Easy – Quando il cinema indipendente incontrò Netflix 2


Easy – Quando il cinema indipendente incontrò NetflixCosa succederebbe se il cinema indipendente, in una delle sue espressioni più discrete, si aprisse alla più di massa delle piattaforme streaming? Il risultato, Easy, è una commedia fresca e intelligente, che ci regala, per la semplicità del suo compromesso, l’ennesima interessantissima novità fra le proposte Netflix.

Da una parte, quindi, Netflix, che, nel campo della commedia, ci aveva già riservato due piacevolissime sorprese quali Love e Master of None e che, nello sforzo sempre più teso di diversificare la sua proposta per adattarsi ai gusti del più vasto pubblico possibile, corteggiava da tempo anche il pubblico di nicchia, tanto da dedicare al cinema indipendente un’intera voce del suo menù.
Dall’altra il mumblecore che (riassumiamo in poche righe) altro non è che una fetta del cinema indipendente che rispetta le scelte di basso profilo e bassissimo budget del genere indie prendendo in prestito dalla Nouvelle Vague la non artificiosità di recitazione e ambientazioni, dal Dogma 95 di Von Trier&friends la sobrietà registica e dell’accompagnamento sonoro, e dal recente videofilming una flessibilità di scrittura che scivola spesso e volentieri nell’improvvisazione. Dal punto di vista tematico, il genere ha sempre cercato inoltre di mettere in luce – in una luce soffusa – i problemi relazionali e logistici degli young adult (così gli americani definiscono la generazione fra l’adolescenza e l’età adulta).

Easy – Quando il cinema indipendente incontrò NetflixNe risulta una serie di otto episodi brevi, ognuno dei quali segue le vicende sentimentali di una coppia e di eventuali terzi che vi orbitano intorno: abbiamo, così, la coppia matura dalla vita sessuale ormai assopita, il sesso occasionale che si trasforma pian piano in qualcosa di più stabile, la fase della dolce (?) attesa, il passato che torna a minare gli equilibri presenti, la rottura e ciò che segue al termine di una relazione. Fa da sfondo un’odierna Chicago che fra pub, garage, gallerie d’arte, Millennium Park e diverse camere da letto offre alla macchina da presa una buona varietà di ambienti interni ed esterni.

Joe Swanberg, uno dei padri del mumblecore, è qui alle prese con la sua prima personalissima creatura telefilmica (è, infatti, produttore esecutivo, sceneggiatore e regista di ogni episodio della serie), in seguito, tuttavia, a non pochi contatti con il mondo della televisione: aveva collaborato, nella pellicola Hannah Takes the Stairs, con Lena Dunham, regista, sceneggiatrice e principale interprete di Girls; diretto un episodio del sopracitato Love di Judd Apatow e diverse puntate di Looking di Andrew Haigh. Il tutto avvolto dall’atmosfera amichevole e conviviale che si respira fra i registi indipendenti e con il fare dimesso di cui solo il genitore di un sottogenere di un sottogenere può dirsi capace.

Easy – Quando il cinema indipendente incontrò NetflixLa collaborazione con Netflix apre, così, a Swanberg le porte del “grande pubblico” e da queste porte entrano anche tutte le strizzatine d’occhio e imposizioni più o meno soffocanti sul piano artistico che generalmente accompagnano il prodotto mainstream. La vera sorpresa è che la matrice indipendente di Easy non solo si intreccia perfettamente con le tempistiche frenetiche e i parametri formali della piattaforma, ma trae anche dal sodalizio un considerevole giovamento: gli episodi, visti i costi ridotti e la flessibilità registica, possono venir girati in tempi brevissimi (all’incirca una settimana a puntata); la scelta semi-antologica, ormai consolidata dal successo di altri prodotti Netflix per il modo tutto particolare che ha di flirtare con il binge-watching, fa della visione un’operazione più leggera per lo spettatore rispetto a quelle più impegnative richieste da alcuni lungometraggi del genere (Funny Ha Ha o The Puffy Chair, per fare due esempi) e permette di trattare con più efficacia il tema scelto in tutte le sue declinazioni; inoltre, l’uso essenziale dell’improvvisazione, coinvolgendo direttamente gli attori nella scrittura e invitandoli a riversare molto del loro vissuto nel personaggio, dà vita ad una caratterizzazione tutta particolare e permette a Swanberg di concentrarsi su un’altrettanto particolare operazione di montaggio – discreta, dissimulante. Ogni attore, o coppia di attori, informa così l’episodio e tale dinamica risulta ancor più interessante alla luce delle diverse partecipazioni, non per forza di basso profilo, che la serie conta: Dave Franco (il fratello minore di James), Orlando Bloom (The Lord of the Rings, Pirates of the Caribbean, Elizabethtown), Elizabeth Reaser (Sweet Land, Grey’s Anatomy, The Twilight Saga), Emily Ratajkowski e comici come Marc Maron e Hannibal Buress.

