Dopo sei settimane di accese discussioni, teorie più o meno plausibili, critiche feroci e molteplici leak, “The Dragon and the Wolf” giunge a mettere la parola fine a questa seguitissima e chiacchieratissima settima stagione di Game of Thrones, racchiudendo al suo interno, nel bene e nel male, tutti i punti di forza e le problematiche di questa annata.
Se lo scorso anno Benioff e Weiss erano riusciti nell’arduo compito di rassicurare il pubblico circa la possibilità di proseguire in maniera efficace il racconto martiniano senza più il sostegno del materiale letterario, giovando anzi di questa nuova libertà creativa, al contrario questa annata ha in più di un caso reso evidente quanto la mancanza di una traccia, unita alle sempre più stringenti esigenze produttive – alla base della sfortunata riduzione del numero di episodi in nome della messa in scena di numerose sequenze spettacolari ad alto budget –, abbia avuto, soprattutto dal quinto episodio in poi, delle pesanti ricadute sulla qualità della scrittura, sia dal punto di vista della caratterizzazione che, soprattutto, della costruzione del plot. È evidente che buona parte dei passi falsi di questa stagione – che comunque nella prima parte ha saputo gestire molto bene alcuni momenti cardine come l’incontro tra Daenerys e Jon (o quello tra i tre Stark) e ci ha regalato una sequenza di battaglia mozzafiato come quella di “The Spoils of War” – siano stati dettati proprio dall’esigenza di comprimere la narrazione all’inverosimile, generando un effetto a tratti straniante (pensiamo alla comparsa di Verme Grigio alle porte di King’s Landing in questo episodio) e a tratti totalmente privo di logica (il salvataggio del gruppo oltre la Barriera), soprattutto a fronte della peculiare dilatazione spazio-temporale che ha caratterizzato in precedenza la serie.
All the frightening stories we heard when we were young, they’re all real. So be it. Let the monsters kill each other.
L’impressione complessiva è quindi quella di un racconto sbilanciato nelle sue parti, che, dopo un lunghissimo prologo in cui Martin e gli autori si sono presi tutto il tempo necessario per portare avanti un lavoro minuzioso di world e character building, ora si trova, a causa del poco tempo a disposizione, a risolvere in maniera frettolosa e superficiale temi e snodi narrativi che dopo una così lunga attesa avrebbero certamente meritato maggior cura e approfondimento. Questo vale innanzitutto per quello che è stato il tema cardine della stagione, ovvero la transizione dalla guerra dei troni a quella contro l’esercito dei non-morti, gestita in maniera per niente fluida e credibile, come è stato già ampiamente sottolineato in relazione allo scorso episodio. La sequenza ambientata al Dragon Pit inevitabilmente patisce delle premesse (non particolarmente logiche sia nella progettazione che nella realizzazione) che hanno condotto a questo storico incontro, privandolo quindi, almeno in parte, della sua portata emotiva e della sua dimensione epica. Sia chiaro, vedere Cersei, Jon e Daenerys faccia a faccia è sicuramente un’esperienza emozionante, e gli autori dipingono molto bene la tensione mista a disagio che permea l’incontro, ma la dimostrazione di Jon e del Mastino con il non-morto non fa che ribadire quanto questa soluzione non sia stata all’altezza della qualità di scrittura a cui la serie ci aveva abituato, rivelandosi una risposta alquanto rozza a una questione estremamente complessa per le sue implicazioni etiche e politiche, la quale a ben vedere costituisce il cuore stesso della saga martiniana. Anche lo svolgimento e la conclusione del negoziato non possono non suscitare qualche perplessità: il plot-twist finale relativo alla strategia di Cersei (i cui contorni sono ancora poco chiari) non va solo a minare dall’interno il valore dei sacrifici compiuti dai personaggi finora, portando la situazione al punto di partenza, ma nel farlo getta ulteriormente luce sull’assurdità di un piano fondato sulla stipulazione di un patto di fiducia con la Lannister. Non ci è dato sapere con certezza se le intenzioni della Regina fossero davvero queste fin dall’inizio, se Tyrion sia davvero convinto della buona fede della sorella e se ciò che lei ha rivelato a Jaime costituisca o meno tutta la verità; in ogni caso al momento il suo atteggiamento, per quanto molto più coerente con il personaggio di una repentina alleanza per il bene supremo, sembra segnare un passo indietro rispetto alle finezze strategiche a cui ci aveva abituato negli ultimi tempi, dato che, come ben sottolinea lo stesso Jaime, l’adagio “tra i due litiganti il terzo gode” potrebbe non essere il più adatto a descrivere la loro situazione.
