Con quest’ultima coppia di episodi si conclude la prima stagione di The Rings of Power, una serie che continua a distinguersi non solo per le straordinarie possibilità dovute al suo budget spropositato, ma anche e soprattutto per le innumerevoli teorie e discussioni che lo show riesce, nel bene e nel male, a scatenare. Nel corso della stagione, infatti, The Rings of Power ha cercato di rispondere alla difficilissima sfida posta non solo dal confronto con l’amata trilogia di Peter Jackson, ma soprattutto dal rapporto con l’immensa eredità tolkeniana.
È un contesto indubbiamente tortuoso che ha dimostrato come The Rings of Power non possa assolutamente correre il rischio di adagiarsi sulla meravigliosa resa visiva con la quale ci introduce ai luoghi e ai personaggi principali: ciò di cui ha più bisogno per brillare è una sceneggiatura capace di reggere il peso delle ambizioni e dello spessore che una storia così variegata richiede. È stato proprio il connubio, talvolta, fra una sceneggiatura blanda e alcune scelte registiche non troppo felici a far scivolare lo show – in particolare negli episodi centrali della stagione –, facendolo incappare in qualche ingenuità di troppo. E tuttavia, The Rings of Power non può essere limitato solo a questi errori, perché ha dimostrato più di una volta di riuscire a connettersi con il suo potenziale, mettendo in scena un universo squisitamente immersivo che ha cercato di dare spessore non solo alla sua estetica, ma anche ai personaggi e alle numerose storie che la abitano. Il settimo e ottavo episodio hanno avuto il difficile compito di chiudere questo primo e tortuoso ciclo aprendo, al tempo stesso, la strada agli eventi che caratterizzeranno la seconda annata (che è stata già confermata).
“The Eye” ci viene presentato rallentando il ritmo della narrazione allo scopo di riprendere il fiato dopo le vicissitudini della lunga battaglia dello scorso episodio, conclusosi con la messa in atto del piano di Adar che ha portato alla catastrofica eruzione del Monte Fato. Anche se c’erano ben pochi dubbi al riguardo, l’episodio conferma che l’eruzione ha trasformato le terre del Sud in Mordor, la celebre dimora oscura che d’ora in poi accoglierà gli orchi e le forze di un male ormai sempre più in ascesa. Si tratta di un episodio che, ad una prima impressione, potrebbe sembrare solo di raccordo: si avverte la differenza con i precedenti nel senso di mancanza di scene molto impattanti ma, in realtà, “The Eye” compie un ottimo lavoro nel gettare le basi di eventi destinati a cambiare profondamente le carte in tavola, indirizzando molti dei suoi protagonisti verso un destino che i fan di Tolkien o anche soltanto della trilogia di Jackson non faticheranno ad individuare. La scrittura e la buona regia di Charlotte Brändström stavolta hanno puntato il loro focus sui personaggi e sulle loro relazioni, lasciate un po’ in secondo piano per la messa in scena della battaglia. In particolare, ci si concentra sulle vicende di Durin e dei suoi tentativi di aiutare il caro amico Elrond e, per estensione, l’intera razza elfica. È proprio in questo episodio che spicca più positivamente non solo il rapporto fra Durin ed Elrond – che in precedenza è risultato fin troppo didascalico – ma anche il contrasto fra Durin e il padre, che preferirebbe salvaguardare i nani e lasciare che gli elfi vadano incontro al loro triste destino.
Sembra che si stia dando più giustizia in generale ai nani: la rappresentazione del loro orgoglio e della loro testardaggine non corre il rischio di renderli personaggi unidimensionali, proprio perché si sono messi a fuoco i dubbi e i tormenti interiori di ognuno di loro, ampliando lo spessore della loro messa in scena. È nel delicato contesto di questo scontro generazionale fra il re e il figlio che lo show ci introduce a una delle creature più iconiche: il feroce Balrog nascosto nelle profondità della montagna che sembra aspettare proprio coloro i quali scaveranno troppo a fondo e con troppa avidità.
La scelta degli sceneggiatori di rendere il mithril così importante per gli elfi si staglia come uno degli elementi più discussi della narrazione di The Rings of Power, proprio perché si distanzia dagli scritti originali. Tenendo sempre a mente che lo show non possiede i diritti per Il Silmarillion, la strada che ha scelto di prendere potrebbe avere dei risvolti molto interessanti e rischiosi in futuro che metteranno a dura prova la sceneggiatura proprio riguardo la sua natura di adattamento. Il racconto sulla battaglia per l’albero – intrappolato da un fulmine che forgia il potere del mithril – è descritto come apocrifo ed è proprio questa particolarità che offre grande potenziale narrativo allo show: potrebbe esserci la possibilità che sia stato Sauron stesso a farlo circolare, innescando il meccanismo che porterà gli elfi a puntare sul mithril e a forgiare i primi tre anelli elfici. Ed è proprio questa la direzione verso cui si è avviato il finale di stagione con “Alloyed”, che risponde a tantissime domande di questa prima annata.
