Dopo un salto di oltre dieci anni nel finale della scorsa stagione, ci siamo ritrovati catapultati nel cuore degli anni ’80, in piena Guerra Fredda (anche se ovviamente diversa da come la conosciamo) e con i personaggi invecchiati, diversi e segnati da quella che è stata la fallimentare – almeno all’inizio – corsa allo spazio per gli americani.
La parte sicuramente più interessante di tutta la stagione è quello che avviene sulla Luna: avevamo lasciato Jamestown come un piccolissimo avamposto umano e la ritroviamo come una vera e propria cittadella, ormai diventata come parte integrante degli States, tanto è normale e quasi ripetitivo andarci e viverci per settimane. Ed è diventata talmente un simbolo che la Guerra Fredda non poteva che spostarsi anche sul nostro satellite: la corsa allo spazio vinta dai sovietici ha portato gli USA ad accelerare il progresso tecnologico e sociale – basti pensare alle donne, addirittura alcune di colore, in ruoli importanti nella NASA – così da spostare il territorio di conquista, che sarebbe dovuto restare ancorato agli ideali e all’egemonia economica, anche a livello territoriale, cercando di imporre la propria influenza addirittura su un piccolo pianeta a quasi tutti gli effetti inospitale.
Questo è il primo punto di forza del racconto ucronico di questa serie: non solo il punto di vista fantascientifico è stato importante, soprattutto nella prima stagione, ma ora è anche l’effetto socio-politico che ci tiene incollati allo schermo, raccontato in maniera magistrale dagli sceneggiatori, che hanno saputo coniugare perfettamente l’azione di un racconto nello spazio (basti pensare al primo episodio di questa stagione, e poi in quello dell’invasione russa alla base americana) a una denuncia sulla morale umana, che in nome di un pensiero politico e ideologico è riuscita a inquinare anche un’epocale conquista scientifica.
È proprio l’azione che si intreccia inesorabilmente con il destino di tutti i protagonisti della serie, a partire da Molly Cobb che diventerà cieca per aver allungato la vita a un suo collega, fino ad arrivare alla coppia Gordo e Tracy Stevens, il cui rapporto è stato trattato in maniera delicata e mai banale, riuscendo a non cadere mai nel melenso e nello scontato, ma anzi dando loro un finale degno del loro percorso narrativo.
Poi ovviamente non possiamo che soffermarci anche sul personaggio principale della serie, Edward Baldwin, altro character che vede scalfita in maniera pesante la sua già tormentata vita privata dalle scelte che fa in ambito lavorativo: la possibilità di diventare il comandante del nuovissimo Pathfinder è troppo ghiotta per non coglierla, ben sapendo che questo risveglierà vecchi rancori e ferite in sua moglie Karen, già dubbiosa sul loro futuro dopo la perdita del figlio e nonostante l’adozione di Kelly.
Questa è forse la parte meno interessante della stagione, forse troppo distante dalla curiosità che crea tutta la parte relativa alla Luna prima e la corsa agli armamenti poi. Tutta la storyline di Karen con il suo giovane amante Danny – e figlio dei suoi migliori amici, quindi probabilmente questo avrà delle pesanti ripercussioni in futuro – e della vietnamita Kelly alla ricerca dei suoi genitori non regge in confronto a tutto il resto, ottenendo un effetto un po’ da skip forward. Chiariamo: non è assolutamente fatta male o raffazzonata (la scelta di Karen anche se un po’ grottesca e veloce è umanamente comprensibile), ma ha come il sapore di riempitivo, soprattutto quando si parla della figlia adottiva della coppia, che al momento non sembra portare da nessuna parte.
L’altro grande punto di forza di questa stagione è tutto il discorso che riguarda gli armamenti sulle varie navi spaziali, che si incrocia con la scelta epocale e del tutto politica della stretta di mano nello spazio tra gli astronauti statunitensi e i cosmonauti russi.
La questione degli armamenti è sicuramente interessante perché porta a un altro livello le tensioni crescenti tra i due Paesi protagonisti della Guerra Fredda (nella realtà la crisi missilistica di Cuba, qui quella di Panama), rischiando di creare una guerra interstellare che porti alla distruzione di mezzo pianeta “grazie” alla guerra nucleare sempre più vicina. La forza di questa serie risiede anche nel fatto che nulla è scontato e tutto può veramente accadere, data la natura del racconto: la risoluzione delle tensioni ormai al loro zenit può sembrare un po’ melensa e non troppo ricca di pathos – la stretta di mano in diretta mondiale – ma va nella direzione che la serie ha tracciato fin da subito, ovvero quella del fattore umano.
Sono proprio le scelte dei protagonisti, andando contro a ordini e all’apparente buon senso, a salvare il mondo: è un messaggio potente per una serie che fa del cambiamento della realtà così come la conosciamo il suo fulcro, come a voler dire che forse basterebbe solo un po’ di empatia verso il prossimo per risollevare le sorti dell’intera umanità. Tutta questa stagione è incentrata sulle scelte personali dei protagonisti, che molte volte sacrificano il proprio bene e quelli dei propri cari per un ideale. Anche questo, si ci pensate, è fonte di uno spunto importante: quanto siamo disposti a perdere per un bene superiore?
For All Mankind si è quindi confermata una serie di assoluto livello, ponendosi sicuramente come uno dei prodotti più interessanti di quest’anno, continuando l’ottimo lavoro svolto con la prima annata e portando la serie ancora più in alto.
Abbiamo già conferma di una terza stagione, anche grazie al solito finale ad effetto che ci porterà ancora un decennio avanti, stavolta al 1995. Di chi è il piede che solca il suolo marziano? Quali saranno le innovazioni tecnologiche che si vedranno con anni di anticipo? Come sarà finita la Guerra Fredda? Ma soprattutto: che altri costi avranno dovuto pagare i protagonisti nelle loro vite? Un finale che ci lascia con questa curiosità non può che essere un finale di una stagione e di una serie ampiamente riuscite.
Voto: 8