Se questa stagione di Killing Eve è un coltello che preme sulla pelle, “Wide Awake” ne è la punta che finalmente la fende, toccando la carne. Ad un passo dal finale, il settimo episodio possiede un titolo emblematico. Lo spettatore non assiste ad un risveglio, solo ad un immantinente e strisciante stato di veglia da parte del variegato e per nulla banale cast di personaggi dello show oramai di culto della BBC.
Solo una di loro può dirsi davvero “Wide Awake” e solo una lo è sempre stata per l’intera durata della stagione. La sua identità viene suggerita dallo sfondo del titolo di testa di questo episodio: rosa come la parrucca usata per nascondersi e tirare le fila del suo gioco.
L’operazione sotto copertura volta a scoprire i loschi traffici del subdolo Aaron Peel continua da dove era stata lasciata, ma con una svolta inattesa per tutti, tranne che per Villanelle: il bullo ha apprezzato il gesto dell’ultimo episodio, la ribellione di ‘Billie’, e la invita a pranzo. Lei accetta e non per un improvviso senso del dovere, che avrebbe ingrigito la sua figura, non per Aaron, una scelta caratteriale infelice che di sicuro non appartiene allo storytelling di Killing Eve. La sicaria continua il suo ruolo di agente sotto copertura solo per Eve, o meglio, per ciò che sta costruendo attorno ad Eve.
La convenzionale trama spionistica rimane un elemento di sfondo, che non inficia ciò che questa storia continua a raccontare in una guisa sempre più conturbante e oscura, pur senza ricorrere a nessun effetto speciale che renda l’idea di una realtà in lento disfacimento attorno ad Eve e tra le mani di Villanelle. Un pregio che si è sempre più rafforzato in questa seconda stagione di Killing Eve è la capacità di ritrarre l’abisso senza ricorrere nella sua rappresentazione astratta, con riferimenti concreti allo stato d’animo e al percorso unito e diviso delle protagoniste, pur non esimendosi dall’indugiare sul mistero, sull’esoterismo nel legame quasi alchemico tra le sue figure centrali. Il racconto appare sempre più come un dipinto dove ogni colore è stato pennellato dall’assassina e dove Polastri scopre di trovarsi a proprio agio. Non siamo dinnanzi ad un mero passaggio dalla parte dei buoni ai cattivi: Eve è solo in parte inconsapevole della sua discesa, affrontando il desiderio lucido e presente di esplorare il lato oscuro di se stessa, e gli occhi che assistono sono accompagnati a loro volta in questo percorso, inquietante e naturale in egual misura, dove nulla è lasciato al caso o alla sospensione dell’incredulità.
Il penultimo capitolo di questa riuscita seconda stagione, che ha cambiato penna senza perdere smalto, porta il percorso dell’agente dell’MI6 fino un passo dal baratro. Eve rassicura più volte riguardo il tenere la situazione sotto controllo: davanti a Carolyn, allo psicologo Martin, persino a se stessa, ma la realtà è un’altra. Il pubblico è coinvolto nell’ineluttabile cambiamento che si era palesato sin dall’apparizione della mela del peccato. Prosegue nel dialogo colmo di sottintesi con Villanelle e nell’ignara conoscenza del paziente di un istituto d’igiene mentale; egli appare come monito per la protagonista: non è lo specchio distorto di ciò che rischia su quel cammino, ma la dimostrazione che tale cammino è percorso con una naturalezza disarmante, portando la protagonista e lo spettatore a domandarsi quanto sia innata la fascinazione per il mondo di Villanelle e quanto sia frutto degli eventi. La caduta libera è anche dovuta all’ambiguità delle figure che dovrebbero vigilare sul legame con quest’ultima: Kostantin non appare degno di fiducia dopo gli eventi della prima stagione e Carolyn risulta più preoccupata dalla missione che dalla salute mentale della sottoposta, almeno fino all’avvertimento di Kenny. In una scena dall’estetica semplice, ma penetrante, gli specchi rivelano una doppia natura, e forse suggeriscono il doppio gioco tra il superiore e la sua agente, tra le madre e il figlio nel caso di Kenny, portatore di un altro avvertimento, giunto stavolta dal mondo di Eve, aggiungendo un interessante, sinistro tassello al mosaico dello show.