Jon’s real name… His name is Aegon Targaryen. He’s never been a bastard. He’s the heir to the Iron Throne.
In più occasioni è stato giustamente sottolineato come con il passare del tempo la serie abbia inevitabilmente subito un processo di “normalizzazione”, che ha portato da uno scenario in cui tutti erano, almeno in potenza, egualmente sacrificabili ed era difficile operare una distinzione netta tra buoni e cattivi, a una più tradizionale opposizione tra bene e male, a cui si affianca una più netta gerarchizzazione dei protagonisti. Se questo secondo punto è perfettamente coerente con l’avvicinarsi all’epilogo di questo lungo racconto, il primo è indubbiamente figlio della presenza sempre più preponderante dell’elemento fantasy, che ha raggiunto il suo culmine in questa stagione: la minaccia dei White Walker ha progressivamente messo sullo sfondo il gioco dei troni, in cui era infinitamente più complicato distinguere torti e ragioni e decidere per chi parteggiare, finendo col dar vita a una polarizzazione tra vita-morte e bene-male che ha portato ad appiattire le dinamiche messe in scena e in particolare la figura di Snow. A fronte di un villain minaccioso, spietato e apparentemente invincibile come il Night King e il suo esercito, troviamo infatti una figura che ha ormai assunto i contorni del classico eroe integerrimo, interamente votato alla causa e incapace di fare passi falsi.
Se infatti fino all’anno scorso Jon, pur con tutti i limiti del caso, ci appariva come un personaggio sfaccettato, impegnato a confrontarsi con il tradimento dei suoi compagni, la sua morte e resurrezione e infine con il peso di un potere che non ha mai desiderato per sé, ora lo troviamo, nonostante l’espressione perennemente imbronciata, totalmente a suo agio nei panni del leader politico e militare, disposto a sacrificarsi per la salvezza di Westeros e al tempo stesso ancora incapace di mettere in discussione la sua integrità morale senza pagarne le conseguenze. A ciò si aggiunge poi la rivelazione sulle circostanze precise che hanno portato alla sua nascita, le quali vanno a eliminare un altro fondamentale elemento che è sempre stato alla base della costruzione di Snow: da bastardo e reietto a probabile incarnazione di Azor Ahai, nonché legittimo erede al trono, la parabola di Jon/Aegon, per quanto elettrizzante, sembra almeno per il momento averlo privato di quegli aspetti conflittuali che lo rendevano interessante e umano.
A proposito di tale rivelazione (che in realtà è più che altro una conferma) è poi innegabile come la sequenza, di capitale importanza nell’economia della serie, risulti anche in questo caso azzoppata da una scrittura poco ispirata, che con pochi accorgimenti avrebbe potuto ottenere una resa decisamente migliore. La necessità di dare un senso al percorso di Sam porta infatti ad una forzatura difficile da ignorare: Bran, infatti, non aveva certo bisogno della sua notizia per vedere il matrimonio tra il Targaryen e la Stark, né tantomeno di confidarsi con lui quando si trova finalmente riunito con le sue sorelle. Ad ogni modo, l’alternanza tra l’unione di Raeghar e Lyanna e quella tra Jon e Daenerys riesce ugualmente a convogliare il valore di ciò che viene mostrato, instaurando un nesso sempre più stringente tra il drago e il lupo in quanto inevitabile punto d’arrivo dell’intera saga, come confermato dallo stesso Martin con buona pace dei detrattori di tale unione. Al di là della discussa questione dell’incesto, la scoperta della vera identità di Jon permette non solo di rileggere in un’ottica diversa gli eventi che hanno condotto alla fine della dominazione dei Targaryen, ma getta altresì un’ombra sul futuro della coppia, i cui ruoli risultano ora invertiti, con tutte le conseguenze che ciò potrebbe avere per le sorti di Westeros.
When the snows fall and the white winds blow, the lone wolf dies, but the pack survives.
