The Americans – 5×13 The Soviet Division 7


The Americans - 5x13 The Soviet DivisionCon “The Soviet Division” The Americans giunge alla fine di un’annata molto controversa, che sin dal primo episodio aveva manifestato qualche crepa all’interno del suo modus narrandi. Nel corso delle puntate è diventato sempre più chiaro, infatti, che questa stagione avrebbe puntato molto, se non tutto, sullo sviluppo dei personaggi e poco sulla parte storica e sull’azione, e questo ha avuto delle innegabili ripercussioni su tutto il racconto; l’andamento altalenante dell’annata si rispecchia interamente in questo finale, che mette in scena pregi e difetti di questi ultimi episodi.

La decisione di Weisberg e Fields di concentrarsi su un’impostazione più “character-driven” che “plot-driven” ha avuto l’inevitabile conseguenza di appesantire un racconto che già di per sé ha sempre avuto una natura lenta e riflessiva, ma che in passato riusciva a sfruttare proprio questa caratteristica per aumentare la tensione tra le parti in gioco – alternando approfondimenti psicologici a potenti scossoni alla trama, che fosse per una missione dei Jennings o una svolta nelle indagini di Stan. Il bilanciamento tra le parti, insomma, è ciò che negli anni ha fatto la fortuna della serie ed è ciò che più è mancato in questa annata: a fronte di un lavoro di analisi dei personaggi minuzioso fino al dettaglio, e di cui la coppia Elizabeth-Philip ha beneficiato più di tutti, non c’è stata un’evoluzione della storia altrettanto forte, con un peggioramento dato da quelle storyline (Oleg, Stan, il figlio di Philip) che semplicemente non sono state in grado di appassionare se non per alcuni brevi istanti.
Questo finale manifesta in modo piuttosto evidente questa dicotomia, non a caso dividendosi proprio a metà: ad una prima parte esemplificativa dei difetti della stagione (complice anche uno sviluppo del tema non adatto ad un season finale, come vedremo), si oppone una seconda parte strettamente legata all’evoluzione dei personaggi principali, al tema della stagione (la perdita parziale di fede nelle rispettive cause) e alla sorte, che intrappola proprio quando si è presa la consapevolezza di poter finalmente cambiare.

“I mean, Tuan’s tough, but he’s just a kid.”
Like we were.”

The Americans - 5x13 The Soviet DivisionLe conseguenze del comportamento di Tuan rendono evidente quanto tutta la storyline di Pasha e della sua famiglia fosse anch’essa strettamente funzionale ad una maggiore caratterizzazione dello sviluppo dei Jennings: la scelta di Philip di intervenire davanti alla decisione presa da Tuan ha infatti il duplice scopo di mostrare non solo che il ragazzo, agendo in modo solitario, rischia di non saper trovare un limite, ma anche quanto gli stessi Jennings non siano più disposti a mettere in pericolo chicchessia solo per raggiungere il loro scopo. Il concetto viene sottolineato – ora in modo coerente, ora in modo fin quasi didascalico – mescolando tra di loro le idee di famiglia (quella dei Jennings, ma anche quella di Evgheniya e Alexei, che finirà col separarsi), di coppia come supporto (e in questo caso di come una persona come Elizabeth sarebbe diventata identica a Tuan, se non fosse stato per Philip) e in generale di una vita che non può essere affrontata da soli: a tal proposito, la terza e ultima apparizione di Martha acquisisce un senso proprio come foriera di speranza, anche laddove sembra impossibile.

Significativa della scelta di non portare avanti minacce evidenti nella stagione è proprio una sequenza di questa puntata, in cui il pericolo incarnato dall’uomo della sicurezza governativa davanti a casa di Alexei si scioglie come una bolla di sapone una volta arrivati da Claudia: un solo accenno al fatto che la cosa non costituisca più un problema basta ad archiviare una questione che, in altri tempi, avrebbe forse avuto un approfondimento, una tensione e un coinvolgimento di gran lunga maggiori. Qui invece tutta l’attenzione è riservata alla solitudine e alle sue conseguenze, che accomunano le diverse storyline in modo apprezzabile, ma molto tradizionale, in definitiva in maniera poco adatta ad un finale di stagione.

