Eve e Villanelle, Villanelle e Eve. Sono loro i cardini di un racconto originale ed emozionante come Killing Eve, iniziato come una spy story molto personale e trasformatosi con il tempo in qualcosa di abbastanza diverso, che pur rimanendo incardinato nelle regole del genere a cui afferisce si concentra soprattutto sull’analisi e sulla descrizione dei comportamenti e delle psicologie di due donne molto simili e al contempo molto diverse.
Dopo una prima stagione in cui i ruoli di cacciatrice e preda sono stati ben definiti, seppur all’interno di un orizzonte molto fluido in cui più conoscevamo Villanelle e più la trovavamo vulnerabile, la seconda annata di Killing Eve mischia le carte, attribuendo alle due protagoniste ruoli più mutevoli e che chiedono di essere ridefiniti di puntata in puntata.
Uno degli escamotage principali, ad esempio, è quello di allontanarle per i primi episodi, senza però costruire la tensione che nella prima stagione le faceva attrarre reciprocamente come calamite: nei primi episodi di questo secondo ciclo, infatti, Eve e Villanelle compiono percorsi in parte indipendenti, permettendo allo spettatore di fare conoscenza in maniera più approfondita con le loro personalità, senza per questo dimenticare mai che, a questo punto, l’una non esiste senza l’altra e viceversa.
Dal punto di vista narrativo la gestione del racconto di Emerald Fennell è stata molto più adrenalinica di quella di Phoebe Waller-Bridge, cosa che probabilmente ha impoverito la quantità di sfumature e di sottigliezze legate al concatenarsi degli eventi, in particolare per quanto riguarda le detection, ma ha prodotto un racconto in cui succedono molte più cose e i personaggi acquistano una maggiore dinamicità.
Se nella prima parte della stagione le protagoniste sono posizionate ai poli opposti della narrazione, negli episodi centrali e finali non solo si incontrano e si ri-allontanano, ma cominciano anche a lavorare insieme seguendo uno sviluppo che l’anno scorso non era in alcun modo preventivabile.
Il loro diventa un rapporto vero e proprio, smettendo di essere un insieme di accenni, di non detti e di desideri, tanto che nel momento in cui una delle due è in pericolo l’altra interviene per salvarla, oppure, vedendo queste situazioni da un’altra prospettiva, può capitare che una delle due si metta volutamente in pericolo per farsi salvare, quasi fosse un modo per testare l’amore della propria “partner”.
Il finale di stagione si concentra nella prima parte sulla vicenda investigativa che è stata messa al centro negli ultimi due episodi, ovvero quella legata ad Aaron Peele e al tentativo di incastrarlo da parte delle forze dell’ordine britanniche, messo a punto tramite il coinvolgimento di Eve e Villanelle.
Questa storyline ha una doppia e complessa lettura: da un lato vi è il rapporto tra le protagoniste che vede in questo scioglimento un punto di svolta di primaria importanza; dall’altra c’è un sistema che si accorge della speciale relazione tra le due donne e la utilizza a proprio vantaggio attraverso l’inganno.
A innescare il riavvicinamento finale tra le due è, come prevedibile, la safe word usata da Villanelle: appena Eve sente la parola gentleman si precipita per salvarla, incurante (o quasi) persino del proprio collega in fin di vita. Ciò che non si aspetta è però il piano di Villanelle, che l’ha fatta venire solo per mettere in scena l’ultima delle sue performance, fingendo di poter cedere alle promesse di Peele per poi tagliargli la gola davanti allo specchio, ribadendo così che lei non sarà mai il giochino di un uomo.
A ingannare entrambe però sono state Carolyn e Konstantin, che hanno utilizzato la tensione erotica e la complessità del rapporto tra Eve e Villanelle per completare una missione che altrimenti non sarebbero riusciti a portare a termine, soprattutto senza sporcarsi le mani. In questo modo Peele muore, proprio come volevano fin dall’inizio, e non è necessario neanche un compromesso da parte dell’MI6 perché il killer diventa l’oggetto di un’azione dimostrativa quasi interamente privata, frutto di una relazione molto più romantica che professionale.
