Superata ormai la metà della stagione, il caleidoscopico ritorno di Lynch e Frost sul piccolo schermo si fa sempre più coeso e organico, sia dal punto di vista prettamente narrativo – grazie al lento avanzare e convergere delle diverse storyline – che da quello tematico, a dimostrazione di come lo sperimentalismo e le peculiarità del linguaggio lynchiano siano sostenuti da scelte molto più calibrate di quanto lo spettatore più scettico potrebbe superficialmente pensare. A essere emblematico di questo duplice binario dell’evoluzione del racconto è innanzitutto il segmento ambientato a Twin Peaks, diviso tra le vicende che riguardano quella che scopriamo essere la famiglia Briggs e le indagini di Truman e Hawk.
I hate him.
Fin dalla sua prima apparizione Becky, complici le fattezze e l’atteggiamento del suo personaggio, è stata accolta come una novella Laura, ma man mano che la sua storia acquisisce corpo appare sempre più evidente come il discorso intessuto da Lynch e Frost sia molto più ampio e complesso e vada a investire in toto la loro peculiare rappresentazione della donna. Partendo proprio da Laura, indiscutibile cuore pulsante della serie anche in questo suo Ritorno, è possibile infatti individuare un sottile filo rosso che unisce tutti, o quasi, i personaggi femminili dello show: se alla luce degli eventi di Fire Walk With Me (i cui collegamenti con The Return si fanno sempre più stringenti) la morte di Laura può essere vista, oltre che come modo per non farsi possedere da BOB, anche come un disperato atto di ribellione nei confronti degli abusi del padre, ecco che la sua parabola può essere usata per leggere un ampio ventaglio di eventi.
La violenza suburbana messa in scena da Lynch e Frost trova infatti una costante nel suo declinarsi in una dinamica di genere che spesso prende la forma della violenza domestica e dell’oppressione dell’uomo ai danni della donna, che dal canto suo reagisce con atteggiamenti all’apparenza stereotipati – l’isteria, la follia, la violenza – ma che in realtà si configurano come veri e propri atti di rivolta, anche se spesso parziali e fallimentari, a questo stato di subordinazione. Si tratta di un approccio non semplice da inquadrare e non privo di criticità, che proprio per questo mostra il fianco ad accuse di stereotipizzazione, ma che a ben vedere trova la sua giustificazione innanzitutto nel contesto generale del linguaggio lynchiano, che si esprime tramite simboli e tipi, e che non dà mai l’impressione di nascondere condanna o derisione. Per limitarci a questi nuovi capitoli, basti pensare alla figura di Candie e alla sua forse non così accidentale aggressione ai danni di Rodney Mitchum, oppure all’atteggiamento spregiudicato di Diane e al suo probabile legame con BadCooper, e infine al raptus di violenza di Becky, scissa tra la volontà di ribellarsi al marito e l’incapacità di separarsene in maniera definitiva. Il confronto tra la ragazza e la madre, i cui parallelismi sono sottolineati in maniera molto scoperta dal fugace incontro di Shelly con Red, si riaggancia inoltre a un altro tema onnipresente di questa annata, quello dell’eredità e delle colpe che si trasmettono di generazione in generazione, che a sua volta si riflette in maniera efficacissima nella sconvolgente scena della sparatoria fuori dal Double R Diner: muovendosi costantemente tra i poli dell’identico e del diverso, dell’immobilismo e della trasformazione, gli autori sembrano dipingere un quadro in cui, nonostante i profondi cambiamenti che hanno attraversato Twin Peaks – la serie e la cittadina, con i suoi personaggi – il vortice di violenza che ha il suo fulcro nell’omicidio di Laura appare impossibile da spezzare, e quindi destinato a ripetersi all’infinito, variando nella forma e nei soggetti ma non nella sostanza. Depends upon the intention, the intention behind the fire.
