Cosa ha Stranger Things che altre serie non hanno? Il suo richiamo non passa mai inosservato a ogni annuncio di una nuova avventura per la banda di giovani adulti di Hawkins. I teaser e il marketing erano già cominciati dal settembre del 2019, fra orologi a pendolo che promettevano un’enigmatica fuga dalla cittadina dell’Indiana e immagini che rivelavano un Hopper in catene ma ancora vivo.
Nel maggio di quest’anno un’ampia campagna promozionale ha coinvolto anche Milano, in un evento che ‘riportava’ Piazza del Duomo nel 1986. Il terreno è stato preparato da tempo dai mezzi a disposizione di un colosso dello streaming dai piedi vacillanti, perché serie come Stranger Things hanno necessità di far parlare di sé ben prima dell’uscita. Oltre tutte le iniziative pubblicitarie, però, poco importa come è stato venduto lo show: conta solo la storia che viene raccontata e che questa sia all’altezza delle aspettative.
La terza stagione ha avuto i suoi alti e bassi: la scoperta dell’adolescenza per Eleven e compagnia aveva fatto emergere tematiche importanti e rimescolato i legami fra i protagonisti, in più di un modo. Qualche volta li ha disattesi: Hopper e Joyce hanno avuto un arco narrativo importante, ma che ha dato loro davvero poco in termini di evoluzione dei loro personaggi, fino ad un finale che ha avuto lati positivi e negativi in egual misura. I fratelli Duffer non hanno fatto davvero male finora, ma adesso sono chiamati a fare più che bene per riconnettersi a quella brillantezza che negli show più longevi tende a svanire. Dopotutto, il successo di Stranger Things non è dovuto solo al fattore nostalgia, altrimenti sarebbe stata solo una meteora: volti come Eleven o Steve, Dustin o Will sono molto amati soprattutto per la profonda caratterizzazione, al di là del loro ruolo sulle scene. Il Sottosopra è un’ambientazione che ha dato tanto alle vicende dello show, ma investire nei personaggi che l’affrontano fa la differenza fra una bella serie e una grande serie.
La quarta stagione è il nuovo capitolo di una serie rimasta grande? La risposta potrebbe essere più difficile di quanto sembri: Stranger Things è oramai indipendente dalle sue influenze, che siano cinematografiche o letterarie ed è stata in grado di creare un immaginario che le appartiene; oggi lo show è molto più di ciò che era alla sua prima annata ed è un mondo a sé stante, che a sua volta influenzerà (e ha influenzato) molte produzioni negli anni a venire.
La trama riprende da quello che avrebbe dovuto essere un nuovo inizio per tutti, dopo la distruzione del laboratorio sovietico sotto Hawkins. Il flashback delle prime scene è un avvertimento per lo spettatore, ma anche il collante per le nuove trame che ruotano attorno al massacro del Laboratorio di Hawkins; questo si rivela un ottimo apripista per la nuova stagione e il mistero contrasta bene con la dolcezza nel piccolo monologo iniziale della lettera di El a Mike. Qualsiasi siano i dubbi nel vedere divisi immediatamente i protagonisti, “Chapter One: The Hellfire Club” mette d’accordo tutti. Il primo episodio ritrova i punti di forza di Stranger Things: crescere è qualcosa che i ragazzi hanno affrontato, ma non sono ancora adulti e le differenti strade prese tracciano solchi importanti fra i membri del gruppo. E se loro sono cambiati, è cambiato anche il modo con cui il Sottosopra interagisce con il mondo ordinario attraverso il nuovo antagonista: il Demogorgone ha fatto il suo tempo e Vecna è una minaccia diversa per i nostri eroi ed eroine, perché è come un punto di incontro fra passato e presente, Hawkins e Sottosopra. Proprio Hawkins sarà scossa fino alle fondamenta, disturbata nella sua lunga esistenza sonnolenta; lo scossone arriva violento nella morte prima di Christie e poi di Fred Benson che sono cruente come raramente lo erano state in Stranger Things. Sarà interessante scoprire dove porteranno gli ultimi due episodi in uscita il 1° luglio sempre sulla piattaforma Netflix.
Precedentemente, la storia ha sempre insistito sui segreti nascosti del piccolo sobborgo americano, rischiando di scadere nella ripetitività. Qui, a detta degli autori stessi, c’è stato il tentativo di portare la storia fuori da Hawkins e i risultati sono ben più che positivi. Non tutte le trame hanno la medesima qualità, ma ognuna funziona nel grande insieme benché alle volte traballi; la fine di “Chapter Three: The Monster and the Superhero” è roboante fino a sembrare un po’ caricaturale. Tuttavia, dividere gli intrecci ha permesso di focalizzarsi meglio su cosa dovrebbe renderli speciali, anche tracciando interessanti paralleli fra i personaggi: la discesa nella verità di Eleven per riconquistare i suoi poteri è analoga alla disperazione di Hopper nel gulag in Kamchatka, fino a ritrovare la voglia di vivere, anziché evitare i suoi cari per salvarli da quella che lui chiama una ‘maledizione’. Una scelta dunque azzeccata, che ha evitato di ereditare i momenti meno riusciti della precedente stagione.
