Già con il bellissimo pilot, Shrill aveva messo in chiaro stile ed intenti di questo progetto incentrato sulla fat acceptance ma soprattutto su un “nuovo” modo di rappresentare le persone grasse. Arrivati al sesto, e purtroppo ultimo (almeno per ora), episodio il progetto si può dire non soltanto compiuto ma anche riuscito.
Uno dei fattori di questo successo è proprio quel “nuovo” tra virgolette; la storia di Annie ci sembra – ed è – raccontata in modo rivoluzionario, ma in realtà lo stile della serie è molto familiare: l’estetica mumblecore, la fotografia polverosa, il carattere dei dialoghi sono indicatori di un certo modo di fare cinema e tv che conosciamo bene, da Girls in giù. Soltanto non avevamo mai visto una donna grassa al centro di una storia con queste caratteristiche, ovvero una donna grassa trattata come “normale” secondo i canoni delle produzioni dramedy più in voga negli ultimi anni. Non è ovviamente questo l’unico modo per raccontare la vita quotidiana di un personaggio, anzi spesso la normativizzazione, anche in termini stilistici, può nascondere un intento oppressivo, ma la delicatezza con cui Shrill si occupa del personaggio di Annie e, a ben vedere, di tutti gli altri, ci permette di affermare senza problemi che non è questo il caso.
L’obiettivo di Aidy Bryant e Lindy West non è, infatti, quello di ridurre l’esperienza fat ad un’universalità paradossalmente limitante, ma di mostrarne le sfaccettature senza pietismi, pur non rinunciando mai a dire le cose come stanno, a mostrare la condizione di vittima di Annie e le difficoltà che deve affrontare in quanto donna grassa. Rispetto ad uno show come Dietland, dove tali problemi venivano presentati con una cupezza che investiva anche la protagonista (sempre vestita di nero, schiva, depressa, senza amici), Shrill punta quindi a raccontare e costruire il percorso di Annie in maniera più sottile, lavorando sulle contraddizioni dell’ambiente in cui si muove il personaggio e del personaggio stesso.
Il corpo della donna (con la d minuscola e maiuscola) è ovviamente al centro della storia, ma non nel modo in cui ci saremmo immaginati; forse l’aspetto più interessante di tutta questa prima stagione, infatti, è proprio che il percorso di rinascita di Annie parte dal suo aborto, per la prima volta trattato né come una scelta dolorosa, né di poca importanza ma piuttosto un momento empowering. Il rapporto della protagonista con se stessa si modifica proprio a partire da ciò che il suo corpo, e non solo la sua mente, sono riusciti a fare, senza che questo avesse niente a che vedere con un cambio di look (che arriva soltanto successivamente, a completamento) o lo sguardo maschile (anche soltanto interiorizzato). Da qui Annie trova la forza per farsi valere, a lavoro come nelle relazioni, ma è un percorso tortuoso, che viene problematizzato in almeno due modi: mostrando da un lato la mancata coincidenza tra body-confidence e indipendenza emotiva e dall’altro la tendenza all’egocentrismo che caratterizza le prime fasi di scoperta e conquista di sé.
Se dal punto di vista sessuale, infatti, la donna riesce ad accettare ed iniziare ad agire abbastanza velocemente sulla propria sensualità, l’aspetto più propriamente emotivo delle relazioni amorose rimane per lei ancora insidioso. Anni di condizionamento non si cancellano con un completino intimo sexy, e le autrici lo sanno bene: la dipendenza dalle (dis)attenzioni di Ryan è molto più subdola perché scava nel bisogno di essere amati, di vivere e soprattutto meritare una relazione proprio come tutti gli altri. Il sesso, in fondo, poteva averlo – lei come tutte le altre donne grasse, a dispetto di certe narrazioni – anche prima, no? Arrivare alla consapevolezza di poter avere di meglio di un quindicenne nel corpo di un trentenne è un po’ più complesso.
La serie cerca, poi, di dare un quadro il più possibile realistico di questo percorso attraverso la messa in scena non soltanto delle ricadute di Annie, cosa che potrebbe essere considerata relativamente intuitiva, ma anche dei picchi di adrenalina, chiamiamoli così, che portano ad azioni/reazioni impulsive ed egoriferite. Siamo tutti dalla parte della giornalista quando pubblica il suo secondo pezzo senza permesso, quando si licenzia, quando stana il troll, ma allo stesso tempo non possiamo non sentire una punta di disagio, come se qualcosa non fosse esattamente giusta. Questo disagio, attentamente instillato dalla scrittura e sottolineato dalle parole di alcuni personaggi secondari, riflette l’assenza di equilibrio e solidità nelle scelte di Annie. La donna è ancora all’inizio del suo percorso ed è fin troppo presa dalle scoperte che sta facendo su di sé: per quanto il suo capo sbagli clamorosamente il bersaglio, incolpando la proverbiale pigrizia delle persone grasse per il ritardo al “forced fun”, ha ragione nel richiamare la sua dipendente per aver dimenticato un impegno, così come non è nel torto il suo amico Amodi quando la accusa di essere troppo presa da se stessa.
Scegliere di mostrarci anche questo aspetto della rivoluzione di Annie dimostra un approccio molto maturo alla materia trattata, non soltanto perché rappresenta un lavoro di scrittura raffinato, ma anche perché contribuisce a definire la protagonista oltre la sua condizione di donna grassa.
Insomma, Shrill è davvero un gioiellino. Dalla caratterizzazione di Annie a quella dei suoi amici (tra cui spicca una Fran che riesce ad andare oltre lo stereotipo di sassy black sidekick), passando per le scelte stilistiche e la cura dei dettagli, la serie Hulu fa un lavoro inedito e importantissimo per la rappresentazione delle donne grasse. Oltre a farsi promotore di messaggi di denuncia diretti – come il focus sui problemi legati all’assunzione della pillola del giorno dopo – lo show è un esempio di quanto l’attenzione verso le minoranze e la voglia di raccontarle con rispetto possa arricchire, e non danneggiare, il panorama televisivo.
Voto: 9
un corpo obeso maschile o femminile è fisicamente brutto e a rischo salute, accettiamolo e basta, ben vengano serie come questa ma la bellezza fisica vale per uomini e donne e non è un’opinione e nessuno va offeso
Pensa che hai appena offeso milioni di persone senza rendertene conto…
Che dire, ned, davvero un gran commento il tuo, che ti qualifica per quello che sei e che è stato giustamente asfaltato dall’autrice dell’articolo, della cui risposta sottoscrivo ogni singola parola. Auguri, ned, che tu possa aprire gli occhi ed il cuore, ne hai un gran bisogno.
Ciao Ned, checché tu ne dica, che un corpo obeso sia fisicamente brutto e a rischio salute è, invece, proprio un’opinione. Ma a prescindere da questo, la bellezza di un corpo e, pensa, anche la sua salute non mi sembrano argomenti rilevanti quando ci si approccia alle persone con il rispetto che le è loro dovuto, né tantomeno quando si giudica il valore di una serie (cosa che facciamo qui su Seriangolo).