Nonostante i difetti, è negli scambi a due che la puntata trova il suo più grande punto di forza, così com’era stato nei primi episodi di questa annata: è qui infatti che gli autori riescono a capitalizzare al meglio tutto il lavoro di costruzione che hanno portato avanti in questi anni, donando ai dialoghi una stratificazione e una risonanza emotiva rari, che affondano le radici nei continui rimandi al passato e che proprio per questo sono in grado di dare la misura dei radicali cambiamenti che i personaggi hanno subito nel corso del tempo. Pensiamo all’intenso scambio tra Cersei e Tyrion, in cui a emergere, insieme a tutto l’odio e le incomprensioni che li hanno allontanati, è il legame viscerale che nonostante tutto ancora li unisce, al punto di farci dubitare della lealtà del Folletto; oppure al dialogo tra Jon e Theon, che per quest’ultimo segna il punto d’arrivo di un percorso non tanto di redenzione quanto più di ricerca identitaria, in cui il conflitto interiore tra Stark e Greyjoy che l’aveva portato a tradire Robb ha trovato lentamente una conciliazione prima tramite il rapporto con Sansa e Yara e ora con il perdono di Snow.
A tenere insieme queste sequenze è, come sempre, il tema della famiglia, ed è ovviamente proprio questo ad essere al centro delle vicende di Winterfell. Lo scambio tra Sansa e Arya sulle mura del castello, richiamando le parole pronunciate da Ned nella prima stagione proprio in riferimento agli screzi tra le due sorelle, rappresenta il perfetto coronamento del loro piano per eliminare LittleFinger, ma soprattutto del loro percorso di crescita – senza però dimenticare la fondamentale collaborazione di Bran. Gli autori hanno forzato forse un po’ troppo la mano per far credere allo spettatore che il loro scontro fosse reale – una messa in scena per lui e le sue spie tanto quanto per noi –, ma in fin dei conti questo era l’unico epilogo possibile se consideriamo l’evoluzione vissuta dalle due sorelle: l’addestramento di Arya non l’ha resa solo spietata ma anche in grado di distinguere con estrema precisione la verità dalla menzogna, mentre Sansa, come sottolinea lei stessa, ha assimilato nel profondo il modus operandi di Baelish, non solo nei termini per cui è in grado di riconoscere le sue macchinazioni ma anche di rivoltarle contro di lui. La scena acquista quindi forza proprio dai chiaroscuri che attraversano le loro azioni: finalmente in grado di difendersi da sole e di vendicare i soprusi subiti, ma forse molto più simili ai loro nemici di quanto potrebbe essere auspicabile, le Stark ribadiscono come Game of Thrones, quando vuole, sia ancora in grado di muoversi abilmente nelle zone grigie che separano giusto e sbagliato, buoni e cattivi.
Il crollo della barriera chiude in maniera emblematica una stagione in buona parte votata alla spettacolarità a discapito della coerenza interna del racconto e in grado di stupire più dal punto di vista visivo che da quello narrativo: per quanto ampiamente prevedibile, il passaggio dell’immenso esercito dei White Walker grazie all’intervento di Viserion rappresenta un vero e proprio spartiacque all’interno del racconto, segnando, è proprio il caso di dirlo, l’inizio della fine, sia in termini diegetici che extra-diegetici.
Ora non ci resta quindi che attendere il 2019, nella speranza che gli ultimi sei capitoli della saga saranno in grado di dare una conclusione soddisfacente a quello che ormai può essere considerato a tutti gli effetti uno dei fenomeni televisivi più importanti degli ultimi anni.
Voto episodio: 7
Voto stagione: 7+
La lunghissima attesa ha gonfiato le aspettative; la breve durata della stagione, il poco coraggio/impegno degli autori, il chiacchiericcio globale, le fan theories, gli spoiler e i leak, le hanno sgonfiate e hanno contribuito pesantemente al risultato finale: assenza totale di momenti WTF! Non sono mancate belle cose, per carità, anche e soprattutto in questo finale, ma la pelle d’oca alle 3 del mattino (sì ,ero uno di quelli…) me l’ha fatta venire solo l’attacco alla carovana di The Spoils of War. Mi auguro che B&W alla luce dell’orda di critiche, correggano il tiro: c’è tutto il tempo necessario per dare a questa splendida saga (e a noi tutti) un degno finale.
Quello che ha inficiato il tutto e’ stato il piano del rapimento del non morto da portare a Cersei…..assurdo!C’erano mille altri modi per arrivare agli stessi risultati ovvero la morte e la risurrezione del drago , la presa coscienza di Daenerys del pericolo oltre la barriera, il coinvolgimento in questo dei gemelli Lannister (ognuno con reazione diversa).
