Da pochi giorni ha esordito sugli schermi di HBO (in Italia su quelli di Sky) Dune: Prophecy, la serie prequel/spin-off dei due film diretti da Denis Villeneuve tratti dal celebre e omonimo romanzo di Frank Herbert.
Negli ultimi anni la Warner Bros sta cercando di puntare il più possibile sulle sue intellectual property: ne è un esempio il recente successo di The Penguin, spin-off di “The Batman” di Matt Reeves del 2022, ma anche la discussa e inevitabilmente attesa serie basata sulla saga di Harry Potter. In questo contesto si inserisce lo show ideato da Diane Ademu-John e Alison Schapker, ispirato al romanzo del 2012 “Sisterhood of Dune“ di Brian Herbert e Kevin J. Anderson.
Annunciata nel 2019 (quindi ancora prima dell’uscita del primo film), la serie ha vissuto una travagliata vicenda produttiva, che ha visto vari cambi di registi e showrunner, nonchè l’allontanamento dal progetto di Denis Villeneuve e Jon Spaihts (co-autore dei due Dune) a causa degli impegni legati alla realizzazione del secondo capitolo cinematografico della saga. Senza dubbio questo non ha giovato alla riuscita dello show che, come vedremo, a giudicare dal primo episodio, non sembra eccellere né dal punto di vista della scrittura, né da quello della messa in scena.
Ambientata 10.000 anni prima degli eventi raccontati in Dune, la serie narra i primi anni dell’ordine Bene Gesserit attraverso la storia delle sorelle Valya e Tula Harkonnen, impegnate a rafforzare la loro posizione di consigliere (e manipolatrici) delle famiglie più potenti della galassia, oltre che a combattere un’oscura minaccia per la loro congrega e per l’umanità intera, di cui sono a conoscenza grazie a una profezia.
Sulla carta si tratta un’idea senza dubbio accattivante, considerando che nei film di Villeneuve la rappresentazione della sorellanza è uno degli elementi più affascinanti e riusciti. Purtroppo però il risultato, almeno per ora e nonostante gli evidenti sforzi, non sembra riuscire a eguagliare il suo corrispettivo cinematografico.
Come spesso accade con le serie fantasy o sci-fi, che fanno della mitologia e del world building uno dei loro maggiori punti di forza, Dune: Prophecy si apre con un prologo. La cosa di per sé non sarebbe un problema, dato che si tratta di un modo rapido e intrigante per introdurre gli spettatori al mondo che si andrà a esplorare; l’espediente viene però usato in una maniera totalmente priva di originalità o creatività: ci limita infatti a un lunghissimo monologo fuori campo della protagonista Valya, che fornisce una quantità esagerata di informazioni che forse sarebbe stato meglio diluire lungo il corso della puntata. Per restare nello stesso universo narrativo, il confronto con il prologo di Dune è impietoso: molto più asciutto e incisivo sia nella scrittura che nelle immagini. Insomma, nonostante la serie parta da una posizione avvantaggiata, in quanto si suppone che lo spettatore abbia già una certa familiarità con l’universo di Herbert, gli autori non riescono a fare propri uno dei principi cardine della narrazione: “show, don’t tell”.
Un altro tasto dolente riguarda il casting. Anche in questo caso è difficile evitare paragoni con i film di Villeneuve, dove la presenza di un cast stellare, composto da attori del calibro di Timothée Chalamet, Zendaya, Oscar Isaac e Stellan Skarsgård – per citarne solo alcuni – ha contribuito in maniera sostanziale alla riuscita del progetto. Nonostante l’impeccabile curriculum che include due candidature agli Oscar, Emily Margaret Watson, che interpreta Valya, non sembra avere il carisma necessario per sostenere il ruolo di protagonista all’interno di un racconto epico di ampio respiro come questo; lo stesso può dirsi anche per Mark Strong, che non brilla particolarmente nei panni dell’Imperatore. A completare il quadro troviamo poi Travis Fimmel, il quale pare proporre un mix tra il ruolo che l’ha reso famoso in Vikings e l’emulazione della performance di Jason Momoa in Dune.
Per quanto riguarda la messa in scena, la serie si rifà inevitabilmente all’estetica dei film di Villeneuve, senza però riuscire a eguagliarne la grandezza, un po’ per questione legate al budget (consistente ma comunque non paragonabile a quello dei film), un po’, viene il sospetto, per pigrizia e reverenza. Basti pensare che, nonostante lo show sia ambientato ben 10.000 anni prima degli eventi legati a Paul Atreides, tutto quello che ci viene mostrato, dai paesaggi, all’architettura, all’abbigliamento, è pressoché identico a quanto messo in scena da Villeneuve – con tanto di strizzatina d’occhio all’inconfondibile estetica brutalista che ha reso celebre i due capitoli cinematografici.
L’altra grande fonte di ispirazione della serie non ha però niente a che fare con l’universo creato da Herbert: il marchio da prestige tv di HBO, unito ad una narrazione fondata sulla presenza di un’incombente profezia e sui giochi di potere, sugli intrighi e i tradimenti che coinvolgono la famiglia imperiale, infatti non può non portare alla mente un’altra grande serie di successo della rete ovvero Game of Thrones. L’impressione è che si sia cercato di sfruttare il successo dell’IP di Dune per portare in scena una versione sci-fi della serie ambientata a Westeros, nella speranza che l’unione di due formule di successo sarebbe stata sufficiente a garantire la riuscita del progetto: finora, però, sembra di vedere una copia sbiadita dell’adattamento dei romanzi di Martin.
Indubbiamente dopo un solo episodio non è possibile esprimere giudizi definitivi: non possiamo escludere che dopo un inizio in sordina la serie riuscirà a trovare una maggiore personalità e a sfruttare al meglio l’universo narrativo di Herbert e figlio, ma al momento, per quello che si è visto, è difficile essere ottimisti.
Voto: 6 –