Non è l’unico momento in cui gli specchi hanno una funzione simbolica: Eve rimira la sua immagine in un trittico di specchiere e, per un fugace istante, è come se fosse dinnanzi a tre differenti riflessi della sua persona. Nel riflesso si palesa la difficoltà nel riconoscersi sulla superficie degli specchi (appartenenti, non a caso, a Villanelle); un momento impreziosito dalla sempre viscerale interpretazione di Sandra Oh. Nella sua ricerca di conferme sull’essere in controllo degli eventi, Polastri cerca l’aiuto dello stesso professionista mandato da Carolyn in “Smell Ya Later”, Martin, ma il verdetto viene proferito dalle labbra di Eve stessa, nell’usuale e sottile gioco che vige tra gli episodi dello show e i loro titoli, presenti nei dialoghi dei momenti più topici, nell’atto di dimostrare una tematica, una verità, un pensiero. Eve ammette di essere “Wide Awake”, ma al contempo non abbandona la missione, così da rimanere accanto a Villanelle ed è quasi poetico come lei – verso la fine – si svegli e sorrida alla sua voce, suggerendo che abbia accettato i suoi sentimenti per Oksana. La consapevolezza della Polastri rimane sospesa, come l’incertezza riguardo a dove essa condurrà, semmai verrà a conoscenza dell’assassinio nel magazzino o da cosa volesse metterla in guardia Kenny, cosa che prepara il terreno per l’ultimo capitolo di Killing Eve.
Un rapporto conturbante e profondo, che si fa più denso nell’assenza, in un gioco delle parti che passa attraverso i deuteragonisti orbitanti attorno a Eve e Villanelle. I già citati Kostantin e Carolyn sono coloro che tirano le fila del mondo in cui le due protagoniste si muovono. Non è certo se questa ‘veglia’ recata nel titolo coinvolga anche loro, ma dove la loro apparente guida è assente, il rapporto tra le protagoniste si cementa. Roma è il luogo dove il legame tra l’agente e la sicaria diviene più stretto e intimo, ma, a causa della sua natura ideale, si fa ancor più ineffabile per chi le circonda, eccetto, in parte, per Hugo (Edward Bluemel, Sex Education). Il frivolo collega che accompagna Eve in Italia viene coinvolto nella loro relazione di buon grado, consapevole ed entusiasta del suo ruolo di tramite. Nella frivolezza, nell’incapacità di comprendere a pieno cosa significhi Villanelle per l’altra, ne vede solo l’esteriorità; accetta un desiderio che non lo vede come obiettivo perché ha visto la carne, ma non lo spirito e questo lo rende “Wide Awake” riguardo l’esistenza del rapporto, ma incapace di vedere oltre la superficie, consapevolmente ignorante di ciò che vada oltre l’attrazione fisica.
Il secondo anello della catena che lega le protagoniste è l’oggetto dell’investigazione: Aaron Peel. Complice un’ottima interpretazione di Henry Lloyd-Hughes, vediamo un personaggio ossessionato dai suoi istinti voyeuristi, sfogati nella possibilità, simbolicamente ereditata dal padre, dell’essere una sorta di Argo moderno, grazie alla sua redditizia compagnia. Peel è un maniaco del controllo e lo mostra nel modo in cui crede di trattare Villanelle, che sa già come manipolare questi individui, dopo l’esperienza con Julian in “Nice and Neat”. L’Argo-magnate viene accontentato dall’astuta ‘Billie’ e, in un’arroganza di colui che pensa di aver sottomesso una donna ribelle al suo volere, si spreca nel trattarla come una bambola da vestire, come un dipinto da mostrare. Forse è colui che meno di tutti si mostra ‘sveglio’ pur essendo il personaggio con più occhi, chiusi rispetto a ciò che realmente accade attorno a lui. Le sue parole rispecchiano la sua natura autoritaria, con i numerosi “You will…” “You must…” “Do not…”, comandi che Villanelle esegue, nel donare un’illusione di docilità che soddisfa e sfrutta il machismo maniacale di Aaron, usando le sue telecamere come un palco per la propria messa in scena.
