Nelle primissime immagini di Defending Jacob lo sfocato assume contorno definito, la macchia diventa geometria, il caotico trova un ordine di comprensione; la verità viene a galla mettendo a fuoco contrasti apparentemente irrisolvibili, regolando luce e ombra, aspetti focali e punti di vista.
Attraverso questa soluzione visiva, forse riconducibile all’intuito professionale di Morten Tyldum (già candidato all’Oscar per “The Imitation Game” e qui regista di tutti gli episodi), non funziona soltanto l’incipit di questa nuova serie thriller prodotta da Apple Tv+, creata da Mark Bomback e tratta dal romanzo “Defending Jacob”, ma tutto il suo episodio pilota, le sue dinamiche di rappresentazione e lo sviluppo del suo arco introduttivo. Il giallo è ancora una volta una macchia sfocata difficile da decifrare, un ostacolo linguistico che nasconde qualcos’altro e che, per essere risolto, necessita della fatica della determinazione.
Il racconto inizia al tempo presente, con un’aula giudiziaria in cui si pretende un resoconto dai contorni chiari, una ricomposizione con meno ambiguità possibile, una verità facilmente leggibile, ma subito si ritira nelle ombre del ricordo di giorni molto meno intellegibili, molto meno scontornabili. Di fronte a una giuria a cui l’occhio dello spettatore è accostato, tra morbidi carrelli e finte soggettive, l’ex assistente procuratore distrettuale Andrew Barber (interpretato da Chris Evans) deve ricomporre gli eventi dell’uccisione di Ben Rifkin, compagno di scuola di suo figlio Jacob.
Ecco allora, dieci mesi prima, che figure apparentemente definite si muovono a mollo in una tranquillità sospesa pronta per essere spaccata. La colazione della famiglia Barber sembra tranquilla, ma subito pare essere condotta su vari dislivelli di immagine, forme di distacco impercettibile che hanno il corpo di frasi banali e osservazioni altrettanto ignorabili: prima Laurie, la mamma di Jacob, si stupisce che suo figlio non riesca a vedere i waffles che sono nel frigorifero proprio di fronte a lui; in seguito sia Andrew che Laurie (Michelle Dockery) non capiscono la risposta distaccata di Jacob (Jaeden Martell) a una speranzosa proposta di vacanza.
Anche se l’incomprensione ha la forma ordinaria di una frase e vive nella zona superficiale di un dialogo dimenticabile, è proprio nel lessico famigliare che si nasconde il vuoto comunicativo che presto, anche solo nel pilot, attanaglierà la famiglia: dove più c’è vicinanza, c’è lontananza, dove più si presume l’esistenza di una comunicazione trasparente, ecco una macchia indefinibile. In più, mentre i tre si parlano, avviene anche un’interrogazione sul significato di alcuni vocaboli a Jacob, e così si forma un doppio dialogo: il primo, quello del dislivello tra ciò che si vede e ciò che si spera, mette in luce un’incomprensione; il secondo, quello dell’interrogazione, non fatica a mostrare lo scollamento tra linguaggio e realtà. Conoscere il significato di “miope” non garantisce di vedere chiaramente.
Nel resto dell’episodio più volte emergerà l’elemento del dettaglio messo a fuoco o fuori fuoco e il tema dell’insufficienza del linguaggio come veicolo comunicativo. Senza dilungarsi in spoiler che toglierebbero il piacere del lento disporsi di eventi e scoperte, è sufficiente rivelare come anche nella dimensione pubblica descritta dalla puntata – risultato logico di in un’estensione graduale rispetto alla partenza psicologica del ricordo e alla riduzione domestica del primo dialogo – si consumi un’incomunicabilità soffocante. Il contesto non a caso è quello di un liceo americano e di una cittadina tranquilla, due cornici che spesso vivono assieme e indicano sempre uno stato sociale apparentemente innocuo e invece nascostamente viziato.
Le forme della natura difettosa del linguaggio, dell’assenza di una tranquillità non artificiosa tra individui, germinano in diversi eventi ben inanellati dalla scrittura, che sposta continuamente l’attenzione tra pubblico e privato, e in diversi ambienti legati con scioltezza dalla regia di Tyldum: in un allarme che suona in un liceo e fa pensare agli attentati studenteschi; nel corpo pugnalato di un “bravo ragazzo” apparentemente amato da tutti ma forse disprezzato da alcuni; nel commento incattivito a un significato nascosto (nelle parole, ancora, nel linguaggio) de “Il giovane Holden” durante un dialogo padre e figlio. Tutte forme superficiali ed epidermiche che paradossalmente rivelano, tramite la loro continua rottura, un rimosso sotterraneo, un agente patogeno emotivo tenuto sotto silenzio forse a lungo (come nel frammento onirico che colpisce un personaggio), un’immagine oscura e sfocata ora in corso di dirompente emersione.
Si tratta di un rimosso esistenziale, sentimentale, personale e collettivo, che avvolge tutti e tutto e corrompe ciò che tocca dall’interno tanto più viene tenuto nascosto. La casa, con l’insieme delle sue traiettorie comunicative, la scuola e i social network, con tutte le possibili difficoltà del mondo giovanile, e infine la città, che per ora sembra essere esemplificata dagli adulti e dalle istituzioni giuridiche, sono il palcoscenico di un’incomprensione che prende la forma del sangue. Il giallo invece è ancora occasione per descrivere tutto questo, il sociale, la società, la persona e la comunità, il loro stato compromesso; è il genere che interviene sulla realtà sfocandone i contorni per costringere chi guarda a cercare nuove posizioni per comprendere.
Il pilot di Defending Jacob è l’inizio di un discorso sulla realtà americana che ha le potenzialità per coniugare intrattenimento ben costruito e tematiche robuste. È un buon punto di partenza da cui si può lavorare in profondità, a forza di soluzioni formali e stoccate tematiche coraggiose.
Voto: 7
Evans in certi punti in cui dovrebbe comunicare con lo sguardo mi pare parecchio scarso… La serie è passabile ma abbastanza prevedibile, nulla di più di ciò che ci si può immaginare leggendo la sinossi… Apple mi sta un po’ deludendo, sembra che ci sappia fare solo con le dramedy