Oh I’ve finally decided my future lies beyond the yellow brick road.
– Goodbye Yellow Brick Road – Elton John

La consapevolezza che non essere da soli ma essere in coppia, in famiglia, sia l’unica cosa che davvero conta, porta i Jennings a passare dai pensieri ai fatti: se prima l’idea di tornare a casa era appunto solo un’idea, ancora da chiarire in relazione alle conseguenze soprattutto sui figli, ora i dubbi sono scomparsi e si passa alla parte pratica e organizzativa. “That’s it then. We’re going” è la frase che dà il via alla presa di coscienza di una partenza ormai decisa, di un cambiamento che preoccupava entrambi soprattutto per Paige ed Henry, ma che invece esplode in tutta la sua potenza anche verso loro stessi, a ricordarci come, volenti o nolenti, anche Elizabeth e Philip dovranno abbandonare molto, anzi, tutto ciò che hanno costruito negli ultimi anni, per poter tornare a casa.
Il montaggio sulle note di “Goodbye Yellow Brick Road” si posiziona esattamente a metà episodio e costituisce senza dubbio uno dei migliori segmenti musicali di tutto The Americans, non solo per la perfetta adesione tra lo stato emotivo dei personaggi e la canzone (sia a livello musicale che testuale), ma anche perché per la prima volta i tre personaggi che ne sono protagonisti acquisiscono una consapevolezza nuova di cosa stanno lasciando per sempre, materialmente o spiritualmente.

The Americans - 5x13 The Soviet DivisionPhilip e la sua crisi sono stati a lungo protagonisti della serie, che non ha mai fatto mistero dell’apprezzamento dell’uomo per l’America sin dal pilot; ma qualcosa su cui questa stagione ha davvero posto l’attenzione è stato il suo rapporto con l’uomo americano per eccellenza, Stan, che è negli anni diventato a tutti gli effetti il suo migliore amico. Sebbene sia stato difficile mantenere questa amicizia stando da parti opposte della barricata, è diventato col tempo devastante quando si è insinuato nella mente di Philip il dubbio su Renee: la stagione ha non a caso riproposto spesso la questione, finanche in questa puntata, in cui la preoccupazione si sposta perfino su eventuali figli dei due. Il senso dell’amicizia a cui Philip rinuncerebbe si percepisce tutto in quella scena in palestra, in cui innanzitutto il suo ruolo viene sostituito da un’altra persona, ma soprattutto da una su cui grava un dubbio terribile – che peraltro non viene sciolto, ma anzi alimentato, durante il confronto tra Renee e Stan.

Ad Elizabeth viene dedicato un montaggio quasi inaspettato, persino per una persona che è così cambiata come lei: l’attenzione al dettaglio della sua “american way of life”, vista da sempre come qualcosa a cui ha aderito per necessità di mimetizzazione ma che ha anche profondamente osteggiato, diventa qui un sorprendente momento nostalgico, una eco anticipata di quello che proverà quando, una volta tornata a casa, tutto ciò che ha avuto fino a quel momento – le comodità, ma anche semplicemente le cose con cui si è abituata a vivere – non ci sarà più. È un addio del passato quello dei due Jennings, che sottolinea in modo definitivo, con la sofferenza sottostante a questa scelta, quanta convinzione ci sia nel voler davvero tornare in Russia; e sottolinea soprattutto la crudeltà della sorte, che proprio ora – come vedremo – porta loro l’occasione della vita, ma nel momento più sbagliato della loro vita stessa.

The Americans - 5x13 The Soviet DivisionTerza protagonista del montaggio è Paige, il cui cambiamento è stato centrale in questa annata. Il suo è un addio diverso, essendo lei totalmente all’oscuro dell’imminente partenza; è un addio a una se stessa che con ci sarà più, ad un’innocenza che non tornerà per il semplice fatto che ora sa troppe cose e che ha deciso di agire di conseguenza. Non è più la ragazzina che può permettersi, come suo fratello Henry, di continuare a studiare senza sentire con preoccupazione le notizie alla tv – soprattutto se si tratta del famoso “scherzo” di Reagan.
La sua acquisizione di sicurezza, dopo mesi di allenamenti, la porta a tornare sulla “scena del crimine”, quella in cui aveva scoperto un lato di sua madre che non aveva mai immaginato, e che ha dato il via alla sua trasformazione; questa evoluzione va di pari passo con un indurimento che la conduce ad abbandonare le vecchie convinzioni (“I’m not interested in the church-y stuff anymore”) con una nuova consapevolezza di ciò che invece vuole continuare a fare (lavorare per la mensa), ma anche ad accettare come normale una ferita come quella inferta involontariamente dalla madre, vista come un “danno collaterale” inserita in uno scopo ben più grande.
La melodia nostalgica di una canzone che già di suo definiva da una parte l’addio all’innocenza e alla spensieratezza, dall’altra l’addio al mondo di Oz (a cui si riferisce la famosa strada dei mattoni gialli) e quindi il ritorno al Kansas – a casa – completa un discorso che riesce in pochi minuti a dire molto di più che in tutto il resto dell’episodio.