La protagonista rimane Villanelle. Villanelle che da fuggitiva è diventata agente dell’MI6, che con le sue armi e le sue abilità è sopravvissuta e ha portato con sé come un tesoro la cicatrice dell’affetto di Eve, dichiarazione di vicinanza, non di ostilità. Diviene sempre più chiaro come lei non sia un semplice villain e che le maschere vestite siano molteplici come i suoi bisogni, mai davvero soddisfatti. La sua confessione in “I Hope You Like Missionary!” ha convinto la sorella di Peel (e forse anche noi), ma in questo episodio tale confessione viene ribaltata con maestria, per convincere l’altrettanto malleabile fratello. Quando Oksana si esibisce nel canticchiare “One way or another” è una chiarissima dichiarazione d’intenti dalla posizione in cui si trova più a suo agio, in una sorta di palco dove ha un microfono, provveduto dall’MI6, e delle telecamere a riprenderla, cortesia involontaria di Peel. Villanelle riesce sempre ad essere al centro dell’attenzione; dopo esser stata costretta nel ruolo di spettatrice in “Desperate Times”, ora costringe gli altri, Polastri in primis, ad esserlo a loro volta, ma si pronuncia in un linguaggio intellegibile solo ad Eve. La loro comunicazione giunge al culmine della tensione nelle scene notturne di Roma, che si alternano tra il letto dell’una e dell’altra e sono emblematiche del picco sensuale, intellettuale, ideale raggiunto. Villanelle conosce Eve, conosce come si sente con lei e in uno slancio di affetto le dona un po’ della sua libertà. Non è difficile pensare che sia consapevole del sorriso della compagna al risveglio.
D’altro canto, l’assassinio di Gemma si inserisce nel gioco con cui Villanelle getta la sua ombra attorno ad Eve, mentre la intrattiene al suo fianco. La tesa e terribile scena che vede protagonisti Villanelle, Niko e Gemma è magistralmente girata sin dall’inizio, dove l’inquadratura cattura i due insegnanti alla fine di un lungo corridoio, come se lo spettatore si illudesse di poter guardare attraverso gli occhi dell’assassina. I modi, il carisma di Villanelle ci catturano quando rapisce Niko e Gemma, ci avviluppano nelle sue spire, lasciandoci incoscienti e, in un certo grado, complici della sue azioni, grazie alla maestria attoriale di Jodie Comer e ad una scrittura sapiente e magnetica. Il cadavere dell’innocente Gemma alla fine dell’episodio, dopo le tenerezze con Eve, ha la forza di un pugno allo stomaco: lo spettatore è caduto a sua volta nella trappola di Villanelle ed è l’ultima persona che apre gli occhi e si accorge d’essere stato “Wide Awake” per tutto il tempo in cui ha seguito Oksana e le sue destre macchinazioni.
Questo ultimo capitolo è esemplare di un percorso che era iniziato là dove la seconda stagione a sua volta aveva seguito immediatamente il finale della prima. Tutto nasce da Eve che pugnala Villanelle e come tutto finirà è ora nelle mani della sicaria, che regge metaforicamente il coltello dalla parte del manico, dopo aver avuto successo nell’invitare la sua compagna nelle sue spire e averle mostrato gradualmente, con la sua flemma, cosa significhi colmare quel vuoto che non sapeva di avere. Le aspettative per il gran finale orchestrato da Villanelle non potrebbero essere più alte e in mani migliori.
Voto: 8