Parallelamente le indagini di Truman e Hawk convergono in modo sempre più deciso con quelle portate avanti dall’FBI in South Dakota. Quello messo a punto da Lynch è un vero e proprio sistema di immagini che fonda la sua stessa essenza sulla problematicità intrinseca del rapporto tra icona e significato, in cui la prima non è mai del tutto riducibile alla seconda, andando così a creare una fitta rete di rimandi e suggestioni che non scade mai nel didascalismo, proprio perché coglibile più sul piano dell’intuizione che del raziocinio. Ecco quindi che i diversi elementi della mappa, oltre a rimandare a immagini cardine della mitologia della serie – il mais alla garmonbozia, la figura nera in cielo alla chimera di “Episode 8” –, divengono una sorta di commentario di quanto visto da Gordon Cole sul luogo dell’incontro tra Hastings e il maggiore Briggs, in cui il fuoco/corrente nella sua duplice valenza positiva e negativa, che a sua volta si collega in maniera evidente al film prequel, assume un ruolo sempre più determinante. Prendendo in prestito l’immagine del vortice interdimensionale osservato da Cole, potremmo dire che le ricerche stiano ormai senza dubbio confluendo verso un unico punto, sia concettuale che geografico, come sembrerebbe indicare la probabile coincidenza delle coordinate fornite proprio da Briggs a Hawk e Truman con quelle trovate sul braccio di Ruth, relative a “a small town in the north”. La componente mystery di Twin Peaks continua a porsi magistralmente a cavallo tra il mistico e l’investigazione – con il personaggio di Lynch a fare le veci di Cooper in qualità di figura mediana e mediatrice tra questi due poli –, confermando così la sua capacità di coniugare l’afflato sperimentale del cinema d’autore con alcune dinamiche tipiche delle cosiddette serie-evento. Se per lo spettatore contemporaneo è impossibile non pensare a show come Lost o Game of Thrones e alla loro capacità di travalicare i meri confini dello show di successo fino a diventare un vero e proprio fenomeno culturale, The Return non solo ci ricorda come la serie classica vada considerata la capostipite di questo modo di fare televisione, ma ci dimostra soprattutto come, a 25 anni di distanza, sia ancora perfettamente in grado di porsi come uno degli show più rilevanti del panorama televisivo, sia in termini qualitativi che di coinvolgimento del pubblico – “This map is very old, but it is always current”.
This pie is so damn good.
Damn good.
L’ultimo segmento dell’episodio è interamente dedicato a Dougie/Cooper, la cui storyline, con l’avanzare degli episodi, non fa che ribadire il suo carattere di rottura nei confronti delle passate stagioni. Il non-ritorno di Dale, che dopo 11 capitoli continua suo malgrado a vestire i panni di Dougie, si specchia nell’ambientazione inedita e aliena della città del Nevada, che nel bellissimo montaggio musicale sulle note di “Viva Las Vegas” si conferma come quanto di più lontano ci possa essere dalle atmosfere e dall’estetica di Twin Peaks come l’avevamo conosciuta. Nonostante lo show abbia mantenuto pressoché intatte la sua rilevanza e la sua carica eversiva, il quarto di secolo trascorso ha inevitabilmente e irrimediabilmente cambiato la serie, proprio come la permanenza nella Loggia ha reso Dale una sorta di spettro di ciò che era e che, forse, non potrà più essere. Ecco quindi che i feticci che di tanto in tanto fanno capolino sulla scena – il caffè e le ciambelle e, in questo episodio, la torta di ciliegie che salva letteralmente la vita a Dougie/Cooper – divengono simboli di un passato onnipresente ma al tempo stesso irripetibile, a cui però Lynch sembra guardare sì con affetto ma mai con troppa nostalgia. L’audacia e l’efficacia con cui le nuove ambientazioni e i nuovi personaggi – pensiamo alle riuscitissime scene che vedono protagonisti i già iconici Mitchum Brothers – sono stati inseriti e sono ormai divenuti parte integrante del tessuto del racconto sono lì a testimoniare la validità di questo approccio, che mira a scardinare dall’interno un’estetica e un linguaggio consolidati proprio in virtù della consapevolezza della loro irripetibilità, e che ha trovato nella figura di Dougie/Cooper un vero e proprio emblema meta-narrativo.
Nel complesso quindi Episode 11, pur non toccando le vette qualitative di altri capitoli di questo ritorno, conferma, come se ce ne fosse ancora bisogno, la riuscita di questa rischiosissima operazione.
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