“We’re allowed to have a life.”
“I can’t. I just can’t.”

The Americans - 5x13 The Soviet DivisionLa scoperta della promozione del padre di Kimmy a capo della Soviet Division è una bomba che esplode con un tempismo quasi fastidioso, se non fosse che è proprio quel pessimo tempismo a sottolineare la drammaticità della condizione dei Jennings, che si vedono portare via la possibilità di fuga solo dopo averla davvero abbracciata, e da nessun altro se non dal loro stesso senso del dovere. È una scelta devastante, che forse non ottiene su schermo la rappresentazione più giusta a causa di una rapidità e di un sincretismo formale del dialogo tra marito e moglie che affatica lo spettatore, e che rende troppo fulmineo il cambio di rotta da parte dei due.
Ciò che ad ogni modo trapela in quel breve scambio è quanto entrambi siano stremati eppure profondamente cambiati: l’estrema devozione alla Causa di Elizabeth viene accettata con comprensione da Philip, e la crisi di quest’ultimo porta la donna a dire frasi che mai le avremmo sentito dire fino a una stagione fa – “I’m making you stay. And it just keeps getting worse for you. I don’t want to see you like this anymore.”. Ciononostante si può solo trovare un compromesso, lavorare con Kimmy e basta, ma non si può prescindere da questo compito: la loro legge morale e i loro ideali sono più forti di qualunque altra cosa ed è per questo che l’essere di nuovo bloccati li porta in una condizione formalmente simile a quella di inizio stagione, ma completamente diversa da un punto di vista sostanziale e soprattutto emotivo.

Non c’è fuga da questo mondo, neanche volendo: e in quest’ottica si inserisce il sinistro invito di Renee a Stan per rimanere nell’FBI nonostante lui non condivida più interamente il lavoro svolto in quei termini. Come i Jennings durante la stagione hanno avuto sempre più motivi per allontanarsi dai modi del KGB (la storia del grano, quella del virus Lassa e la vicenda di Natalie/Anna), così anche Stan ha maturato la convinzione che non basta credere in qualcosa per dare libero sfogo a qualunque strumento; in un certo senso potremmo dire che anche Oleg abbia avuto un percorso simile, ma purtroppo la stagione è stata con lui molto ingenerosa, producendo una storyline che ha abbattuto in più occasioni la buona riuscita di intere puntate.

Si chiude così, in modo coerente con gran parte dei restanti dodici episodi, una quinta stagione sottotono, ma non per questo priva – esattamente come questo finale – di picchi di scrittura altissimi, che hanno il sapore dolce-amaro di tutto ciò che The Americans può fare e che in questa quinta annata è stato raggiunto solo parzialmente. L’idea di Weisberg e Fields di gestire questi episodi in modo molto diverso rispetto al solito ci offrirà di sicuro personaggi più strutturati per la sesta e ultima stagione, ma non potrà che passare alla memoria come la parte più dimessa dell’intero racconto fino a qui. Non ci rimane che sperare in una conclusione che sappia ritrovare la perfetta alchimia tra le due parti, che The Americans ha quasi sempre mostrato di avere e che deve obbligatoriamente ritrovare.

Voto episodio: 7/8
Voto stagione: 7+

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Informazioni su Federica Barbera

La sua passione per le serie tv inizia quando, non ancora compiuti i 7 anni, guarda Twin Peaks e comincia a porsi le prime domande esistenziali: riuscirò mai a non avere paura di Bob, a non sentire più i brividi quando vedo il nanetto, a disinnamorarmi di Dale Cooper? A distanza di vent’anni, le risposte sono ancora No, No e No. Inizia a scrivere di serie tv quando si ritrova a commentare puntate di Lost tra un capitolo e l’altro della tesi e capisce che ormai è troppo tardi per rinsavire quando il duo Lindelof-Cuse vince a mani basse contro la squadra capitanata da Giuseppe Verdi e Luchino Visconti. Ama le serie complicate, i lunghi silenzi e tutto ciò che è capace di tirarle un metaforico pugno in pancia, ma prova un’insana attrazione per le serie trash, senza le quali non riesce più a vivere. La chiamano “recensora seriale” perché sì, è un nome fighissimo e l’ha inventato lei, ma anche “la giustificatrice pazza”, perché gli articoli devono presentarsi sempre bene e guai a voi se allineate tutto su un lato - come questo form costringe a fare. Si dice che non abbia più una vita sociale, ma il suo migliore amico Dexter Morgan, il suo amante Don Draper e i suoi colleghi di lavoro Walter White e Jesse Pinkman smentiscono categoricamente queste affermazioni.


