Tutti ricorderemo – chi più chi meno – i festeggiamenti tra la fine del 1999 e l’inizio del 2000: si chiudeva un millennio e se ne apriva un altro, Gesù era nato da duemila anni e a Roma era appena iniziato il Giubileo.
Per la Chiesa Cattolica il Giubileo è la remissione dei peccati, della penitenza e della riconciliazione con Dio; l’anno in cui viene celebrato viene definito Anno Santo e – a eccezione di eventi straordinari – viene proclamato ogni venticinque anni. Se da un lato il Giubileo rappresenta un evento cattolico globale che si apre con la – non solo – simbolica apertura delle porte di San Pietro alle migliaia di fedeli in pellegrinaggio verso Roma, dall’altro simboleggia l’evento sociale, economico e politico più importante e redditizio al mondo: l’arrivo di migliaia di persone nella capitale – per un anno continuativo – significa una sola cosa: “ ‘na montagna de soldi”!
Il viaggio tra le strade della capitale di Suburra 3 parte proprio dal Giubileo, da cui trae il titolo la prima puntata. La Chiesa, lo Stato e la Criminalità organizzata si intrecciano sempre più quasi a creare una trinità indissolubile. Si scatena, in un crescendo costante, l’effetto farfalla: ogni azione intrapresa da uno provoca irrimediabilmente effetti sugli altri due e viceversa. Prima di addentrarci nella recensione, facciamo un ripasso – perché doveroso – di chi è stato dietro le quinte di questo grande prodotto di successo.
Come ricordava Samurai “Sto posto non cambia da duemila anni: patrizi e plebei, politici e criminali, mignotte e preti. Roma.” E come non è cambiata Roma non è affatto cambiata la qualità di Suburra: ribadiamo che si tratta della prima serie originale Netflix, lanciata ormai tre anni fa e che quest’anno è volta al termine con l’uscita ufficiale il 30 ottobre in 190 paesi (ammirevole la volontà di rispettare la data di uscita nonostante la pandemia).
A differenza della prima e della seconda stagione, la regia di quest’ultima è stata affidata allo storico direttore di fotografia Arnaldo Catinari, che anche in questo nuovo ruolo svolge un lavoro brillante; ai vari sceneggiatori – tra cui Ezio Abbate e Camilla Buizza per citarne un paio – si affiancano invece Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini – autori del romanzo omonimo da cui è tratta la serie – che curano lo story editing. Interessante la colonna sonora firmata Piotta: in uscita lo stesso 30 ottobre, l’album “Suburra – Final Season” (contenente dieci brani) accompagna lo spettatore fino all’atto finale.
Tornando al contenuto della stagione finale, partiamo col dire che Suburra ne esce senza dubbio vincente, rimanendo piuttosto coerente con il prodotto portato sullo schermo dal 2017. La trama, finora intrisa di malavita, corruzione e segreti ecclesiastici, viene ancora una volta confermata grazie, soprattutto, all’eccezionale interpretazione dei suoi tre personaggi principali: Borghi, Ferrara e Nigro.
Oltre al bellissimo ed evoluto rapporto tra i primi due, dedichiamo un breve spazio sul personaggio di Amedeo Cinaglia, di gran lunga superiore a quello dell’onorevole Filippo Malgradi, interpretato da Pierfrancesco Favino nel film di Sollima. Proprio sul film è doveroso spendere qualche riga.
Prima del lancio della serie, Suburra era stata presentata come il prequel della pellicola cinematografica: ci si aspettava il riallaccio al film, come è sempre stato immaginato dal pubblico oltre che dalla sceneggiatura stessa per le prime due stagioni (basti pensare alla scena in cui Aureliano guarda il disegno del tatuaggio che poi nel film ha per l’appunto sulla nuca).
A dirla tutta – già dalle ultime puntate del secondo capitolo – vediamo come il rapporto tra Aureliano e Spadino si fa sempre più intimo fino a diventare un legame di sangue – per uno – e d’amore – per l’altro. Questo aspetto non si sposa in alcun modo con il rapporto palesato sul grande schermo: nonostante la scena che li vede protagonisti duri pochissimi minuti, si intuisce che non sono gli stessi personaggi del prodotto Netflix. Non soltanto l’odio – che in un mondo come il loro può anche rinascere – ma l’indifferenza con la quale Aureliano tratta Spadino non è credibile, se si pensa all’evoluzione del rapporto tra i due tra la seconda e la terza stagione. Proprio per togliere ogni dubbio sulla natura indipendente della serie rispetto al film, la sceneggiatura decide di dare l’annuncio ufficiale proprio alla prima puntata, creando il primo vero colpo di scena di Suburra 3: l’uccisione di Samurai – il cui ruolo sembra essere stato cucito apposta per Francesco Acquaroli – per mano di Aureliano.
