
Questa nuova miniserie targata Netflix non fa parte del ciclo di The Haunting, ma è a tutti gli effetti in continuità con le due stagioni di quella serie, non per altro per il nome di Flanagan e per la presenza di molti degli attori legati a quel progetto. Non è legata a nessun romanzo specifico, ma le influenze letterarie nel racconto sono tante ed evidenti fin da subito.
Ci troviamo a Crockett Island, un’isolata comunità di pescatori ormai sull’orlo dell’estinzione viste le difficoltà economiche e l’abbandono di molti suoi abitanti verso terre e prospettive migliori: ciò che sembra mantenere unito questo gruppo di “fantasmi” (così li definisce uno dei protagonisti) è la fede, la Chiesa, organo di aggregazione, ma anche di potere. All’alba di una tempesta, l’arrivo sull’isola di Riley – un ex imprenditore di successo, finito in disgrazia dopo aver causato la morte di una ragazza per guida in stato di ebbrezza – e di Padre Paul – il nuovo monsignore della città – rompe gli equilibri già precari di questa comunità, soprattutto dopo che eventi misteriosi iniziano ad accadere proprio in seguito alla loro venuta.

Detto ciò, questo primo episodio non presenta nulla di particolarmente originale dal punto di vista della trama e dei personaggi. Ci sono i classici eroi romantici (Riley ed Erin), il gruppo di amici adolescenti, l’espressione più fanatica e cieca della fede (Beverly), la malattia mentale (Mildred), tutto sembra percorrere sentieri già visti. Tuttavia, sarà per l’impronta così personale di Flanagan o per il cast di assoluto livello scelto per l’occasione, ma l’insieme funziona e convince.
Fatta eccezione per un paio di eventi e momenti di tensione, il pilot è principalmente l’introduzione a questo microcosmo e ai suoi abitanti. Grazie ai movimenti eleganti della macchina da presa, Flanagan riesce a passare dall’uno all’altro in maniera fluida, e anche quando relega alcuni protagonisti a piccoli frammenti di storia, riesci a definirli in maniera chiara, cosicché alla fine dell’episodio lo spettatore si senta già parte integrante di questo universo . Chi si aspetta momenti di paura, resterà probabilmente deluso; chi conosce il regista sa che ci sarà una costruzione lenta e progressiva della storia, un tipo di struttura più novellistica che televisiva, cosa che potrebbe far storcere il naso a chi ama un horror più diretto e immediato.
Il ritmo è più vicino a quello di Bly Manor che a quello di Hill House, con il suo incedere lento, i suoi lunghi dialoghi e gli altrettanto lunghi monologhi, animati da una tensione crescente data spesso dal frammentario montaggio che destruttura il campo controcampo, dando maggior risalto a quello che succede (o potrebbe succedere) sullo sfondo di ogni scena. Se Flanagan ci aveva abituato a nascondere fantasmi nelle sue inquadrature, qui non si ripete, ma la possibilità che qualcuno o qualcosa possa apparire da un momento all’altro è sempre palpabile.

Da questo primo passaggio, Midnight Mass è esattamente tutto ciò che ci si aspetta da Flanagan, che non rinnova il suo stile, ma anzi vira verso il suo idolo Stephen King (suoi erano anche gli adattamenti di Gerald’s Game e Doctor Sleep), pur conservando la sua passione per un romanticismo di carattere gotico. Sebbene sia infatti ambientata ai nostri giorni, Midnight Mass ha tutto ciò che quel genere richiede: una cittadina maledetta, la fede come mistero centrale, una coppia di eroi maledetti e romantici, i ritmi dilatati, e un atmosfera perennemente oscura contornata da riflessioni sulla natura umana. Bly Manor aveva dispiegato tutto il suo potenziale e rivelato la sua carica emotiva solo sul finale; vedremo se queste nuova miniserie sarà in grado di fare altrettanto.
Voto: 7 ½