Le novità più efficaci riguardano lo svelamento delle identità dello Stranger e di Sauron ma, soprattutto, hanno a che fare con la forgiatura dei primi anelli, un elemento che si rivela un ottimo espediente per chiudere la stagione e per gettare le basi della successiva. C’è davvero ben poco di sorprendente nella scoperta del disvelamento dello Stranger nei panni di un Istar, cioè uno degli Stregoni inviati dai Valar nella Terra di Mezzo. Sembra ormai essere assodato che si tratti inoltre dell’amatissimo Gandalf, identità che sembra confermata non solo dal suo rapporto con gli harfoot, ma anche dalla frase: “When in doubt, Elanor Brandyfoot, always follow your nose”, considerata una delle firme di Gandalf. La scena del suo scontro contro le sacerdotesse di Sauron – il cui tentativo iniziale di farci credere che l’Istar fosse il Signore Oscuro è risultato davvero ingenuo e poco ispirato – è stata visivamente davvero splendida, ma la regia di Wayne Che Yip non è riuscita ad essere sempre all’altezza, ricadendo in alcuni meccanismi (come, ad esempio, lo slow motion oppure i salvataggi all’ultimo secondo) che hanno reso il tutto un po’ pedante. Non si può dire altrettanto, invece, sulla commovente separazione di Nori dagli harfoot per intraprendere una nuova avventura insieme all’Istar: qui tutto ha funzionato e la colonna sonora e i dialoghi hanno reso l’addio di Nori uno dei momenti più emozionanti dell’intera stagione.
Ma l’elemento più importante di “Alloyed” è, senza dubbio, lo smascheramento di Sauron: si tratta, infatti, di Halbrand. La sequenza quasi onirica con cui Sauron si rivela a Galadriel, cercando di trascinarla al suo fianco, si rivela positiva non solo in senso estetico ma anche in funzione della narrazione stessa. Nel distorcere le memorie e i pensieri di Galadriel, l’episodio inizia a mettere già a fuoco l’elemento più caratteristico di Sauron: la sua capacità di corrompere in maniera subdola e tentatrice i suoi nemici, facendo leva sugli aspetti più delicati e tormentati dei loro cuori oltre, ovviamente, ad offrire loro l’illusione di avere potere.
La corruzione di Sauron non è mostrata altrettanto bene, purtroppo, nel suo rapporto con Celebrimbor che, ad ora, risulta uno dei personaggi meno riusciti dello show. Il modo in cui Halbrand spinge il famoso fabbro alla costruzione degli anelli è stato rappresentato in maniera davvero povera e affrettata: è sinceramente poco credibile che un fabbro tanto prestigioso non possa aver pensato prima alle soluzioni davvero elementari consigliate da Halbrand e, per questo motivo, ogni interazione fra i due risulta molto forzata e piuttosto ridicola. Questa cattiva riuscita non è dovuta tanto al singolo episodio in sé, ma è il frutto di una gestione non proprio ottimale dei tempi che ha caratterizzato l’intera stagione, che ha faticato a trovare il proprio equilibrio narrativo portandoci, in certi frangenti, a una rappresentazione che lascia un po’ a desiderare.
Tornando a Galadriel, invece, questi ultimi due episodi in particolare si distinguono dagli altri proprio perché, finalmente, hanno avviato un’evoluzione del suo personaggio in senso positivo. La Galadriel che risorge dalle ceneri dopo l’esplosione del Monte Fato è molto diversa da quella che abbiamo finora conosciuto: è chiaro che l’elfa si è resa conto di quanto sia stata accecata dalla sua stessa determinazione e sete di vendetta. Si tratta di un processo che viene messo ancora più a fuoco dopo lo smascheramento di Halbrand, che ha conquistato la fiducia dell’elfa proprio facendo leva sulla sua rabbia, impedendole di capire che stava facendo il gioco del suo acerrimo nemico. Probabilmente, questi sono i primi decisivi passi che porteranno Galadriel verso quella saggezza con la quale è comunemente conosciuta. La stessa difficile scelta di cedere il prezioso pugnale appartenuto all’amato fratello per la costruzione degli anelli – per quanto faccia in realtà parte del piano subdolo di Sauron – simbolizza ancora di più quest’evoluzione individuale: l’elfa mette da parte la sua rabbia diventando più consapevole delle conseguenze delle sue azioni.
Per concludere, gli episodi finali di The Rings of Power, pur ricadendo in alcune ingenuità dovute ad una gestione non brillante dei tempi, chiudono il cerchio di questa prima stagione gettando con efficacia le basi della successiva. Nell’introdurre questo mondo così variegato e la lenta ma inesorabile ascesa del male, questa prima annata è stata essenzialmente una lunga preparazione per gli eventi che avverranno nelle prossime stagioni, che prendono il via dalla forgiatura dei primi tre anelli e dal ritorno di Sauron. La serie non è sempre riuscita a reggere il peso delle ambizioni – non solo dovute al suo variegatissimo mondo ma anche dall’inevitabile confronto con gli scritti di origine – ma il risultato complessivo è, nonostante tutto, positivo: bisogna sperare che lo show trovi nelle prossime stagioni l’equilibrio che è venuto talvolta a mancare in questa prima e difficile annata, caratterizzata da alti e bassi che hanno diminuito molto il suo potenziale.
Voto 1×07: 8
Voto 1×08: 7
Voto stagione: 7/8