Con The Young Pope il regista nostrano premio Oscar Paolo Sorrentino fece, tre anni fa, il suo ingresso nel mondo televisivo, portando su schermo la sua personalissima visione cinematografica e dimostrando di poterla canalizzare in un medium molto diverso da quello a cui era abituato, con regole e tempi diversi che impongono un modo differente di raccontare una storia.
Oggi possiamo dire che quella serie fu un successo di pubblico e critica, nonostante il tema fosse decisamente scomodo e spigoloso – soprattutto in un paese ancora fortemente conservatore e puritano dal punto di vista della riflessione critica e della rappresentazione in tv – ed era assolutamente lecito avere più di un dubbio sul progetto. Andare a parlare dell’istituzione religiosa più potente e antica della storia in modo decisamente non celebrativo ma, anzi, mostrandone le contraddizioni e le zone d’ombra, non era certo la via più facile da percorrere per il regista – sebbene il personaggio Sorrentino abbia sempre fatto dell’eccentricità e della non convenzionalità nelle sue scelte la leva per far parlare di sé – eppure lo show si è dimostrato estremamente bilanciato nel far convivere un’estetica maestosa che riproducesse la ricchezza materiale della Chiesa e, di contraltare, rendesse ancora più evidente la pochezza spirituale degli uomini che la gestiscono e la amministrano. The Young Pope, tuttavia, è stata anche una serie incompleta: il finale shock ha lasciato più dubbi che risposte e l’evoluzione del personaggio interpretato da Jude Law sembrava essersi fermato poco prima dell’arrivo; con questo The New Pope, quindi, Sorrentino ha un duplice compito: concludere il percorso narrativo cominciato a suo tempo con l’elezione di Lenny Belardo e parallelamente chiudere tutte le storyline secondarie rimaste senza un epilogo soddisfacente.
Come nella serie precedente, il discorso sulla natura della fede è centrale. Cosa vuol dire credere in Dio? Credere che esista un’entità soprannaturale che ha già scritto un destino per ciascuno di noi? Che tutto quello che facciamo non è altro che parte di un disegno superiore? Quanto le nostre scelte plasmano allora davvero il mondo che ci circonda? Cosa vuole Dio da noi? Sono domande che si ripetono continuamente in modo indiretto, osservando le azioni dei personaggi dello show, e allo stesso modo continuano a non trovare risposte soddisfacenti. Lo stesso Lenny, dopo essere diventato Pio XIII, versava in una crisi spirituale molto profonda, perché lacerato dal senso di inadeguatezza e dal peso del potere in suo possesso, che poi come sappiamo ha imparato a governare molto bene, fino a tramutare la sua immagine in un idolo delle folle.
È su questi passaggi che Sorrentino plasma l’estetica dello show, costruendo movimenti narrativi imprevedibili ma estremamente significativi e simbolici: la sigla, per esempio, si fa strumento narrativo e non si limita ad introdurre l’episodio, ma ne è parte integrante – il risveglio di Lenny dal coma che è in pratica una (ri)nascita, con l’attore che esce dall’acqua e cammina attorniato da donne adoranti e incredule, e allo stesso tempo una risurrezione messianica, anche legato al tema dei presunti miracoli compiuti dal giovane Papa. Si potrebbe facilmente muovere una critica e dire che in questo ci sia un eccesso di manierismo, che Sorrentino si diverta a creare immagini suggestive e “pittoriche” solo per sfoggiare una presunta visione autoriale personale, e non sarebbe del tutto sbagliato; in fondo sappiamo tutti quanto piaccia al regista giocare con la macchina da presa in modo non sempre giustificato, ma in questo caso non si può dubitare del contenuto narrativo di ogni passaggio e, soprattutto, è difficile rimanervi indifferenti.