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7 commenti su “The Americans – 5×13 The Soviet Division

  • Setteditroppo

    Recensione perfetta e del tutto appagante. Non hai lasciato neanche le briciole per i commenti! E allora commento il futuro! Ho avuto l’impressione di un finale di stagione che ci abbia preparati ad un possibile salto temporale. Infatti la fine provvisoria di diversi filoni del racconto lascia pensare. Stan e Renee ormai stabilmente insieme; Paige ormai pienamente consapevole della situazione e non più a disagio; il pastore che ormai se ne va felicemente lontano; e soprattutto Elizabeth e Philip ormai costretti a restare negli Stati Uniti ancora a lungo. Intanto Gorbaciov è alle porte. Da quale momento della storia con la S maiuscola riprenderanno?

     
    • Genio in Bottiglia

      Ipotesi interessante e pienamente plausibile. Recensione perfetta ed esaustiva. Si è seminato quest’anno. Si è trattato senza dubbio della stagione. meno convincente della serie. Dovremmo coglierne i frutti l’anno prossimo.

       
      • Federica Barbera L'autore dell'articolo

        Grazie a entrambi! Le ipotesi sono diverse, credo che un salto temporale sia plausibile, ma non un salto enorme, ecco. Magari un salto di pochi mesi, come quello a cui abbiamo già assistito nella 4×08. Ovviamente, con Gorbaciov in arrivo, le cose si faranno decisamente più interessanti di questa stagione, però a questo punto chissà come decideranno di approcciarsi alla Storia. Se c’è una cosa che questa annata, con pregi e difetti, ci ha insegnato è che è davvero difficile prevedere il corso degli eventi!
        Sono curiosissima di vedere l’evoluzione di Paige e anche se e come Henry entrerà a far parte di tutta questa storia.

         
  • Paolo

    È del tutto condivisibile la tua recensione. Con questa 5° stagione The Americans ha tirato il fiato, e si è avvitata su un percorso intimo e riflessivo al massimo grado. Di certo non ha nuociuto, non del tutto, ma ha lasciato un po’ di amaro in bocca a chi si era abituato ai sentieri adrenalitici delle precedenti stagioni. Anche se ha poco senso anche il solo raccontarlo……in alcuni momenti, quelli più significativi, mi è sembrato di cogliere (per la 6° stagione) il cupo addensarsi di un finale che non vedrà la famiglia Jennings ancora unita, nella sospirata Rodina, e con negli occhi un radioso futuro.

     
    • Federica Barbera L'autore dell'articolo

      Purtroppo temo anche io che il finale sarà tutto fuorché felice. Proprio questa puntata ci ha raccontato meglio di qualunque altra la trappola dentro cui sono inseriti i Jennings, e se questo funziona da presagio possiamo dire che non ci sia davvero possibilità di fuga. È quasi impossibile prevedere cosa accadrà, ma la sensazione di certo non è positiva.

       
  • jacob

    stagione un po’ meh.
    Per me è stato gestito malissimo, e lo dico fin dall’inizio della serie, Henry.
    Quasi un jolly che appare e scompare alla bisogna. E’ sempre comodamente dagli amici quando non serve per qualche scena spot di 10 secondi.
    Faccio fatica a comprendere l’atteggiamento di Philip verso un figlio con cui, di fatto, non ha un rapporto perchè proprio non si vedono.
    Figlio che a quanto pare è un genio, ma non si accorge di nulla di quello che avviene in casa. Perchè non per dire, ma se mia madre e mia sorella si allenassero in arti marziali nel garage di casa, son sicuro che qualcosa noterei (eufemismo).
    Ero partito con grandi speranze con Oleg, soprattutto dopo il quasi incontro con Martha.
    Altra menzione merita la questione dell’altro figlio di Philip che dopo aver attraversato il mondo rischiando tutto il possibile, torna a casa dopo una … chiacchierata e… scompare dalle scene….
    Poi, con il passare delle stagioni, è venuto anche meno ogni rischio di essere presi: nessuno cerca più “gli illegali”.