Dopo aver avvolto e accalappiato gli spettatori in un processo di formazione lungo, impegnativo e magniloquente, al suo sesto episodio The Deuce inizia la corsa verso la chiusura della prima stagione. “Why Me?” ha un tempismo brillante e la qualità settata al giusto volume. È l’episodio che stavamo aspettando.
Tutto è in movimento. Qualcuno pedina, qualcuno scappa sul retro, qualcuno fa il pendolare, molti camminano per il Deuce, altri risalgono dondolando in macchina: nessuno è mai veramente fermo e tutti fanno qualcosa, crogiolandosi nella forma di un racconto bigger than life, tanto grande da non tralasciare neanche il più piccolo comprimario. La stratificazione, progettata dalla serie di Simon e Pelecanos distanziando le storie principali e portata avanti facendole maturare, trova lo stato dell’arte nell’incontro tra i due principali emisferi della serie – il cosmo imprenditoriale di Vinnie, tra bar e la neonata casa di piacere, e la struttura non meno produttiva della prostituzione – in un’unica alcova calpestata da conoscenze comuni, contrattualità convenienti, incroci relazionali e gradi di separazione.
“Show, don’t tell”
Il nuovo progetto industriale e territoriale di Pipilo crea l’angolo in cui far spostare i personaggi e smuovere l’ingenza di trama che un prodotto arena-driven – cioè guidato dalla coralità degli eventi e dei personaggi piuttosto che da un singolo protagonista – richiede per una narrazione soddisfacente: se prima tutti i personaggi erano fagocitati dall’ambiente che raccontavano e da cui erano sommersi senza interruzione, è proprio in questo episodio che la massiccia dose di dati acquisiti nelle puntate scorse si traduce con buona lena nella messa in scena dei loro movimenti, intesi come spostamenti, lavoretti, decisioni attivamente tese per perseguire differenti obiettivi personali e allo stesso tempo un inconsapevole bersaglio comune.
Lo vediamo costruirsi passo dopo passo, questo mondo del porno, come fossimo di fronte alla muta di un rettile (e che cos’è New York se non un animale che scarta continuamente la propria pelle?). L’episodio è eccezionale soprattuto nell’asettico e testardo pedinamento della catena di montaggio dall’idea imprenditoriale alla sua esecuzione, che dà vita a una precisa morfologia del capitalismo dove la cultura umana di quell’epoca diventa ulteriore protagonista e ulteriore voce in capitolo nel peso del racconto. Mafiosi, imprenditori, poliziotti, baristi, prostitute, papponi: questa è la banda studiata al microscopio – soprattutto in “Why Me?” – da una serie che mira a essere anche un documento di etnologia oltre che un oggetto d’intrattenimento. Il dispiegamento dei personaggi e delle loro interazioni è lo stratagemma attraverso cui evitare spiegoni e comunque mostrare agli spettatori gli ingranaggi e la forma del sistema (ecco perché la morfologia) che scrostò le evidenze oscene dalle strade per trasportarle in cabinati, librerie e cinema “regolamentati” e “controllati”, cautelando il turismo e la vita cittadina attraverso una silenziosa e compromettente demistificazione dell’illegalità.
Patience brother, patience.
Con eleganza e apparente facilità, le penne di Richard Price e Marc Henry Johnson e la regia di Roxann Dawson ci immergono nel sostanziale cambio di paradigma apportato dai poteri forti e dalle servizievoli pedine involontarie: il sesso, già monetizzabile ma ancora disorganizzato per le sregolate autonomie dei pimps, diventa motivo di commercio, capitale d’interesse in cui investire, soldo e conto gestito da camicie istituzionali, discusso in aule giudiziarie, marcato dal pizzo della polizia.
Allo stesso modo cambiano anche le regole a cui ci eravamo abituati: il loop che coinvolgeva sistematicamente poliziotti, retate e prostitute in un nastro di Möbius di indistinguibili contatti, incarcerazioni e rilasci, si spezza grazie a una perquisizione più invasiva, che stupisce sia gli estremi della criminalità che quelli della giustizia, ma che certo non ha niente a che fare con un improvviso moto eroico del distretto di polizia. È più il naturale proseguimento della riformulazione del tessuto stradale (caro a Simon fin da The Corner) voluto probabilmente dalle istituzioni e iniziato con il tassativo blocco degli arresti. Anche in questo caso l’episodio brilla sia nel riportarci la dimensione di fumosità e mistero degli ordini dall’alto, sia nel farci galleggiare tra l’incredulità dei personaggi meno consapevoli, la lungimiranza di quelli con in mano i disegni futuri e la praticità di chi sfrutta il momento come fonte di benestare, presentando una gamma di caratteri diversi e flessibili alle imprevedibilità del sistema.
Why me?
In questo schema mastodontico, dove la pianificazione a lungo termine vale come o più di quella delle piccolezze, è necessario concentrare l’azione scenica sui rapporti tra soggetto e mondo, personaggio e contesto, per costruire un preciso retroterra su cui basarsi in futuro e a cui attingere in virtù di eventuali aggiustamenti, per passare con fluidità dalla descrizione del panorama sociale a quella degli aspetti privati. L’attenzione al personaggio di Vincent è diegetica (lo stesso personaggio si chiede perché è stato scelto come uomo di mediazione da Pipilo) e extra-diegetica: la narrazione arriva al suo bancone per dirimere questioni determinanti, come il tira e molla commerciale con Reggie Love, Rodney e Larry, e lo segue per infilarsi in nuove dimensioni del racconto, attraverso una narrazione performante che interscambia l’atmosfera del grande racconto corale con occasionali e fulminee finestre sull’interiorità dei personaggi.
Anche la caratterizzazione di Larry, Eileen e Darlene segue questo modello, intrappolando il primo tra lo schiacciante cambiamento del suo mondo e lo scetticismo caratteriale per le novità, conferendo alla seconda troppo entusiasmo per un cambiamento gestito comunque da uomini e eleggendo la terza a rappresentante di donne sempre più sfruttate come merce di scambio per raggiungere un guadagno facile e costante: ne consegue l’eliminazione della facile epica del “self made man” e delle conseguenti retoriche sognatrici in favore di un cinismo analitico che estrapola dalla ricostruzione storica considerazioni illuminanti sulle identità massacrate dalle rivoluzioni del contesto e sui rapporti di potere e di influenza che legano gli enti di governo con la piccola criminalità, il commercio dei distributori di cassette con i promotori delle riforme edili e così via.
“Why Me?” è un episodio molto denso, sia per la quantità di avvenimenti che per i concetti espressi, che si appoggia su una scrittura ispirata per dilatare al millimetro i meccanismi esplicitati, approfondire le dinamiche appena abbozzate e condurre la narrazione verso la sua fase finale. L’ottima gestione della totalità degli aspetti in gioco ci conferma di essere di fronte a una peculiare narrazione seriale, a una forte narrazione massimalista – perché lenta, collettiva e tentacolare – e a un prodotto difficilmente uguagliabile.
Voto: 9