Easy – Quando il cinema indipendente incontrò NetflixA livello tematico, Easy tratta principalmente – da bravo mumblecore –, ma non solo, dei problemi relazionali degli young adult nell’epoca della loro riproducibilità tecnica: ruoli genitoriali invertiti, veganesimo, start-up, threesome tramite Tinder, rotture su Skype, arte giovanissima fatta di selfie e video youtube. I personaggi di Easy si muovono in un mondo che potremmo quasi definire “post-tecnologico” nel senso di un approccio alternativo al tecnologico – forse leggermente critico verso una tendenza iper-problematizzante nei confronti di una realtà che il più delle volte fa comodamente, semplicemente, parte del nostro quotidiano. L’uso delle tecnologia è, qui, un tratto che fa già parte del nostro quotidiano e che ha già modificato il nostro modo di sentire e di interagire ed è, perciò, affrontato con toni più descrittivi che ipotetici. Swanberg ci parla del nostro stesso universo, di cui però, in un certo senso, non abbiamo ancora avuto modo di costruirci un immaginario cinematografico abbastanza consistente da farcelo riconoscere quando ci viene presentato su uno schermo. L’impressione di realismo che ne deriva somiglia così alla piacevole sensazione di assistere a qualcosa di nuovo e allo stesso tempo di ben conosciuto, che fa sì che il (tele)filmico sembri svelarci la nostra stessa realtà.

Easy – Quando il cinema indipendente incontrò NetflixLa serie recupera, in questo senso, la funzione sociale del racconto (insieme all’engagement del cinema indipendente), capace di metterci in contatto con realtà alternative alla nostra e di aumentare così le nostre possibilità di esperienza e di comprensione. Era già successo con Looking per quanto riguarda l’universo gay o con Master of None, portavoce delle vittime di razzismi meno mainstream. Quest’intenzione non può, con ogni probabilità, che felicitarsi del contatto con il “grande pubblico” garantito da Netflix: realtà marginali o non così presenti nell’universo televisivo come il veganesimo, l’immigrazione spagnola negli States o le nuove dinamiche relazionali delle coppie adulte si fanno così spazio, a colpi di toni discreti e non per forza urlati, nelle nostre coscienze di spettatori.

Easy – Quando il cinema indipendente incontrò NetflixMescolando abilmente i tratti del mumblecore al format televisivo tipico della piattaforma streaming, Swanberg riesce, insomma, a creare una serie dai toni sinceramente realistici, se a “realismo” vogliamo dare il significato di uno sforzo descrittivo quanto più possibile aderente al sentire contemporaneo. I black mirrors che ci circondano non sono più i nerissimi schermi disumanizzanti delle distopie tanto in voga negli sci-fi recenti ma normalissimi oggetti della nostra quotidianità, così come quotidiane e umanissime sono le difficoltà alle prese con le quali vengono ritratti i personaggi della serie – e come tali ci vengono raccontate. Easy, per la sua struttura un po’ “disorganizzata” e i suoi toni dimessi, potrebbe non apparire come un prodotto adatto ad ogni sorta di pubblico, ma chi si volesse concedere qualche minuto di visione scoprirà, forse, la commedia fresca e curiosissima che va a formare insieme a Love e Master of None un trittico imprescindibile della commedia firmata Netflix.

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Informazioni su Irene De Togni

Nata a Verona, ha studiato Filosofia a Padova e Teoria letteraria a Parigi. Non simpatizza per le persone che si prendono troppo sul serio ma le piacerebbe che le serie TV venissero prese un po’ più sul serio (e ora che ha usato due volte l’espressione “prendersi sul serio” non è più sicura di quello che significhi).


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2 commenti su “Easy – Quando il cinema indipendente incontrò Netflix

  • Genio in bottiglia

    Interessante prodotto, gli episodi 6 e 7 sono quelli cho preferito: la 6 perché, nonostante il contesto è parsa mettere in scena la coppia perfetta, nella situazione (parere di maschietto, eh eh) perfetta; la 7 perché raramente ho visto descritto il doloroso momento della separazione in modo tanto lucido. Complimenti per la recensione, Irene.

     
    • Irene De Togni L'autore dell'articolo

      Grazie, Genio in bottiglia!
      L’episodio 6 in particolare (il titolo dell’episodio, non a caso, è “Utopia” 😉 ) mette in scena la convivenza innocua e felice con la tecnologia che fa la freschezza della serie.