaginare. La struttura della serie assomiglia ad un gigantesco puzzle, tanti pezzi che vanno connessi tra loro – come giustamente mostra l’immagine che apre la sigla di ciascun episodio; ogni pezzo della storia troverà forse il proprio posto in una sorta di assemblaggio finale, ma l’unico modo per arrivarci sarà costruire la propria fiducia nell’altro e verso la teoria olistica, ovvero nell’abbandono di sovra-strutture logiche che ingabbiano e non permettono di vagare. Perché in fondo la soluzione starà proprio nella capacità di saper cogliere, ad occhi nudi, i dettagli che senza l’aiuto di un assistente rimarrebbero invisibili (o sotterrati).
E senza questi dettagli, il caso investigativo rimarrebbe irrisolto. Accanto al duo protagonista, ci sono infatti tanti personaggi fondamentali che li aiuteranno a portare a termine la missione: innanzitutto Farah Black, guardia del corpo di Lydia Spring, figlia di Edgar Spring, il ricco e misterioso multimiliardario trovato morto nella famosa stanza d’albergo, e Amanda, sorella di Todd e affetta da pararibulite. Ed è propio intorno al mistero di Edgar Spring (cui dà il volto l’indimenticato dott. Troy di Nip/Tuck, Julian McMahon) che si scoprirà ruotare tutto, in un enorme e a volte complicato gioco di scambi d’identità, o meglio, di anime, che un losco gruppo di individui riesce a portare a termine grazie ad una macchina fino a poco tempo prima venerata come una reliquia sacra. La seconda metà di stagione è infatti maggiormente compatta e godibile proprio perché il percorso metaforico e reale che nasceva nel lontano 1886 (come si vede nella sesta puntata, “Fix Everything”) riesce finalmente ad emergere, e la fiducia nelle fondamentali connessioni del mondo – e in Dirk Gently – vengono ampiamente ripagate.
Ogni subplot nel proprio piccolo, infatti, acquista senso, anche se magari non sempre precisissimo. L’assassina olistica Bart e il suo ostaggio Ken hanno unito le loro strade nella convinzione della donna per cui è il destino a mostrarle chi uccidere, tanto da venire ferita solo quando fugge a questa macro-legge universale; il gruppo dei Rowdy 3, a sua volta seguito da imbranati agenti dell’FBI, vaga seguendo i sentimenti di altri e per alimentarsi con le loro anime, e trova le migliori prede in chi vive intensamente la rabbia, la paura, l’ansia. Se questi due gruppi con le loro storyline torneranno sicuramente, ai fini del racconto che si chiude con questa prima stagione sono fondamentali anche altri personaggi: altri ranghi dell’FBI, i due integerrimi poliziotti Estevez e Zimmerfeld, che per primi hanno avuto tra le mani la “vera” Lydia, e soprattutto la rete criminale di Gordon Rimmer, colpevoli del rapimento della ragazza e del temporaneo trasferimento della sua anima nel corpo di un cagnolino. Questi infatti saranno i pezzi per ricostruire gli avvenimenti e portare Dirk e Todd a rimettere insieme le macchine di Spring, senza le quali non sarebbero riusciti ad anticipare il futuro tornando nel passato.
La serie è stata già rinnovata per una seconda stagione che molto probabilmente entrerà nel vivo dell’azione e vedrà finalmente nascere l’agenzia olistica di Dirk Gently, finanziata indirettamente da Edgar Spring per intercessione di Farah. Per quanto ci siano alcuni elementi che rimangono sospesi alla fine di questi otto episodi, la speranza non è quella di trovare delle spiegazioni a quanto visto, ma che che una volta entrati nella non-logica dell’universo realizzato da Mark Landis, riusciamo ancora di più ad apprezzare una storia che è allo stesso tempo puramente distopica e puramente fantasy – cioè inclassificabile in un solo genere, così come lo erano le opere del suo primo creatore.
Un’ultima cosa: vedere Dirk Gently’s Holistic Detective Agency con la convinzione di essere davanti a qualcosa di celebrale o a cui partecipare provando a risolvere un enigma è l’approccio più faticoso che si possa avere; il consiglio è godersi il viaggio ed invidiare anche un po’ la capacità di accettazione di Dirk Gently per cui le cose accadono e che, anche se non lo vediamo subito, hanno sempre un senso che va ben al di là della semplice somma delle cose.
Voto stagione: 7½
Serie fantastica, una sorta di Utopia più scanzonata. Grazie della segnalazione, Sara.
Ragazzi ma questa serie è fantastica! Talmente surreale, grottesca e assurda! I personaggi sono tutti giusti e la trama avvincente. Non sarà originale il loop del tempo però in questo contesto va benissimo. Perché voi di seriangolo l avete fatta passare così in sordina?