Le atmosfere giovano dei cambiamenti che danno incertezza sul destino dei protagonisti. L’attesa per gli ultimi due episodi è ancora più intensa: cosa accadrà a Nancy, ora che la sua ricerca della verità ha finalmente svelato l’identità di Vecna, proprio mentre Eleven scopre la verità su 001 e sul massacro? I filoni narrativi più importanti si uniscono in maniera forse prevedibile ma efficace. L’unica trama ancora ambientata nella città natale è paradossalmente la più interessante ed emozionante. La nuova dimensione quasi-adulta provoca conflitti molto umani, alle volte terribili; siamo introdotti ad un lato oscuro di Hawkins che meriterebbe ancora più spazio: l’effetto sugli abitanti di tutti gli orrori finora usciti dal Sottosopra. Chi ne ha sofferto cerca un colpevole negli stravaganti metallari e nei giocatori di Dungeons&Dragons, mentre il vero male si dipana nelle debolezze più intime di tutti loro.
L’ispirazione al Satanic Panic anni ’80 è un bello spunto, che deve realizzare le sue potenzialità. Le disavventure di Joyce e Murray per salvare Hopper dalle mani dei russi non convincono appieno (per esempio l’umorismo a volte fuori luogo), ma David Harbour dà il meglio di sé nelle scene ambientate in Russia, fino alla coinvolgente battaglia gladiatoria contro il Demogorgone catturato dai sovietici. Forse il filone più debole è quello del ‘camioncino della pizza’, per il poco carisma dei personaggi coinvolti o per il tenore delle scene nella casa di Suzie, che non sembrano appartenere a Stranger Things ma a uno show completamente diverso e anche un po’ troppo derivativo, che nulla ha a che fare con l’identità faticosamente costruitasi da una delle punte di diamante di Netflix.
Come già accennato, senza personaggi con cui simpatizzare è difficile essere coinvolti in una storia, ma la quarta annata di Stranger Things fa un ottimo lavoro in questo versante, sia per le vecchie conoscenze che per i volti nuovi. Le interazioni sono realistiche e molto sentite e le dinamiche fra i personaggi rafforzano vecchi rapporti o ne creano di nuovi.
Il ritorno all’infanzia di Eleven tramite i ricordi è una scelta narrativa che crea uno strano paradosso: gioca sulla nostalgia dello show stesso, che già fa della nostalgia a tutto tondo una pietra basale. Tuttavia, Eleven aveva bisogno di esplorare un’ultima volta il suo passato oscuro, in un ritorno a quella rabbia primordiale che l’aveva caratterizzata nelle prime due stagioni, dopo esser stata quasi una spettatrice negli ultimi episodi della terza. L’interpretazione di Millie Bobbie Brown non delude, nel vestire i panni di una ragazza che cerca la propria normalità in quella riflessa dagli altri.
Menzione d’onore va fatta a Max, sempre interpretata da Sadie Sink. La bellissima fuga da Vecna con in sottofondo Running Up That Hill di Kate Bush sembra già destinata ad essere una delle scene più famose di quest’anno seriale, ma la fama è anche data dal come si è giunti all’epico finale di “Chapter Four: Dear Billy”.
Questa è stata infatti anche la stagione di Max attraverso il trauma e i rimpianti verso il fratello Billy, e attraverso l’influenza di Vecna che per poco non la porta via con sé. È maturata in una persona diversa, ma non è ‘guarita’ dal suo trauma; lo sta lentamente accettando e si sta aprendo alle persone a lei care.
Purtroppo, rimane qualche nota dolente anche per i personaggi. Fra le vecchie conoscenze, Will sembra lasciato sin troppo sullo sfondo e, sebbene nei primi episodi sia sensato, è quanto mai caricaturale vederlo sempre messo da parte e relegato a gregario. Lo stesso si potrebbe dire di Joyce, personaggio che ancora deve superare il goffo ruolo affibbiatole, nonostante l’interpretazione sempre all’altezza di Wynona Rider.
I nuovi personaggi convincono: il carismatico Eddie, la segregata Chrissie e il succitato Vecna/001 si amalgamano bene con i nostri eroi, incrociando storie brevi ma incisive. L’unico fuori posto sembra Argyle, il compare di Jonathan, che risente del far parte della trama più debole e di essere solo una dimenticabile spalla comica, anche abbastanza stereotipata.
Questa prima parte della quarta stagione è un grande passo in avanti per Stranger Things, che cambia pur senza tradire le sue qualità migliori e si sbarazza un po’ di certe stagnature e sbavature di cui si era macchiata. Ora, a poco meno di un mese dall’uscita del finale di stagione, le aspettative sono alte: riusciranno solo due episodi a sbrogliare l’interessante matassa che si è dipanata da Hawkins fino in Russia?
Voto: 8