Eve e Villanelle sono ormai sole e tradite, perché la prima non ha più fiducia nell’MI6 dopo essere stata usata come una marionetta e la seconda capisce che ha molto più in comune con la persona che le dava la caccia che con il mondo a cui appartiene.
Il loro legame trova forse il momento di massima intensità nella bellissima sequenza in cui Eve uccide Raymond per salvare Villanelle: fino a prima di scoprire che l’assassina interpretata da Jodie Comer aveva una pistola da poter usare in qualsiasi momento, Eve si è sinceramente spinta oltre ogni limite per salvare la donna per la quale prova un sentimento speciale, compromettendo radicalmente la propria natura per avvicinarsi al lei. Eve è distrutta e Villanelle lo sa, tanto che inizia a prendersi cura di lei come ha sempre desiderato, approfittando della sua condizione di fragilità. È qui che sferra l’ultimo attacco, perché sentendosi in una posizione di maggiore forza prospetta a Eve un lieto fine idilliaco, un epilogo romantico alla Bonnie & Clyde, immaginando di andare in Alaska con lei o di passare del tempo insieme in una casa nel bosco. Tuttavia, proprio nel momento per lei più favorevole, Villanelle commette un errore, e le cose si incrinano irrimediabilmente.
Il disvelamento dell’inganno rende molto meno autentico il brutale atto omicida agli occhi di Eve, riaccendendo così la scintilla del conflitto tra le due protagoniste nella parte finale dell’episodio (e della stagione), quasi completamente sganciata dal resto e che per certi versi rimanda all’epilogo della scorsa stagione. Le due sono nuovamente faccia a faccia, senza più alibi e sempre possedute dalle rispettive insicurezze, ma questa volta a fare da co-protagonista della macro-sequenza conclusiva è la regia di Damon Thomas, che sceglie di mettere in scena lo scontro tra Eve e Villanelle all’interno di un una rovina romana che conferisce alla scena un’atmosfera unica, dal sapore spiccatamente teatrale e per questo quasi sganciata dal tempo e dallo spazio.
Gli ultimi minuti di “You’re Mine” sono estremamente intensi e impreziositi dalla eccezionali interpretazione di Comer e Oh, le quali dominano la scena dando ai rispettivi personaggi una forza inimmaginabile con altre attrici al loro posto. Se Villanelle crede (in parte a torto, in parte a ragione) di aver fatto solo ciò che Eve ha sempre desiderato, quest’ultima si sente irrimediabilmente tradita dall’unica persona di cui, arrivata a quel punto, credeva di potersi fidare, sente di essere stata manipolata e di essere stata punita dall’attrazione che provava per lei, trovando dentro se stessa una nuova determinazione che spiazza Villanelle. Il colpo di pistola finale inverte la conclusione della prima stagione, ma in questo caso è Eve a uscirne vincitrice, pur essendo quelle che rimane riversa al suolo sanguinante.
La seconda stagione di Killing Eve non era necessaria, perché il primo ciclo di episodi è stato un percorso innovativo e intelligente che non aveva bisogno di ulteriori sviluppi. Tuttavia, grazie anche al cambio di autrice tra una stagione e l’altra, la serie di BBC America è riuscita a rinnovarsi sia dal punto di vista stilistico che narrativo acquisendo la personalità di Emerald Fennell, pur senza mai abbandonare alcuni punti fermi della prima annata, a partire dalle protagoniste. È anche alla luce di questo genere di rigenerazione, abbastanza inedito nel mondo della serialità televisiva, che la seconda stagione di Killing Eve è promossa a pieni voti, forte di una serie di novità capaci di lasciare il segno nonostante la serie non sia più una new entry nel panorama televisivo.
Voto episodio: 8+
Voto stagione: 8