Easy – Stagione 2


Easy – Stagione 2Il connubio tra cinema indipendente e Netflix si riconferma con la produzione di una seconda stagione di quel grazioso gioiellino che è Easy, serie creata, scritta e diretta da Joe Swanberg, uno dei padri del mumblecore, movimento interno al cinema indie che privilegia uno stile di realizzazione low budget e una scrittura scorrevole, sobria, flessibile che spesso scivola nell’improvvisazione. Rispetto una prima stagione in cui si vedeva molto dichiaratamente l’impronta di ‘esperimento’, questa seconda annata – pur mantenendo intatte le caratteristiche primarie del progetto – appare più organica e coesa.

Easy è una serie antologica: ogni stagione presenta 8 episodi che hanno una totale valenza autonoma, una storia autoconclusiva, attori e personaggi diversi. Tuttavia, uno degli aspetti più interessanti del prodotto di Sawnberg sta proprio in una lieve ma sostanziale apertura del genere antologico: alcune storie vengono riprese, e in un certo senso continuate, e molti dei protagonisti di alcuni episodi si ritrovano in posizione marginale in altre puntate. Ciò accade già nella prima stagione con “Hop Dreams” che riprende e integra la storia dei due fratelli di “Brewery Brothers”, portandola a un livello successivo, sia dal punto di vista della storia in sé, sia nella caratterizzazione dei vari personaggi che acquistano uno spessore più ampio rispetto agli altri. La seconda stagione allunga il tiro non solo presentandoci un nuovo capitolo dedicato ai fratelli birrai (“Spent Grain”), ma mostrandoci anche a che punto è il matrimonio di Andi e Kyle, protagonisti del pilot, ora impegnati nella sperimentazione di “Open Marriage”; oppure il prosieguo della storia di Jo e Chase (“Lady Cha Cha”) che si erano innamorate in “Vegan Cinderella” o ancora il nuovo libro di Jacob Malco che come in “Art and Life” con “Conjugality” si ritrova a dover fare i conti con l’instabile equilibrio della contaminazione tra vita e arte.

Easy – Stagione 2Ma la cosa ancora più interessante è che queste storie vengono narrate con un’intersezione tra i vari personaggi, creando un fil rouge che amplia notevolmente il tono del racconto: sembra quasi di essere di fronte a una vetrina che ci mostra il tessuto sociale di Chicago nella sua realtà quotidiana, comprendente anche quegli incontri sporadici tra le persone che fanno parte delle naturali intersezioni della vita.
La naturalezza di questo aspetto trova un solido rimando anche nella costruzione dei singoli episodi, sia dal punto di vista tecnico – tutto ci viene mostrato senza eccessiva artificiosità espositiva –, sia dal punto di vista narrativo, con la costruzione di episodi che utilizzano fluidamente la schematizzazione tipica del racconto classico: introduzione, incidente scatenante, i vari avvenimenti che ne conseguono, momento di massima tensione, conclusione e ricomposizione dell’equilibrio.
Come esige il formato degli episodi, la fase introduttiva è molto breve. A volte c’è l’incidente scatenante – come in “Package Thief” o in “Spent Grain” –, spesso invece il racconto parte dalla focalizzazione di una particolare fase della vita di una persona – esemplare in tal caso “Side Hustle” – che ci viene narrata con estrema naturalezza, passando in rassegna momenti vissuti, emozioni provate, incontri, dando più importanza alla contestualizzazione del personaggio piuttosto che alla storia: è il personaggio che crea la narrazione, non la narrazione che ci presenta un personaggio. Molto spesso la conclusione arriva senza risoluzioni definitive o colpi di scena, ma con una spontaneità tale che sembra quasi ricalcare il fluire della vita – a volte, come in “Open Marriage” o “Baby Steps” l’episodio si conclude con la fine della giornata. Questo è l’aspetto che più di altri sancisce un passo avanti rispetto alla scorsa stagione, dove la tendenza a chiudere un episodio senza una conclusione netta a volte creava la percezione di incompiutezza. In questa annata, invece, pur rimanendo fedeli alla stessa costruzione narrativa, c’è un maggiore equilibrio tra le varie sezioni dell’episodio, in modo da rendere l’intero racconto più denso e pregnante anche nella sua apparente inconcludenza, perché, come dice Pirandello: “La vita non conclude”.

You act like you believe in shit you don’t really believe in.