Il secondo punto centrale di questo The New Pope è il confronto tra i due papi, il giovane Pio XIII e il nuovo Giovanni Paolo III alias John Brannox, interpretato da un John Malkovich in splendido stato di forma. A differenza di Lenny, John proviene da una famiglia di estrazione sociale estremamente privilegiata, non ha dovuto affrontare il trauma dell’abbandono come il suo predecessore, eppure deve fare tutti i giorni i conti con il senso di colpa per la morte del fratello venticinquenne, molto più amato dai genitori e quello che avrebbe dovuto avere la brillante carriera ecclesiastica che è invece toccata in sorte a lui. Di carattere più mite e con meno ambizione rispetto a Pio XIII, Brannox cerca di tenere le redini di una Chiesa allo sbando, sempre più lontana dai suoi fedeli, incapace di attuare le riforme di cui avrebbe bisogno per stare al passo coi tempi e attaccata da più fronti ora che è considerata debole e priva di un capo carismatico alla sua guida. Papa Giovanni Paolo III si dimostra, infatti, un leader pieno di debolezze e incapace di far fronte alla pressione del ruolo che occupa: crolla di fronte alle interviste dei media, agisce di istinto e si fa manipolare fin troppo facilmente, senza contare che si innamora di Sofia e soffre terribilmente per questo. Il suo papato è evidentemente debole, schiacciato anche e soprattutto dalla venerazione dei fedeli per Pio XIII, il cui spirito è ancora – letteralmente – vivo e si manifesta in forma eterea a guidare le azioni dei personaggi; per non parlare poi della minaccia terroristica, un fenomeno che viene trattato – ironicamente – come una propaganda dal fortissimo valore mediatico alla quale il Papa non può che rispondere con uno slogan di eguale efficacia pubblicitaria – il “NO” urlato di fronte al massacro di Lourdes.
The New Pope dimostra di essere molto attento alle questioni della contemporaneità quando mette al centro del suo finale la questione del fanatismo, rivelando che il volto del terrore non deve sempre essere cercato all’esterno ma è più facile che possa nascere in seno alla società che lo denuncia. Pio XIII, infatti esprime il suo disappunto quando scopre che l’idolatria nei suoi confronti ha spinto le sue più fedeli seguaci a compiere atti indicibili in suo nome e si rende conto della necessità impellente per la Chiesa di cambiare se vuole sopravvivere. Da qui prende piede un finale che sa di chiusura definitiva di una parentesi strana nella storia – fittizia – della Chiesa: beffardamente sarà proprio Angelo Voiello – Silvio Orlando è spettacolare anche in questa stagione – la figura sulla quale il cattolicesimo si appoggerà per ripartire e ritrovare la via media tanto agognata. Il cardinale che aveva dato inizio a tutto, muovendo i suoi fili per far eleggere Lenny Belardo, è anche quello che deve normalizzare la Chiesa e traghettare l’istituzione verso un futuro indefinito; un personaggio che pare aver raggiunto la redenzione morale dopo la morte di Girolamo e che conferma la sua centralità narrativa.
Ma la completezza della serie la si nota dai più piccoli dettagli: lo sciopero delle suore come geniale rivendicazione di diritti contro il maschilismo dominante dell’istituzione cattolica, per esempio, è uno di questi. Un’altra importante rappresentazione emerge dallo scandalo che Voiello usa per tenere in pugno Spalletta: se, infatti, si ricorda che Norberto Bobbio aveva distinto le forme di potere nel mondo contemporaneo in potere politico, economico e ideologico, risulta evidente come questi si impersonino nella triade di persone che vengono sorpresi ad andare a letto con una ragazza minorenne; il cardinale come potere ideologico, il ministro dell’economia quello politico e l’imprenditore marito della Dubois il potere economico. Tre forme di potere che si alimentano con le relazioni di interdipendenza che instaurano tra loro e che si fanno forza di questa collusione, un riferimento troppo esplicito perché Sorrentino possa averlo inserito involontariamente.
In definitiva The New Pope è una serie ancora più matura e completa della già ottima The Young Pope, perché pur essendo ricca di temi riesce ad esplorarli in modo efficace e profondo, anche grazie a personaggi dal fascino magnetico, ben scritti, che tengono alta l’attenzione e la tensione per tutti i nove episodi che la compongono.
Voto stagione: 9
Una rece che attendevo…bravissimo Davide !…