Il pilot della terza stagione è un po’ il cordone ombelicale della seconda: il cerchio, ovvero la vendetta per la morte di Lele, si chiude con l’omicidio commesso da Aureliano. Solo dopo quest’ultimo, la stagione dà effettivamente il via alla conquista dell’intera capitale, fino a quel momento nella mani di Samurai che da bravo burattinaio ne muoveva i fili.
Ciò che infatti caratterizza maggiormente il capitolo finale è il sapere che qualcosa di inevitabile sta per accadere; come dice Arnaldo Catinari, “Il ritmo di quest’ultima stagione è molto più serrato: assistiamo a una specie di conto alla rovescia”, e ancora: “Vorrei che gli spettatori si rendessero conto che nessun personaggio aveva alternative”.
Proprio sui personaggi è doveroso aprire un capitolo a parte: dopo la morte di Samurai, oltre ad Aureliano e Spadino e al bellissimo rapporto fra i due, la sceneggiatura si concentra sull’evoluzione di Cinaglia, Nadia e Angelica. Suburra – La Serie non è solo malaffare, omicidi e spaccio: in queste sei puntate si assiste a un’esplosione di sentimenti – ebbene sì, anche i malavitosi di Ostia e gli zingari “de merda” a un certo punto fanno tenerezza – che coinvolgono le due coppie. Uno spazio particolare viene dedicato al rapporto tra Nadia e Angelica che, se ben ricordiamo dalla seconda stagione, non era dei più solidali. In queste ultime sei puntate le due non solo diventano così intime da lasciarsi andare a dichiarazioni come “Ti avrei dovuto incontrare prima, a te” (frase che durante l’intera serie viene detta da vari personaggi) ma da “’na zingara e ‘na sfollata de Ostia” diventano due donne in grado di amministrare il traffico di Roma Nord, la piazza di spaccio più ambita della capitale.
A non fare tenerezza è Amedeo Cinaglia che – grazie all’interpretazione impeccabile di Filippo Nigro – si rivela essere il più spregevole degli uomini: mentre tutti, durante il corso delle puntate, perdono qualcuno a causa dei propri sbagli, Cinaglia – sempre più assetato di potere – uccide la propria moglie per paura di essere scoperto. Proprio quando Aureliano e Alberto lottano fino all’ultimo sangue per sedere sul trono, Amedeo Cinaglia con lo scettro in mano si autoincorona Re di Roma. Indubbiamente e fortemente simbolica la scelta di far vincere la guerra proprio a Cinaglia, un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
Seppur brillante, Suburra 3 mostra evidenti pecche: per prima cosa, troppo breve. Dai dieci episodi della prima, agli otto della seconda fino ad arrivare a sei per l’ultima stagione; proprio per la scelta di concentrarla in sole sei puntate da 45 minuti ciascuna, bisognava senza dubbio eliminare il superfluo.
Alcuni personaggi spariscono però nel nulla; altri – come il personaggio di Sara (Claudia Gerini) o di Adriano (Jacopo Venturiero) – vengono liquidati frettolosamente, senza troppi giri di parole.
Mentre Sara Monaschi è stata un elemento chiave ma anche conclusivo nella seconda stagione – giustificando così un ruolo periferico nella terza –, la fuoriuscita di Adriano è inspiegabile. L’ultima puntata del secondo capitolo si concludeva proprio con l’incontro tra Adriano, Aureliano e Spadino lasciando presagire una nuova alleanza; peccato che Adriano – dopo un paio di puntate – se ne sia andato proprio com’è arrivato.
Ciononostante, Suburra 3 (ma in generale tutta la serie) si rivela essere un ottimo prodotto italiano che sembra non temere il confronto di fronte ai suoi due maggiori avversari: Gomorra e Romanzo Criminale. Avrebbe potuto osare di più aggiungendo qualche episodio ma forse, con una certa lungimiranza da parte degli sceneggiatori, il concetto di less is more ha avuto la meglio.
Voto Stagione: 7
Voto Serie: 7