Easy – Stagione 2Come da dettami del mumblecore, uno dei temi predominanti della serie è la riflessione sulle relazioni, amorose, matrimoniali o familiari. La naturalezza dell’esposizione tecnica e narrativa tipica dello show crea il contesto perfetto per ampliare la portata di questo tipo di riflessione, unendola a una più ampia analisi del contesto contemporaneo. “Open Marriage” ci mostra come l’amore non deve per forza coincidere con la monogamia, ma che il processo di accettazione di tali pulsioni come la loro stessa concretizzazione possono creare uno stuolo di azioni e reazioni non lineari. “Lady Cha Cha” è una bella parentesi sull’amore omosessuale vissuto sulla scia di un femminismo che si perde quando si tratta della propria donna, aprendo una deliziosa parentesi sulla gelosia che entra in cortocircuito con le proprie idee strenuamente difese. Inoltre, questa puntata, continuo di “Vegan Cinderella”, ci mostra un ulteriore livello narrativo, nascosto nello iato temporale che separa i due episodi (e le due stagioni): le contraddizioni tra le due donne sembrano essere rimaste intatte, ma nonostante ciò la loro storia è progredita e, dato il finale con quel bellissimo sorriso di Jo che applaude Chase, sembra che possa progredire ancora proprio grazie all’ultimo diverbio sul burlesque. Ma Chase non è più la Cinderella della prima stagione che per far colpo su Jo faceva finta di essere vegana o di andare in bicicletta sotto la neve: adesso è diventata una donna che difende le sue idee e i suoi desideri anche se la sua compagna non li condivide.

Prodigal Daughter” si sofferma invece sulle relazioni familiari, innescando una bella riflessione sulle apparenze, sul bigottismo, sulla Chiesa e il volontariato, sul reale valore del denaro, sulla moralità che non ha bisogno di un ‘credo’ per poter essere perseguita.
Ma le relazioni indagate non sono solo quelle che si hanno con gli altri: in “Baby Steps”, episodio finale della stagione, Annie – la protagonista del threesome di “Utopia” –, vive una particolare relazione con se stessa e con il suo istinto materno. Il meccanismo con cui si è soliti approcciarsi a una relazione a due viene qui traslato nel desiderio di star vicina a quella bambina che le ha dato l’illusione di toccare con mano il suo più grande desiderio. La bravura di Kate Micucci nel vivere sommessamente un cumulo di scosse emotive dà all’episodio un tono quasi poetico, creando una chiusura di stagione amara, ma al contempo lirica.

It’s a small world.

Easy – Stagione 2Ma Easy non è solo questo. Alle tematiche relazionali si associa una riflessione su molti altri aspetti: varie declinazioni sul femminismo, il razzismo, il controverso rapporto con i nuovi media, la difficoltà di affermarsi professionalmente, il tempo che passa, la solitudine. Spesso questi ambiti tematici vengono inseriti in una singolare stratificazione metanarrativa: all’interno di un racconto che si focalizza sulla vita, sia in senso tecnico che tematico, alcuni dei protagonisti attingono alla propria vita per creare Arte (sketch comici, saggi, fumetti…). Emblematico è sicuramente “Conjugality”, che riprende il discorso di “Art and life”, mostrandoci come la difficile equazione tra vita e arte possa essere inquinata dalla più rovinosa equazione tra real life e virtual life. Ma più sottile e indirettamente metatestuale è “Side Hustle”, episodio costruito su due storie parallele, quella di Odinaka, autista aspirante comico, e Sally, prostituta aspirante scrittrice, che usano la loro vita per creare nuovi universi da cui far nascere un prodotto artistico. Quest’episodio, più di altri, sembra proprio costruito con l’intento di metterci di fronte al fluire di due vite che alla fine convergono con la stessa naturalezza con cui tra milioni di persone spesso ci imbattiamo nel fratello della cugina dell’amica.

Easy – Stagione 2Inoltre, la sua struttura aperta e flessibile lo erge a summa delle intersezioni tra personaggi: Odinaka – dopo aver conosciuto Sally – si ritrova a cena con Jay, suo cliente e amico di Annabelle Jones (Jane Adams), amica della donna e personaggio ricorrente dell’intera serie. Tra i passeggeri di Odinaka c’è anche Gabi (1×06) che sale in macchina con suo figlio, lasciandoci intendere che dopo tutto il provarci di “Controlada” finalmente è riuscita ad avere un bambino. Questo è un ulteriore esempio di come la serie riesca a sfruttare le intersezioni tra i personaggi per creare un sottotesto tematico nascosto; anche nella premiere c’è un riferimento di questo tipo: nella tv del salotto di Lindsay (Aubrey Plaza) appare Sophie (Gugu Mbatha-Raw) nel ruolo per cui aveva fatto il provino in “Chemistry Read”, lasciandoci intendere che la storia con Drew è finita e che si è quindi trasferita a Los Angeles.

Easy è un prodotto ‘semplice’, diretto, una commedia fatta di tanti tasselli che funzionano separatamente ma che messi insieme creano un racconto piacevole, organico e ricco di molti spunti per guardare alla contemporaneità in maniera critica, aprendo varchi di riflessione tutt’altro che scontati. Questa seconda stagione è un gran passo avanti rispetto alla scorsa annata, e può considerarsi un buon punto di partenza per una tipologia di racconto – molto in voga tra le ultime sperimentazioni televisive e non – che, con naturale immediatezza, passa dalla commedia per raccontare le fragilità della vita.

Voto stagione: 7/8

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