Detto questo la situazione in cui si trova lo show ora e’ quella che qualunque lettore attento solo del primo libro si poteva immaginare si sarebbe creata.Si capiva subito che i tre personaggi positivi che sarebbero soparavvisuuti e si sarebbero uniti per la battaglia finale erano Jon , Daenerys e Tyrion ( con l’ aiuto di Arya ovviamente).
D’altronde si tratta di una saga di epic fantasy ed e’ normalissimo che chi e’ reietto e maltrattato all’inizio si ritrovi a gestire il destino del mondo alla fine.
Comunque fantastica l’interpretazione di Cersei ( chiaramente ispirata alla regina cattiva di Biancaneve versione Disney! Evviva!
E il re della notte sul drago ? Wow i fan di d&d ( io in primis) avranno sbavato sulla tv durante la scena finale!
In generale mi sento di dire che questa settima stagione mi ha soddisfatta sotto certi punti di vista, ma delusa sotto molti altri. Mi spiego meglio.
Tutti quelli che si lamentano della scena tra Jon e Dany, non li capisco. L’unica critica che mi sento di muovere a quella scena è che non è stata inserita al momento giusto, soprattutto se mi stai parlando di Raeghar e Lyanna , potevano dedicare molto più minutaggio a spiegarci di questi ultimi e solo dopo far vedere la scena d’amore. Oltretutto per i Targaryen l’incesto è cosa comune, anzi questa cosa apriprà (spero) risvolti interessanti. L’altra critica che mi sento di muovere è che sono stati gestiti male i conflitti. Mi aspettavo la dipartita di Cersei per esempio, che invece come ben sappiamo non è avvenuta e me ne chiedo il senso ! Potevano benissimo dedicare la stagione conclusiva solo al conflitto con il Night king e risolvere la questione del trono in questa .
Ed è palese che Jamie sta andando dal fratello a dirgli che la sorella ha mentito.
Spettacolarità voto 9, trame sottotrame 6,5 . Continua comunque ad essere la mia serie preferita e non vedo l’ora di vedere come andrà a finire a prescindere da tutto.
Ps. Premetto che io non ho letto i libri, ma mi sembra di capire che chi se ne lamenta è soprattutto chi li ha letti. Ma bisogna anche dire (per spezzare una lancia in favore degli autori) che le trasposizioni sono difficili e l’impegno è notevole , era quindi inevetabile che ci fosse il calo da questa stagione in avanti. Almeno io me lo aspettavo, così come mi aspettavo l’unione tra Jon e Dany ma da un bel po’. Tutto sommato sono fiduciosa .
Non v’è dubbio che agli sceneggiatori B&W molto si possa rimproverare per questa settima stagione.
Ma le mie doglianze non vanno di certo verso la loro fin troppo sintetica scrittura.
Chissà che pressione hanno dovuto sopportare……
E che sforzo creativo per condensare in sole 7 puntate il salto di paradigma che circoscrive e relativizza le beghe interne di Westeros.
C’è un disegno più grande che incombe, e fa quasi tenerezza la perfida e grande Cersei quando si arrocca nel suo piccolo orticello. Persino il suo succubo gemello al confronto sembra possedere vista d’aquila.
Semmai trovo scandalosa la scelta produttiva di dar fiato corto a questa stagione-snodo.
Per quale ragione procedere con tutta questa fretta?
Ti ritrovi per le mani una serie televisiva che (worldwide) oscura il firmamento, e non vedi l’ora di metterci la parola fine?
Spero vivamente che le sei puntate finali (anche se pompate in durata) non lascino al palato addicted dei fans lo stesso senso di insoddisfazione.
Chi ama il trono di spade non teme alcuna forma di eccesso, abbondanza o ridondanza…..
p.s. bellissima recensione
La puntata è stata così così e la stagione è stata una delusione, molto sotto la sufficienza.
Avete già fatto notare nei commenti diverse pecche gravi. Capisco e sono d’accordo con i punti di pregio sottolineati nella recensione, soprattutto nelle scene a due. Alla fine però è stata una puntata che non mi ha preso.
E poi vogliamo parlare del drago che abbatte il muro? Il patto per portare il white walker a Cersei era un’assurdità, ma questo? Butta giù con il muro anche tutto quello che è stato costruito pazientemente in sette stagioni. Che senso ha stare a fare tutti questi personaggi, questa trama? A questo punto basta buttare il drago di ghiaccio a battaglia contro i draghi in carne e ossa: badass contro badass e e facciamo sei episodi finali di botte alla Banshee, senza prenderci troppo sul serio. Non sarebbe meglio?